Walter Scalzone è un nome noto a Dubai. Tra yacht di lusso e locali notturni da mille e una notte, tutti conoscono questo ragazzo del sud Italia che con le sue percussioni movimenta i party dei ricchi e le serate degli expatriates, che qui sono una vera comunità sovrapposta ai locali. Lo abbiamo incontrato perché considerato il miglior percussionista negli Emirati Arabi da diversi clubs di Dubai. Il suo ritmo made in Italy è un’ennesima espressione del know-how italiano: comunicare, anche in musica, alla nostra maniera e avere successo all’estero è un riconoscimento che ci inorgoglisce. Se solo la sua patria si accorgesse di lui, sarebbe un cerchio che si chiude.

Walter, hai solo 28 anni e dal 2012 sei negli Emirati Arabi. Come sei finito a Dubai?
Vi racconto il mio viaggio, che è parallelo anche alla mia carriera. Parto dalla provincia di Caserta nel 2007, zona difficile per noi ragazzi, e dapprima arrivo in Spagna, dove a Madrid inizio a fare performance al Taboo, un noto locale della città nel quartiere di Malasaña. Da lì ho capito che il mio amore per le percussioni stava diventando qualcosa di più di un hobby.
Dove sei stato poi?
Inghilterra e Cina. Noti DJs come Kryder, quando vivevo a Manchester, mi hanno insegnato a contaminare l’arte delle percussioni con diversi generi musicali. Mi sono anche avvicinato alle lezioni ma poi ho capito che la forza dei percussionisti è nella varietà di strumenti e nell’energia che si trasmette ad un pubblico. La forza dei miei spettacoli è dovuta anche questo, a tamburi appartenenti a diverse culture e parti del mondo. Sono un misto di elettronici e acustici. Per questo, per una forma di comunicazione come la mia, più della tecnica ci vuole il feeling e quello che si riceve indietro dalle persone che ti ascoltano è un ringraziamento emotivo forte.
Parlaci dei tuoi strumenti che usi nelle serate.
Ho iniziato con percussioni africane. Il djembè del Senegal è tra i miei preferiti, perché mi ricorda le mie esperienze d’infanzia. Ci suono una media di un paio d’ore al giorno, se non ho i tamburi pratico con un tavolo o uso il mio corpo per trovare i miei beat. Fino a qualche tempo fa il mio strumento poteva creare disagi ma nel 2010 la Roland lanciò una percussione elettronica che pratico in cuffia e che mi ha dato libertà di esercitazione ovunque mi trovi.
Poi c’è il pezzo forte, che è il tuo marchio di fabbrica, The Wa(l)ter Drums.
È la centralità di uno show d’impatto e unico nel suo genere nell’intero Medio Oriente. È un set di tamburi che ha sopra dell’acqua pompata direttamente da me che al percuotere della membrana crea un effetto sonoro e scenografico unico. È un’innovazione americana, lì lo suonano con la pittura invece che con l’acqua. Al momento ci sono solo cinque percussionisti al mondo che lo usano, e uno di questi sono io, il che mi rende orgoglioso, specialmente perché sono un italiano che si esibisce con uno strumento che non è in vendita. L’ho progettato con mio padre che è ingegnere e con i suoi operai, tra i quali un eccezionale fabbro e un idraulico.Ho sempre creduto nell’importanza del visual, ovvero di una prospettiva visuale dei live show molto forte. E’ un modo per coinvolgere il pubblico durante le performance, si divertono a fotografare e riprendere l’esibizione.
Qual è il tuo primo ricordo con i tamburi?
Mia madre a Castelvolturno, provincia di Caserta, lavora a stretto contatto con la grande comunità africana che si trova in quelle zone. Al pomeriggio, dopo la scuola, mi portava con lei e per ore io mi ricordo di essere rimasto con questi bambini che suonavano con qualsiasi cosa gli fosse messo davanti. Ho scoperto che loro avevano dei tamburi tipici della loro cultura e questa vicinanza mi ha fatto senz’altro bene. Suonavo con loro prima che diventassi teen-ager. I bambini degli immigrati a Castelvolturno sono una forza, un’energia unica che porterò sempre con me.

E invece il primo show con un dj?
Carmine Russo è il mio primo ricordo di collaborazione con un altro artista. E’ un grande dj con il quale sono cresciuto e farei una grande rimpatriata, magari nel mio paese d’origine, avendo sul palco tutti i miei amici d’infanzia, come Emiliano Barrella, grandissimo batterista.
Ti pesa essere all’estero e non essere riconosciuto dagli italiani?
La mia gavetta mi ha portato a suonare in locali prestigiosi come Pacha, Buddha Bar in ben 10 paesi…Attualmente sono un percussionista internazionale e residente del Nikki Beach Dubai e del Billionaire Dubai di Flavio Briatore. Non ho abbandonato l’Italia. Girare il mondo per me è stata una necessità perché a Castelvolturno ho sempre pensato che potevo fare di più ed esprimermi meglio contaminando con altre culture il mio percorso.
Hai mai pensato a un piano B?
Sì, se non fosse decollato il tutto, mi ero comunque spostato da casa per andare a Milano per studiare Marketing internazionale, un corso di studi che ho concluso a Madrid per due anni. Poi ho fatto un master in Inghilterra che ho terminato in Cina con un intership. Ma io cercavo un posto che unisse il sole, la musica e la libertà…
E l’hai trovato a Dubai?
Quando sono arrivato a Dubai dalla Cina nel 2012 avevo solo un amico. Avevo sempre visto questa terra come un posto giovane da esplorare. Non è stato sempre facile prima di arrivare qui. In Inghilterra sono andato forte un anno ma non mi trovavo bene, sognavo la California e mi son trovato a Dubai dove c’è il sole tutti i giorni e dove qualità della vita è alta.
Molti pensano che sia un paradiso costruito per i ricchi. Tu come lo vivi?
C’è un’opportunità per tutti, soprattutto per i creativi. La novità viene vista di buon occhio perché è come vivere in un villaggio turistico tutto l’anno pieno di attrazioni. Ma come tutti gli altri Paesi, anche qui è importante trovare la propria comfort zone, per poi uscirne ed entrarci di nuovo. È vero, non c’è storia e non c’è naturalezza, ma il progresso è un valore importantissimo. Inoltre, mi affascina molto il cosmopolitismo che si respira, mi son trovato in serate a suonare tra arabi, inglesi, spagnoli. Nel mio caso vuol dire essere sempre preparato a offrire set di percussioni che vanno dal mondo arabo al mondo europeo. L’ho imparato facendo serate in 40 locali diversi in meno di 4 anni.
Lasciamoci con un sogno: il tuo quale potrebbe essere?
Credo che un sogno già lo sto vivendo…sto per partire per le Mauritius per uno show per Cafè del Mar, con un grande DJ nel panorama della musica house tropicale, DJ Melohman. Le Wa(l)ter Drums sono state selezionate per una competizione internazionale lanciata dalla Glenfiddich e per un tv show in Egitto, dopo un grande show nel club più grande di Abu Dhabi, il Mad. Se proprio dovessi scegliere una meta sognerei Ibiza e una performance a Las Vegas. Ma poi tornerei a Dubai.
Per veder le performance di Walter Scalzone qui