In principio era il Forum, chiamato con i nomignoli più improbabili (per anni Filaforum) a seconda degli sponsor. Con l’apertura in piena estate dell’Apple Store in piazza Liberty, Milano continua la sua fase di (s?)vendita ai marchi internazionali di intere fette iconiche di città.
Apple è arrivato con un colossale progetto di Norman Foster nella ridente piazza su un lato del Duomo che di Liberty non ha proprio niente. A ben vedere lo sprofondamento del pavimento richiama le sunken square dei paesi nordici che per ripararsi dal freddo hanno sempre privilegiato sotterranei riscaldati.
Certo, la fontana con il logo ben in evidenza è di impatto in tutti i sensi e sembra fatta apposta per esercitarsi con i costosi dispositivi che il centro Apple vende a pochi metri sotto: cioè farsi selfie a volontà.
La pietra, l’acqua e il vetro sono un omaggio all’italianità nell’idea dei progettisti. Ma sicuramente le migliaia di persone in fila questa settimana non se ne sono accorti, volevano vedere l’impronta “americana” del progetto in una piazzetta che fino a poco tempo fa era considerata di passaggio. E che ora con la “Mela” in bella vista sarà una destinazione.
Sul sito della Norman Foster Partners si legge: “Apple Piazza Liberty riunisce due elementi fondamentali: una piazza a scale e una fontana, in una delle aree pedonali più famose di Milano. Una celebrazione delle gioie della vita cittadina, l’acqua è un’esperienza multisensoriale e interattiva. I visitatori possono entrare attraverso un ingresso di vetro ricatapultati nei giochi da bambini”.
Più che del design, effettivamente ammirevole, bisognerebbe discutere dell’opportunità di affidare pezzi interi di città a un marchio che vende prodotti commerciali. Apple non ha riqualificato un’area periferica in disuso: si è impiantata in una strategica piazzetta di privilegiato passaggio mettendo il suo logo in bella mostra.
E ora che Tim Cook sta traghettando l’azienda verso lidi di social responsibility finora inesplorati, anche questo è un target da considerare. Poco cambia che il concerto di inaugurazione, della pur brava electro-star LIM, sia stata una gratuita occasione di godere dell’apertura per tutto il pubblico. Uno sradicamento architettonico di questo peso necessita di una restituzione alla città: che siano bellezze o servizi, saranno iniziative che saluteremo con interesse.
Un po’ come ha fatto Samsung a Porta Nuova. Vero, la presenza è ingombrante tanto che si parla di Samsung District, ma le attività culturali e divulgative nell’area non sono mancate.
Il turismo dei brand e delle loro cattedrali di vendita e brand awareness nel centri delle città all’avanguardia non conosce sosta. Chi non va a vedere l’Apple Store di New York almeno una volta nella vita? Chi non è interessato a capire cosa succederà a Piazza Cordusio a Milano quando aprirà in autunno Starbucks? Nel palazzo delle Poste Italiane arriva il marchio di caffè americano che è nei progetti, la seconda Reserve roastery and tasting room al mondo (dopo la prima aperta a Seattle nel 2014. Addirittura Milano precederà Chicago, ma bisogna andarci piano perché se di brand awareness si tratta, l’impianto delle palme sposnorizzato dalla multinazionale nel 2017 ha creato più scompiglio che altro.
Il tutto farebbe pensare a un insediamento soft del progetto, che infatti prevede un’immersione nel mondo del caffé con mostre e divulgazione. Chissà se verrà previsto anche una nicchia di storia per quello che è l’antitesi del caffé americano, ovvero l’espresso italiano, in omaggio alla terra che ospiterà il colossale punto vendita.
Foto d’apertura Apple Store Milano: Stefano Regina per The Way Magazine