Un pubblico come il suo molti se lo sognano. Motta, vero nome Francesco Motta, ha 30 anni e ha già vinto il premio Tenco con l’opera prima “La Fine Dei Vent’anni” (2016) ha fatto concerti in tutta Italia e si è dato in pasto a un’audience prevalentemente di alternativi in cerca di nuovi stimoli cantautoriali. Nicchia, intellettuali, addetti ai lavori, ragazzi attenti alla non massificazione musicale. E soprattutto catturati dal disagio poetico che il ragazzo esprime.
Ora che esce il secondo album “Vivere o Morire” il titolo appare già un monito ma anche una dichiarazione “per esprimere chiaramente da che parte sto”.
Non abbiamo resistito. Gli abbiamo detto che digitando Francesco Motta su Google esce fuori “fidanzata Carolina Crescentini”. Come vive questa inedita attenzione mainstream? “Non mi dà fastidio, ho la coscienza pulita in quello che faccio. Se vengo apprezzato da più persone per queste canzoni, perfetto”.
Il disco è candidato a diventare un marchio musicale di questo 2018, un bell’album di 9 pezzi lanciati dal primo singolo “La nostra ultima canzone”, già tra i brani italiani più trasmessi dalle radio.
Disponibile in cd, vinile, su Spotify e tutte le piattaforme digitali, il secondo album del polistrumentista toscano per la Sugar è registrato con la co-produzione di Taketo Gohara, l’ingegnere del suono di tanti dischi di successo pop italiani.
Motta è stato recentemente annunciato nella line up dello Europe Stage dello Sziget Festival 2018, dall’8 al 15 agosto in Ungheria. Con lui: Arctic Monkeys, Kendrick Lamar, Mumford & Sons, Gorillaz, Lana Del Rey, Dua Lipa, Liam Gallagher, The War On Drugs, Gogol Bordello, Cigarettes After Sex, Bastille, Lykke Li, The Kooks, Nick Murphy FKA Chet Faker, Fever Rey. La data in uno dei festival esteri più frequentati dagli italiani seguirà a 4 eventi live di presentazione a maggio nei club d’Italia (26 Roma, 28 Bologna, 29 Firenze, 31 Milano).
Ti secca fare interviste?
La prima domanda che mi fanno, com’è la fine dei 20 anni? Spero finisca….Io rispondo: è una bomba, sono molto meglio e sono più contento di prima. Sono più inattaccabile ora, ci ho messo il cuore nelle canzoni, sono veramente felice, anche se il disco nuovo è un disco sofferto. Sempre difficile fare dischi.
Non ti diverte?
Sto bene quando li ho finiti i dischi. Mentre li faccio soffro. Il tempo è diverso, ho perso tanto tempo nel primo disco nel giustificare alcune canzoni che non sono entrate, ed è un valore. All’inizio è come i traslochi, non vuoi buttare niente. Poi il lato aggressivo non lo sentivo più in questo album, mi sono rilassato e ho avuto la sensazione lucida che queste nove tracce erano quelle che mi servivano e niente più.
L’essenza di quello che fai?
Per me è importante dire la verità, devi mettere il cuore sul tavolo ci vuole un’autoanalisi. Pacifico mi ha dato una mano sui testi e mi faceva da psicoanalista. Le canzoni sono venute fuori da me ma abbiamo condiviso questa apertura. Una situazione scomoda che dopo riesce a farti sentire riposato e contento.
Hai scoperto cose nuove di te?
Che accettare gli errori e trasformarli è una cosa fondamentale per crescere. Li ho accettati e digeriti. Anche le cose che non posso cambiare, accettarle è difficile ma significa conviverci e stare bene, pensando che è parte della propria vita.

C’è sempre bisogno di scelte nette?
Il compromesso te lo devi guadagnare, perché le scelte devono essere palesi, la vità è fatta di sì o no. Il grigio a volte è una soluzione, non deve essere una scelta. Si capisce che le canzoni che ho fatto ora sono piene di speranze, anche se a volte ho fatto la scelta sbagliata. Ma non me ne vergogno.
Il pezzo che apre il disco si chiama “Ed è quasi come essere felice”. Non c’è felicità piena, quindi?
Io mi soffermo sul felice. Spesso la felicità è anche nel ricercarla, non necessariamente raggiungerla.
Le due copertine dei primi due album sono una crescita anche visiva. Ne eri consapevole quando le hai scelte?
Secondo me è fondamentale invecchiare con le canzoni e volevo riproporre il parallelismo anche esteticamente. Invecchiare con la propria arte è bello e quindi anche nella copertina volevo ci fosse l’evoluzione. Il rosso l’ho scelto perché il disco di quest’anno parla anche tanto d’amore. Nel precedente ero davanti a un bivio che ho descritto. E ora che ho fatto le scelte mi sembra di aver preso posizione molto più di prima perché sono cresciuto.
E il coinvolgimento di Taketo com’è stato?
Mi ha sopportato e non è stato facile. Lui è diverso da me, sempre contento quando fa i dischi e io no. Mi dava pacche sulle spalle che servivano a non farmi cambiare mestiere. Credo funzioni perché è sulla mia lunghezza d’onda perché vuol fare un racconto. Lui lo vede in maniera musicale, io magari più nel testo.
Ha lavorato con molti grandi. Hai chiesto consigli?
Lui è un bravissimo tecnico e produttore perché affronta molti lavori con un approccio a disposizione di chi scrive le canzoni. Lo considero uno dei più bravi che ci sono in Italia.
E il tuo ruolo ?
Avendolo co-prodotto ho suonato più strumenti rispetto a prima e sono strumenti e suoni più definiti. Ogni traccia musicale in questo disco è come se fosse ultima traccia. Una responsabilità maggiore, non è come andare in uno studio e registrare. Ho suonato anche con Mauro Refosco (percussionista dei Red Hot Chili Peppers, ndr) con cui mi sono trovato benissimo.