Da quando il Guggenheim di New York nel 2015 gli ha dedicato la finora più grande retrospettiva, Alberto Burri è diventato di nuovo un protagonista dell’agenda artistica mondiale.
Quest’anno è uscito “Alberto Burri. Il Grande Cretto di Gibellina”, il volume edito da Magonza, che rende omaggio al grande artista, attraverso le parole di Massimo Recalcati, che reinterpreta l’immagine con gli strumenti della psicoanalisi, e gli scatti inediti in bianco e nero di Aurelio Amendola.
L’anno scorso, nel centenario della sua nascita, la Regione Sicilia ha deciso di completare l’opera di land-art più grande che porta la sua firma, sulla quale l’artista aveva lavorato tra il 1985 e il 1989. Burri, scomparso nel 1995, riprendendo delle crepe delle terre argillose, aveva realizzato opere decisamente monumentali come i Cretti di 5 metri di altezza e 15 metri di base per i musei di Capodimonte a Napoli e di Los Angeles. Ma il progetto più ambizioso fu quello sul vecchio abitato di Gibellina, in provincia di Trapani, distrutto dal terremoto nel 1968, chiamato “il Grande Cretto di Gibellina”, che in origine copriva circa 65.000 mq. a fronte degli 85.000 mq. previsti.
Il progetto di Burri nelle sue forme riporta la dimensione, le strade, i rilievi della città. Esattamente come un sudario riporta le forme del corpo che avvolge. Riprendendo le sue opere in medie dimensioni, quelle su cui aveva lavorato negli anni 70, usava cellotex, quadrate o rettangolari, distende un impiastro di bianco, di zinco e colle viniliche, realizzate con essiccamento.
Oltre ad ammirare il Cretto di Capodimonte, a dicembre (dal 12) a Pescara si può visitare la mostra alla galleria Vistamare intitolata “Burri cicli scelti”, con il meglio della produzione grafica dell’artista.
In foto il Cretto di Alberto Burri al Museo di Capodimonte a Napoli