Tra i dieci artisti più ascoltati su Spotify nel 2017 in Italia sette sono rapper. Un cambio epocale nei gusti della fruizione musicale italiana. E siccome i nomi sono tutti nuovi o dell’ultima generazione del rap italiano (Guè Pequeno, Ghali, J-Ax, Fedez, Coez, Sfera Ebbasta, Fabri Fibra) per aiutarci nella lettura di questa tendenza abbiamo chiesto l’interpretazione a chi i trend li analizza per lavoro.
Daniele Dodaro, fondatore di Squadrati, dopo aver pubblicato con molto clamore sui social media, il quadrato semiotico del rap italiano (che vi riportiamo qui sotto), ha risposto alle nostre domande.
Daniele a chi si deve questo exploit?
Al pubblico under 25. Il successo del rap in Italia nel 2017 è dovuto all’affermarsi di due tendenze: la ribalta della musica trap, un genere nato nella cultura hip hop del Sud degli Stati Uniti fatto di bassi dominanti, atmosfere cupe, hi-hat velocissimi (terzinati). A portare alta la bandiera della scena trap italiana ci sono Ghali, Tedua, Rkomi, Izi, Sfera Ebbasta e, nella versione allegri cazzari, la Dark Polo Gang.
La seconda quale sarebbe?
Un sotto-genere del rap che potremmo chiamare indie-rap, che si fonde col cantautorato (Dargen D’amico, Dutch Nazari) e/o fa l’amore con l’indie à la Calcutta (Carl Brave x Franco 126, Frah Quintale, Coez).
Per il 2018 in Italia cosa prevarrà?
La contaminazione continua ad essere di tendenza. La troviamo nel genere musicale: basti pensare a band come i Twenty One Pilots che sono difficilmente collocabili (sono rock? Sì, ma hanno ritornelli superpop e le strofe rappate). Ma è una contaminazione anche tra stili di moda, basti pensare al clash tra lusso e streetwear che domina le passerelle (un esempio su tutti, A$ap Rocky che diventa testimonial di Dior), ma è anche una contaminazione di generi sessuali, basti pensare ad A$ap e a tutta una schiera di trapper con treccine rosse e pellicce sintetiche (Lil Pump, Lil Uzi Vert Sfera Ebbasta )
Ci sono degli evidenti segnali di “italianità” in questi fenomeni?
Credo che il rap si sia sempre mosso tra due opposti: quello più zarro e ignorante e quello più “conscious” delle origini che non esista mica solo negli States ma che ha avuto e ha tanti esempi in Italia (es. Roma, Bologna ecc.) Mi sembra che questa opposizione sopravviva anche oggi in questa newschool fatta di trapper, molto zarri, pacchiani, vistosi, e indie rapper (o cantautorapper), che non sono zarri né nell’estetica né nei contenuti. Penso a Dutch Nazari che, in barba allo stereotipo di quei rapper zarri tutti donne e quattrini, canta “io soldi non ne ho ma proverò a far sì che ti basti un amore povero”.
Quanto è difficile intercettare anche per voi che li studiate scientificamente, questi nuovi gusti?
Come Squadrati facciamo molte ricerche sulle nuove tendenze e la musica, un po’ come la moda, è un ambito di ricerca molto importante per capire come si muove il mercato dei consumi: per capire cosa è cool oggi e cosa sarà mainstream domani. E infatti ci capita spesso di analizzare tendenze musicali e di moda per aiutare i brand e identificare un nuovo target o un nuovo testimonial.