Le città sono al centro dell’Agenda 2030 delle Nazioni Unite, importanti attori per la realizzazione degli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile. Esse ospitano ormai più della metà della popolazione mondiale e generano l’80% del PIL globale e il 70% delle emissioni di GHG (UN Habitat, 2011, UN DESA, 2014). In questo contesto le città e i loro sistemi territoriali di riferimento sono chiamati a essere player centrali nella governance globale per lo sviluppo sostenibile e soggetti proattivi nel consolidamento di un sistema istituzionale e regolativo efficace che favorisca nuovi modelli e strumenti di cooperazione internazionale.
«Questa missione – anticipa Alberto Brugnoli, professore delegato dal Rettore dell’Università degli Studi di Bergamo alla Cooperazione Internazionale allo Sviluppo – esige sempre più una proporzionata ripartizione delle responsabilità tra tutti i soggetti del processo di sviluppo: istituzioni sovranazionali, governi nazionali e locali, parti interessate del settore pubblico e privato. La ripartizione adeguata di tali responsabilità porterebbe a valorizzare opportunamente il potenziale dei vari attori, attraverso il consolidamento di consone capacità istituzionali e il rafforzamento dell’approccio multi-livello e multi-stakeholder»
In Italia Bergamo risulta essere, per diverse condizioni createsi con il tempo, un “case-study” molto interessante per gli organismi internazionali coinvolti. Questi i temi attorno ai quali ruota il convegno “Città e Cooperazione Internazionale allo Sviluppo” organizzato dall’Università degli Studi di Bergamo di recente, che è caduto anche strategicamente nell’anno del 50esimo anniversario della fondazione dell’ateneo.