Le figure femminili di Vittorio Contrada spiccano nella personale “Andare Oltre”.
Allestita a cura di Daniela Ricci (31 maggio-25 giugno 2017) nelle sale espositive del Castel Dell’Ovo (tutti i giorni feriali dalle ore 10,00 alle 18,30 e tutti i giorni festivi e la domenica dalle ore 10.00 alle 13.00) la mostra espone 100 opere dell’artista nato a Tripoli, da sempre attento alle problematiche sociali interconnesse alla rappresentazione artistica.
La tecnologia silenziosa, impalpabile, ingannevole, tossica, ci fa riflettere sul senso delle cose perché generatrice di nuove preoccupazioni e incertezze. Venuti meno i predatori naturali della realtà-illusione, sogno, passione, follia, artificio, l’analisi delle esperienze quotidiane è complicata dalle innumerevoli percezioni sensoriali, a cui siamo sottoposti da parte di un sistema che sviluppa incessanti comunicazioni diversificate in forme e codici. Ecco perché i lavori del Maestro Vittorio Contrada, si presentano come “frammenti” di una società che brucia all’istante ciò che crea.
Attraverso le sue opere, l’artista, classe 1937, propone “un viaggio esistenziale” con circa 100 opere, per riuscire a rovesciare le cose, distoglierne la consuetudine, decostruire la rappresentabilità, per interrogarsi su temi di palpitante attualità come l’emigrazione, il vagare dei popoli, la dignità, i valori, la natura violentata, la scienza incontrollata, il malessere dell’uomo contemporaneo, i diritti dell’uomo, compresi quelli di continuare a sognare.
Le opere alternano armonia e dissonanze componendosi nella riserva dell’impossibile da un lato, e come naturale proseguo metalinguistico che dilata il tempo traducendosi in una proiezione ragionata di verità interiori, da un altro. Autodidatta da sempre appassionato di pittura, della sua infanzia ha conservato i colori della terra africana. In ogni sua opera, infatti, il visitatore, è rapito da cromatismi accesi, a volte incandescenti carichi di fattura pittorica che attraverso luci e ombre, riescono a raccontare della natura in tutto il suo splendore attraverso un profondo spirito di osservazione e uno spiccato senso artistico.
Le sue opere indagano a volte il silenzio dei corpi femminili, la straordinaria suggestione del sacro reso con colori materici, evocando il legame saldo e sempre aperto con la rappresentazione di quell’antico inquieto e ambiguo destino che la maternità rappresenta per tutte le donne madri e non. L’immagine si ribella a se stessa e agisce come forza purificatrice e catartica: una dimensione in cui l’artista è egli stesso il generatore di una nuova visione del reale. Tutto il lavoro, intende far riflettere sulla condizione dell’uomo contemporaneo costretto all’incomunicabilità, al disagio del vivere in un mondo nel quale apparire e mostrarsi è ormai diventato l’impegno più comune.
Leit-motiv di tutta la mostra, la figura femminile, essenza e messaggera di vita, icona dell’ambiguità, del disordine e della bellezza, archetipo anche dell’irrazionalità e della sregolatezza umana, concepita dall’artista in tante faccende del quotidiano per riflettere sulle nostre radici, memorie, tracce, sentimenti ed emozioni con tutte le implicazioni filosofiche che i temi trattati comportano: soprattutto quello relativo alla condizione della donna nei secoli. Una sorta di promemoria dedicato alla femminilità e alla storia per non dimenticare il passato, trattenere nel presente e conservare per il futuro le sue parti meno esplorate, più silenziose, ma non per questo meno significative.
In foto, particolare dell’opera La Ceramista, 2017