Se l’ultima frontiera del corpo è diventata la perfezione, la cura costante e maniacale fino all’intervento che lo modifica, in un inseguimento insensato dell’eterna giovinezza: ecco è arrivata l’ora di ribaltare la prospettiva, di ridargli, appunto, senso. Virgilio Sieni da anni lavora su un’idea di democratizzazione del corpo («Il corpo è politico quando agisce, ma soprattutto quando si mette in una forma inoperosa rispetto al profitto»), del corpo di tutti: bambini, vecchi, persone con disabilità, gente comune impegnati in azioni collettive.
Come “Cammino popolare” promosso da Fondazione Feltrinelli con Triennale – Teatro dell’Arte, realizzato il 1° maggio nello spazio antistante la Fondazione e come “Cammino” che si farà domenica 7 maggio a Brescia in Piazza della Loggia, ore 11.30 (www.teatrogrande.it/) e a Como in estate.
Così, io vecchia signora acciaccata ho “camminato” accanto a una giovane attrice, a uno scultore, a una commercialista, a un’insegnante di tango, a una scienziata ambientale, a una signora con stampella, a una ragazza e un ragazzo down, a signori vecchietti come e più di me, a una osteopata, a ragazzine dodicenni e sì, anche accanto a qualche danzatore. Si impara a camminare in un certo modo senza forzare, senza ciondolare, considerando gli altri, con lo sguardo, con il tocco della mano sulla spalla di quello davanti o di fianco («senza dimorarvi») a girare e tornare indietro con calma e senza perdere di vista chi ci sta attorno («cercando un coinvolgimento con il primo e l’ultimo passo»).
Eravamo 150 e più, il 1° maggio, suddivisi in vari gruppi, ciascuno aveva preparato delle coreografie, piccole cose da un minuto e mezzo o poco più, da “depositare” lungo il cammino. I più abili erano impegnati in azioni più complesse (Daniela che cade all’indietro, sicura di trovare le nostre mani a sorreggerla) o a supportare i più imbranati (grazie, Angela!), mentre il gruppone ti passava accanto, o ti raccoglieva con gesti e sguardi. Si correva con le braccia avanti come a brancicare lo spazio, ci si buttava ginocchioni consapevoli che ci sarebbe stata una mano a rialzarti, si battevano le mani al ritmo del passo del respiro comune da cercare per procedere insieme, avvolti e infradiciati da una pioggia battente da un tappeto sonoro assai diverso dalle prove del giorno prima – assolato – corpi bagnati che si toccano, passi sciaguattanti, nylon sgocciolante, mani che sprizzano acqua battendo l’una con l’altra, sfregamento di gomma nelle piccole pozze… Sopra a tutto la voce di Maurizio in capo al gruppo, alto e rosseggiante in una mantella imper (assistente di Sieni con Matteo e Elisabetta) che “chiama” i vari gruppi e dà inizio alle varie azioni (e naturalmente Virgilio, che cammina con noi).
Dopo un’ora eravamo felici, inzuppati, adrenalinici, toccati dalla malia della “cosa” straordinaria che noi, proprio noi, io stessa, avevamo creato. Qualcuno s’aggirava contento e smarrito: e da domani che cosa faccio? Del resto, Viriglio Sieni, coreografo e danzatore che ha scaravoltato il senso di queste due parole, lo dice da anni che la danza è uno strumento di conoscenza di sé, di consapevolezza che tutti abbiamo un corpo e attraverso di esso si arriva al pensiero. Non a caso “Atlante del gesto” si intitolava la performance di inaugurazione della Fondazione Prada nel 2015, perché «il gesto annota lo scorrere del tempo sul corpo. E io ho la necessità di sentirmi nuovo in un continuo risorgere».
Testo a cura di Silvia Bergero