Silvia Frattolillo ci ha aperto le porte dei suoi ricordi e della sua professione e per il tempo di un’intervista ci siamo visti passare la storia dello showbiz italiano davanti. Silvia è una famosa e talentuosa costumista e curatrice di immagine di grande prestigio. Ha lavorato in tutto il mondo: in Italia a Roma e Milano per i più grandi show di Rai e Mediaset. L’ultima popolare produzione tv che ha seguito è stata “Nemicamatissima” con Heather Parisi e Lorella Cuccarini su Rai Uno.
Noi l’abbiamo approcciata perché ha disegnato i costumi dei fashion show del progetto teatrale “Men in Italy”, di cui vi abbiamo parlato qui. “Quando mi è stato proposto – ha detto la stilista – ho pensato che sarebbe stata una bellissima sfida. Bisognava uscire dall’ovvio, tenere fermo il timone sulla rotta dell’ironia, della bellezza e sex appeal, mantenendo un profilo di immagine alto. Ho cominciato con una lunga ricerca cercando di mischiare fashion e creatività, tenendo il focus sulla bellezza del corpo maschile”.
STORIA – Silvia Frattolillo ha esordito nel 1977 con il grande cinema, come assistente di Piero Tosi e di Alberto Verso. Nel 1981 si trasferisce a New York dove ha vissuto per 7 anni collaborando come costumista con Rai Corporation, HBO ed altri importanti cable Tv.
Il suo primo film firmato da costumista è di Alberto Sordi, nel 1987, Un tassinaro a New York. Successivamente si dedica al teatro e al varietà, con 10 anni da costumista a fianco Pietro Garinei collaborando con lui al Sistina in Vacanze Romane, Un paio d’ali, Meno male che c’è Maria e molti altri.
Per il varietà televisivo e non, il suo regista e coreografo di elezione diventa Gino Landi, poi collabora con Bill Goodson e Daniel Ezralow e agli show tv di Pippo Baudo, Carlo Conti, Paolo Bonolis, Fabrizio Frizzi, Lucio Dalla ed Enrico Montesano. Se vedete qualunque apparizione tv di Adriano Celentano dal 2001 a oggi, tutta l’immagine è costruita da lei.
Silvia, lavori da anni in un contesto fortemente legato all’immagine. Come è cambiato il tuo ruolo nel tempo?
Purtroppo chiunque pensa di poter fare immagine, a volte ci sono degli improvvisati. Ma nonostante l’importanza dell’immagine e della presentazione estetica, spesso la conduzione, gli ospiti o la macchina che c’è attorno rischiano di schiacciare i costumi come se fosse un aspetto meno importante. Se ci pensi, in uno spettacolo, quello che ti ricordi di più alla fine è l’estetica.
Come hai lavorato allo spettacolo con Iva Zanicchi che arriverà a Capodanno a Milano?
Intanto se vuoi confrontarti a teatro con il mondo fashion, devi levare l’ovvietà. Poi, trattandosi di uomini, ho tenuto bene in mente il confine tra volgarità e bellezza. Se hai gli uomini in ambito strip o portatori di una sensualità efficace dal punto di vista della comunicazione del corpo, bisogna fare ricerca approfondita sui mood. Quindi, i filoni erano déjà vu, come marinai, Casanova, e da lì inizi a pensare, a scontrarti con il budget. La produzione è stata molto collaborativa e volevano una persona lontana dal tema in oggetto. E sono subentrata io da Roma e mi sono accordata per l’ideazione di costumi che potessero rispecchiare l’idea di Bill Goodson, con cui lavoro da anni.
Lui è un coreografo prestigioso, tu una costumista dal bagaglio inestimabile. Come si crea in questo contesto?
So istintivamente cosa preferisce. Il colore, il sogno, il romanticismo. I ragazzi li hanno scelti durante l’ideazione del progetto, ho disegnato i vestiti senza vederli ma sapevo che sarebbero stati scelti uomini di un certo tipo, un minimo di intuito ci vuole. Bill ha idee molto chiare, io devo interpretare una visione per ogni quadro. Quindi siamo andati da un’idea molto fashion alla John Galliano, di alto profilo per poi riportarci nel mondo della fantasia, con gladiatori anche un po’ fetish e armature però sempre col sorriso.
Crei in maniera diversa, per il teatro e per la tv?
Ciò che vedi a teatro e in tv è completamente diverso. In teatro devi fare cose grandi in teatro e molto marcate, in tv hai la telecamera devi essere attento al detaglio, non puoi essere grossier. Però essendo lo schermo piccolo, bisogna anche stare attenti alle proporzioni e alla grafica del costume, devi tirare fuori il carattere dell’outfit in pochi secondi.
Tu cha hai fatto i grandi varietà dell’epoca d’oro, dagli anni 80 in poi, ne avrai visti di cambiamenti!
È cambiato tutto ma non ho nostalgia, sono molto felice di aver cavalcato professionalmente un momento di grande attenzione per la professionalità. Io nasco al cinema come assistente di Piero Tosi, ho avuto grandi maestri. Gli spettacoli che si vedono su Techetè, la maggior parte li ho fatti io! Bisogna cambiare col mondo che cambia, pggi la riuscita di un progetto si basa anche sulla velocità di quello che sei capace di assorbire, ora è tutto molto più fruibile ed è chiaro che anche il modo di fare spettacolo deve cambiare.
Ricordi qualche insegnamento in particolare?
Una volta lavorando con Daniel Ezlarow, fondatore dei Momix e attore e coreografo nei programmi con Adriano Celentano, mi ha detto: “Tu devi sempre pensare al fatto che noi siamo chiamati a nobilitare quello che va in onda, migliorare con i mezzi che abbiamo”.
Cosa ti piace di quello che vedi oggi in tv?
Lo spettacolo va avanti, se lo accompagni con il movimento culturale intorno a te va in una direzione, inutile opporsi. Bisogna prendere la possibilità di migliorarlo e nobilitarlo e metterci della propria fantasia. Con Luca Tommassini, ad esempio, ho lavorato a Sanremo, vedo quello che fa nei talent show. Quello è un modo di trasformare i ragazzi sul palco o in un talk show in personaggi dal nulla. Per me è un diverso modo di affrontare la costruzione dell’immagine, è qualcosa di diverso perché noi lavoravamo col talento affermato, oggi sono tutti format televisivi che coinvolgono varie professionalità per la costruzione di qualcosa di nuovo.
Succedono ancora cosa interessanti?
Beh, per dire il programma Dance Dance Dance (il talent show di FoxLife che mette in competizione 8 coppie di celebrità, ndr) è partito in un modo, poi è cresciuto. Evidentemente hanno visto potenzialità e quindi hanno chiamato poi gente sempre più qualificata a farlo. Nemicamatissima con Lorella Cuccarini e Heather Parisi è stata una grande produzione.
Che tu hai seguito, ovviamente. Raccontaci di questi “dietro le quinte” ormai già leggendari, con le tensioni delle due dive. Ci sono davvero stati?
Io ho lavorato bene e con tanta energia. C’era voglia di ritornare, con i costumi Heather ci teneva molto a tornare all’oggi. Voleva mantenere identità donna adulta, si è proposta non più come la ragazzina ma signora di 50 anni con grande carica artistica ma non più disposta a essere la ballerina sorridente e basta. Lorella era più flessibile. Poi ovviamente dietro le quinte c’era il panico, polemiche dall’esterno non hanno aiutato. Heather interpretava le coreografie, io nel mio sono stata molto felice di aver fatto un passo importante e costruire il ritorno di due figure iconiche della televisione.
A volte si dice che in tv lavorano costumisti e non stilisti, come per sminuire i meriti di chi fa i vestiti. Cosa ne pensi?
Ti ribalto il concetto, e ti dico che per esempio Lorella Cuccarini per quello show è stata vestita da Fausto Puglisi e noi coordinavamo e adattavamo. Heather Parisi era vestita da Giada Curti. Quando lavoravo in teatro nel 2000 con Barbara D’Urso per “E meno male che c’
Se ripensi agli inizi, cosa ti viene in mente?
Significa molto per me aver cominciato con il grande cinema, Piero Tosi, Mauro Bolognini ho avuto l’ingresso dalla porta principale, uscendo dall’Accademia negli anni Ottanta. Poi sono andata negli USA volevo fare esperienza per sganciarmi dalla realtà italiana che reputavo sempre alta ma un pochino provinciale. Avevo 20 anni e voglia di fare altro, per me è stato importante stare a New York, in sette anni ho visto davvero tutto. L’ultima cosa che ho fatto lì è stata per “Un Tassinaro A New York” di Alberto Sordi e sono tornata in Italia.
E a questo punto c’è stato l’incontro con la tv.
Certo, con Gino Landi, lui era un fuoriclasse all’epoca. Ricordo che Pippo Baudo nei grandi show controllava tutto, ma per balletti e costumi si affidava totalmente a Gino. E io in quel momento col bagaglio d’esperienza che avevo, ero con possibilità creative triplicate. Gino Landi è stata una delle personalità più decisive per la tv italiana.
La prima esperienza tornata in Italia?
La prima cosa che ho fatto con lui è stata Serata d’Onore, da Montecatini. Per me una svolta, una diretta lunga con tutto live e dei cambi d’abito repentini. Un cardiopalma, dovevi fare bene e basta. Mi ricordo di essermi ritrovata a cambiare d’abito alle persone come le gomme durante 3 minuti di stacco pubblicitario. Cambiavo 35 ballerini. Poi ricordo un progetto di Rai Uno a Taormina: in due serate mettemmo dentro tutti i grandi film e passavamo dalle ambientazioni del Gattopardo a Pirandello con 60 ballerini. Alla fine delle due serate sono scesa da Baudo, siamo andati alle roulotte dove c’erano tutti gli assistenti: piangevano tutti per lo stress accumulato, è stata davvero una sfida.
Hai molti uomini nei tuoi ricordi, come mai?
Perché i miei maestri, contrariamente a quanto si possa pensare, sono stati tutti uomini. Dal varietà di Gino Landi e Pippo Baudo, che è stato anche testimone di nozze per me, a Pietro Garinei al Teatro Sistina, dove ho fatto costumi per dieci anni, sui musical veri, quelli con i grossi mezzi. E poi più recentemente i miei sodalizi con Carlo Conti, Fabrizio Frizzi, Paolo Bonolis, Adriano Celentano e Giorgio Panariello. Ho fatto tv con tante donne bellissime, ma le soubrette vanno e vengono, i miei referenti maschili restano.
Per cosa sei famosa nell’ambiente?
Per l’attenzione ai piedi! Per me la postura, la padronanza del palco inizia dai piedi, dalla comodità delle calzature. Questo mi ha portato a entrare in empatia con molti personaggi. Credo che quando incontri personaggi di alto livello come Heather Parisi, con cui ho lavorato per anni, si forma una vera amicizia perché non è banale trovare una che ti capisce e interpreta quello che vuoi dire attraverso l’immagine. Perciò poi spesso non mi lasciano, succede sia a Roma in Rai che a Milano in Mediaset. Forse anche perché sono di adozione americana e riesco a risolvere molte cose anche in situazioni limite.
Dicci la verità: è tutto oro…?
Il nostro lavoro è un microcosmo, c’è necessità di grande capacità di adattamento. Prima di venire a parlare con te stavo mettendo gli spilli al pantalone di Luca Laurenti, inginocchiata, io pesonalmente con lui a discutere. Non siamo stiliste e basta, le persone dello spettacolo devono sentire che li consideri dal punto di vista umano. C’è il contatto, sei il loro psicologo, l’abito fa molto non solo per il pubblico. L’abito è importante per l’artista. Se è a suo agio e si sente bene, renderà molto meglio nella performance. Questo è quello che ho imparato. E il nostro è un ruolo fantastico per ottenere questo risultato.