Dopo l’esportazione del colorato K-Pop, per la Corea del Sud è il momento della K-Beauty. Perché non solo le compratrici dell’avantissimo popolo asiatico sono affamate di brand occidentali (il successo di Givenchy beauty recentemente è stato epocale).
Ma, come in un rigurgito di nazionalismo estetico, sono proprio ora loro, i coreani, a fare da leader nei segreti di bellezza a livello mondiale.
K-beauty è sinonimo del vivace quartiere di Myeongdong di Seoul che ospita negozi di cosmetici locali che impiegano estratti di lumache, un ingrediente distintivo dei prodotti di bellezza coreani le cui promesse di pelle luminosa, avvolti in accattivanti confezioni, hanno attratto i consumatori del paese e non solo.
Negli ultimi cinque anni, le esportazioni di K-beauty sono cresciute da 1 miliardo di dolalri nel 2012 a 2,64 miliardi nel 2017, secondo il Servizio doganale della Corea. L’ondata è andata di pari passo con l’hallyu, un’onda culturale della Corea del Sud che ha investito il mondo, specialmente in Cina. Ma nonostante la ripresa, i marchi coreani stanno affrontando una crescente concorrenza in patria da parte dei giocatori del lusso globale.
E da noi vanno forte loro. Proprio i marchi K riuniti nel multi-brand MiiN che ha aperto a Milano, dopo aver fatto man bassa nelle capitali mondiali fin dal 2014. Qui si trovano alcuni marchi in esclusiva come Klairs, Aromatica, Son & Park, Benton e Shangpree che sono già i favoriti delle make-up addicted.
Ci sono molte maschere e sieri anti-age nella collezione beauty coreana. L’assortimento privilegia le machere in tessuto di Leegeehaam e i patches al sambuco nero. E poi la mitica Beauty Water che chissà per quale congiunzione favorevole, è la più ricercata al mondo nel suo settore.