“Lavia dice Leopardi” e “Le Favole di Oscar Wilde” sono i due recital che il grande attore Gabriele Lavia ha portato in giro per l’Italia questa estate. Visto di recente a Villa Campolieto (Ercolano, Napoli, per il Festival delle ville vesuviane di cui vi abbiamo parlato qui), Lavia ha fatto un’operazione di sentito tributo a due personaggi chiave della vita culturale mondiale.
Lavia «dice Leopardi»: dice, perché non legge né interpreta, ma riversa sul pubblico, in un modo assolutamente personale nella forma e nella sostanza, le più intense liriche leopardiane, da A Silvia a Passero solitario, dal Canto
notturno di un pastore errante dell’Asia a La sera del dì di festa. Per Gabriele Lavia le poesie di Leopardi non si riconoscono dalle parole “ma basta il loro suono”. Ed è un punto centrale della rappresentazione che l’attore ne fa.
Leopardi soggiornò a Pisa nove mesi fra il 1827 e il 1828, dove sembrò rinascere, e ritrovare un equilibrio che lo portò a stemperare di nuovo nella dolcezza dell’intuizione poetica il disincanto e l’amarezza delle Operette morali. L’attore
e regista milanese vuole rendere omaggio al poeta, al suo soggiorno pisano, a quella sua nuova voglia di sondare la parola e il suono in un momento della sua esistenza che si tramutò in esaltante creatività artistica. “Le poesie di
Leopardi sono talmente belle e profonde che basta pronunciarne il suono, non ci vuole altro. Da ragazzo volli impararle a memoria, per averle sempre con me. Da quel momento non ho mai smesso di dirle. Per me dire Leopardi a una platea significa vivere una straordinaria ed estenuante esperienza. Anche se per tutto il tempo dello spettacolo rimango praticamente immobile, ripercorrere quei versi e quel pensiero equivale per me a fare una maratona
restando fermo sul posto”.
Nell’altro recital, Gabriele Lavia affronta per la prima volta le favole di Oscar Wilde, una lettura come solo un grande maestro del teatro può presentare a un pubblico che è rimasto lontano dalle sale teatrali forse troppo tempo. La grande voglia di teatro e di partecipazione riporta l’attenzione degli spettatori all’attenzione al presente, attraverso la genialità di Wilde. Lavia sapientemente ricerca in questi testi il pretesto per abbandonarci all’ascolto di storie fantastiche, che alludono alle contraddizioni di una moralità che condiziona spesso la nostra vita. All’apice della notorietà lo scrittore inglese scrive alcune fiabe per i figli Cyril e Vyvyan, allora bambini: sono storie malinconiche, popolate da personaggi memorabili. Principi ingenui, regine in incognito, giganti insicuri, usignoli generosi, fattucchiere piacenti, razzi vanitosi e nani da circo: l’intento era quello di divertire e, soprattutto, educarli a una vita giusta e felice i due bimbi. Tra le righe, la difficoltà di mantenere una doppia vita, tra un matrimonio di facciata e l’omosessualità difficilmente occultabile. teatrostabiletorino.it Il grande interprete e regista ha scelto per questa serata Il Principe Felice e Il razzo eccezionale.
La statua del Principe Felice e la piccola rondine, non sono che due varianti del carattere di Wilde: mondano e godereccio l’una, malinconico e compassionevole l’altro. Attraverso una critica alla società vittoriana inglese lo scrittore mette alla gogna politici, intellettuali cattedratici, una famiglia borghese. Wilde esalta i bambini che nella loro ingenuità vivono di sogni e se la prende con chi, da intellettuale scettico e razionalista, ridimensiona le loro fantasie. Il razzo eccezionale è una novella sarcastica, una divertente satira dell’ipocrisia borghese: protagonista del racconto infatti è un razzo egocentrico ed arrogante. Autoproclamatosi protagonista di uno spettacolo pirotecnico organizzato dal re, constaterà a proprie spese quanto sia poco saggio trattare gli altri in maniera irrispettosa e come l’arroganza, alla fine, non paghi.