Da quando Mirko Stocchetto al Bar Basso nel 1968 creò per “errore” il Negroni sbagliato, Milano si è affermata in Italia come capitale del bartending e dei cocktail. E in piena tradizione meneghina, dove il pensiero genera l’azione, subito il rito dell’aperitivo si è affermato. E con il fenomeno sociale sono proliferate le scuole dove imparare a preparare le bevande nella maniera giusta. Alla Mixology Academy di Viale Monza arrivano ragazzi da tutto il mondo ogni anno. Anche in questo momento di stasi del settore, nelle aule si lavora e si impara alacremente. “In accademia si effettuano corsi per barman e baristi internazionali con orari flessibili e si hanno certificazioni riconosciute in tutto il mondo“, ci racconta Matteo Crespi, 20 anni da compiere, subito approdato qui dopo cinque anni di istituto alberghiero a Correggio, provincia di Reggio Emilia.
Matteo, che vive la città a singhiozo per via delle intermittenze dei lockdown, ha deciso per il pacchetto global, quello che gli permette di avere anche rudimenti di caffetteria, latte art, contatto col cliente, gestione e management delle risorse di sala e di cassa. Il corso global bartender permette di lavorare anche in posti prestigiosi come i bar di hotel extra-lusso in giro per il mondo, un ruolo chiave del successo degli indirizzi di stile di questi tempi. “Sono molto contento di essermi spostato a Milano – racconta Matteo che sul suo profilo social racconta in foto e testo il suo percorso – , sicuramente c’è una grande scuola di bar e quando tutto si riprenderà voglio farmi le ossa in un grande luogo di frequentazioni internazionali per poi pensare di aprirmene uno io, magari sui Navigli“.
COME CI SI ALLENA OGGI – Il successo di un bar contemporaneo si misura sul fascino della cocktail list e di chi la prepara ma anche su come vengono gestite le porzioni per ogni drink, l’inventiva, l’ambiente. Poi ci sono le abilità legate al mixology stesso che Matteo sta mettendo a punto, idealmente erede di una lunga tradizione milanese che vede sempre l’innovazione dietro al banco come punto di fidelizzazione. Matteo Crespi racconta il suo training così: “Si va dal cimentarsi con i drink più famosi più velocemente, all’allenamento con le versate con l’acqua, per poi passare alle bottiglie, ciascuno nella sua postazione. Nella parte ‘merceologia’ ci insegnao la parte teorica, la provenienza dei distillati e la storia che c’è dietro scoprendone le proprietà assaggiando le differenze. Nel percorso ‘vintage’ invece, convergono tutte le spume, gli amari, le tecniche di utilizzo dei misurini. Per chi vuole c’è anche il ‘flair bartending’ quello acrobatico”.
Un mixologist moderno (sono richiesti in egual misura bar man e bar lady) può diventare di successo se si lega a un elemento di un cocktail specifico o se inventa un mix che piace ai più. Questo è successo a Milano storicamente in posti storici come il Camparino in Galleria e nei recenti templi della mixology che sono finiti nelle cronache mondiali. Savini, Cova e il Jamaica sono stati punti di riferimento delle notti milanesi partendo proprio dalla popolarità dei propri cocktail. Un amaro in particolare, il Ramazzotti, in pieno spirito anni Ottanta addirittura sulle tv nazionali coniò un claim pubblicitario (“Milano da bere“) così forte da passare alla storia non solo per simboleggiare un’epoca, ma per divenire l’assunto di un certo modo di vivere la metropoli degli anni rampanti. Fino al fiorire delle “Terrazze” dedicate alle più note case produttrici di cocktail e ingredienti, come Aperol, Campari, Martini.
STORIA DI IERI E OGGI – E pensare che Milano si diede alla creatività da bancone per rispondere alla Torino dei Savoia che aveva fatto del vermouth la bevanda di corte nell’Ottocento. Le 33 erbe dell’amaro Ramazzoti e poi il bitter Campari rosso divennero i simboli del bere in città.
Oggi che il mix più bevuto al mondo è l’Old Fashioned (cocktail da aperitivo a base di bourbon con scorza di arancia) la tendenza è sempre più verso sapori naturali e contro lo spreco. I mixologist del domani come Matteo Crespi lo sanno bene: “In Academy ci insegnano delle preparazioni con cose che altrimenti verrebbero buttate, come ad esempio la polpa di anans nel forno diventa decorazione. Anche al corso di fruit carving insegnano a usare un frutto per decorazioni, o la frutta frizzante e non sono cose scontate, tutta la preparazione è molto complessa. C’è poi l’insegnamento ‘Molecular’ che si riferisce alle gelatine di vodka e velluti con schiume e sapori del distillato particolare. Come nella cucina, anche qui c’è un trend”.
Il futuro di Matteo, ora , è tutto pilotato dalle scelte che farà appena la pandemia allenterà la morsa. L’Academy ha un buon servizio placement che si chiama Bartenders Job: “Milano è il posto giusto per muoversi nella miscelazione, si lavora bene e si fa una grande gavetta. Sto valutando anche l’esperienza all’estero per perfezionare l’inglese e puntare a diventare abassador degli spirits che più mi piacciono. Questo lavoro è molto versatile e offre la possibilità di fare la differenza sotto casa come nell’hotel di lusso ai Caraibi o a Dubai“.
Fotografie di Matteo Crespi in esterna: Jacopo JackyPhoto