16 Marzo 2020

Massimo Bonelli: “La musica vincente è quella che si differenzia dalla massa”

Suggerimenti preziosi per artisti in erba che leggono The Way Magazine: l'autore è l'artefice del cambio di rotta del Concertone del Primo Maggio di Roma.

16 Marzo 2020

Massimo Bonelli: “La musica vincente è quella che si differenzia dalla massa”

Suggerimenti preziosi per artisti in erba che leggono The Way Magazine: l'autore è l'artefice del cambio di rotta del Concertone del Primo Maggio di Roma.

16 Marzo 2020

Massimo Bonelli: “La musica vincente è quella che si differenzia dalla massa”

Suggerimenti preziosi per artisti in erba che leggono The Way Magazine: l'autore è l'artefice del cambio di rotta del Concertone del Primo Maggio di Roma.

In tempi di artisti auto-didatti e in perenne auto-promozione, farcela in campo musicale è sempre più un gesto ad alto tasso di competitività. ROI EDIZIONI pubblica “La musica attuale – Come costruire la tua carriera musicale nell’era digitale“, il primo libro di Massimo Bonelli, un promoter (e autore) di 45 anni che ha fatto già la storia della scena musicale italiana. Ha fondato e dirige la iCompany e, dal 2015, è il direttore artistico e l’organizzatore del Concerto del Primo Maggio di Roma.

Come progetti integrati a iCompany, gestisce anche luovo (label che produce, diffonde e posiziona musica attuale), Italy Digital Music (distributore digitale), WMusic (società di servizi e produzione) ed è co-fondatore del progetto Yeyè (comunicazione digitale e marketing). Abbiamo parlato con l’ideatore di Casa SIAE al Festival di Sanremo e organizzatore del Premio Fabrizio De André per farci spiegare a che punto siamo nel panorama musicale italiano. E magari avere qualche suggerimento per gli artisti in erba che ci leggono.

Massimo Bonelli ha conosciuto nella sua giovane carriera davvero tutti: dal Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, a Enrico Ruggeri e Marina Rei.

 

Massimo chi ti ha ispirato nella stesura del tuo interessante libro?

Avevo ipotesi operative da cui attingere che mi sono sembrate convincenti. Su tutti, un saggio di Tommy Darker, musicista e imprenditore della musica inglese che ha scritto un libro sul cosiddetto ‘Musicpreneur’. Mi ha dato una chiave di lettura, un flusso di dati che mi è piaciuto raccogliere con mie considerazioni in forma di libro.

Cosa hai imparato, tu stesso, in questi anni di profondi stravolgimenti nel music business?

L’ecosistema di un calmo lago è paragonabile all’industria della musica. Funzionava come una macchina perfetta per realizzare profitti, non aveva sbalzi. Poi sono arrivati i bambini e i loro maledettissimi sassi, che simboleggiano l’irruzione del mondo digitale nell’ecosistema analogico, un evento che ha generato conseguenze irreversibili. Anche se si calmano le acque, niente resta come prima.

Come ti sei reso conto che l’argomento era interessante?

Devo dire che l’ho fatto leggere a tanti responsabili di case editrici, e tutti mi hanno detto che lo volevano pubblicare. Mi ha fatto piacere perché non ho velleità da scrittore ma sono convinto che negli ultimi 4 o 5 anni, nella scena musicale italiana si è passato da un crisi profonda a un boom paragonabile agli anni 50 del secolo scorso. E quindi andava raccontato.

Cioè, tu dici che ora siamo in un boom del mercato?

Certo, ma la percezione evidentemente è diversa. La musica si trova in uno scenario cambiato completamente e l’informazione non è proprio arrivata ai musicisti. Io stesso sono stato musicista, prima con la chitarra e poi alle tastiere. Era sul finire degli anni 90, ci ho provato fino al 2010, avevo una band.

Ci dici la differenza maggiore tra quando hai iniziato tu da emergente, e oggi?

C’è una prima cosa eclatante: si vendevano dischi e molti ancora oggi sono votati alla vendita. Questo è un concetto superato, la musica non si vende più perché non c’è un prezzo, non c’è un singolo da vendere, è tramontato il concetto di dare e ricevere per la musica. Non è al passo coi tempi, se provi a vendere un prodotto che non ha prezzo, devi costruire una storia emotiva convincente. Quindi bisogna lavorare sulla vendita futura.

E cosa succede in fase avanzata?

Si parte a costruire una base di pubblico e si arriva a una popolarità che non può non generare interesse. A quel punto, la vendita non è sulla musica ma tutto intorno all’utilizzo che puoi fare della tua musica quando diventa importante. Da emergente ci si deve rendere conto che non serve spingere sulla vendita. Una situazione completamente diversa rispetto ai tempi del mercato analogico dove si cercava di promuovere la vendita di un oggetto in ogni situazione.

Chi segue questa linea, oggi?

Tutti gli artisti dell’area urban hanno già questa modalità: i brani vengono pubblicati ma hanno solo un pubblico interessato a loro e possono poi portare a un live di successo. Lì si può iniziare a vendere un prodotto fisico, che sia album o una maglietta. Bisogna creare l’esigenza, in poche parole.

Quindi cosa consigli a un musicista in erba?

Da un punto di vista personale penso che è importante accorgersi della tecnologia e ricordarsi che ogni arma può essere usata bene o male. Il pubblico si connette a te se conosce 10 canzoni che abbiano uno storytelling coerente, non si può pretendere tutto da subito. Alla decima canzone si suscita un clamore tale che puoi vendergli anche un disco intero, che già da ascoltare di questi tempi è un traguardo. A quel punto l’artista diventa un punto d’attrazione anche di brand, circostanza che costituisce uno degli introiti da non sottovalutare.

Tu che organizzi cartelloni per eventi nazionali, che ne pensi della scena musicale attuale?

Non credo mai sia un bene giudicare le situazioni in tempo reale ma dopo 10 anni di questo lavoro mi sono fatto un’idea: adesso il mio parere etico dipende dalla mia educazione civica. La musica è un gioco bellissimo a 20 anni ma può diventare un incubo a 40 anni se non ci costruisci attorno un sistema. Io stesso a 35 anni ho lasciato da laureato un lavoro con un figlio in arrivo e mi sono costruito una carriera diversa. Altro aspetto per chi fa un mestiere creativo: non ci si può permettere di ignorare la realtà, bisogna capire in che mondo siamo. Questa è stata l’idea del libro: alfabetizzare artisti e promoter per essere consapevoli.

Hai pensato a tutti gli aspetti del business?

Sì, ma non a tutti i tipi di lettori. Perché ci sarà chi magari penserà ‘non è per me, è troppo materiale’. Può capitare di leggerlo e accorgersi di essere integralista e purista. Anche se secondo me le tre caratteristiche fondamentali di una proposta di successo sono sempre identità, contenuti e relazioni.

Siamo anche in un’età in cui mancano i filtri: dei talent scout, delle radio, dei giornalisti. Tutti pubblicano tutto e pretendono attenzione. Come se ne esce?

Vorrei farti notare che se non ci sono all’esterno, si farebbe bene ad averli dentro di noi. I veri filtri arrivano dalla capacità dell’individuo soggetto a stimolazioni continue di accorgersi delle necessità. Ci sono segnali che ti obbligano ad alzare la soglia di qualità. Canzoni, arrangiamenti, testo, linguaggio, la forza che si esprime con la propria proposta… tutto ciò non deve essere simile a quello degli altri. È fondamentale anche la capacità di interazione col pubblico a seconda del proprio carattere. Il rapper misterioso Liberato interagisce e ha un modo affascinante di farlo. Ma non significa stare tutto il giorno in chat con tutti.

Dall’alto, l’autore con Pippo Baudo, Diodato e Levante e Alberto Fortis. Il libro di Massimo Bonelli è “La musica attuale – Come costruire la tua carriera musicale nell’era del digitale”.

Cosa ti fa essere così entusiasta di quello che fai?

Parto da una passione per il marketing anche legato alla mente umana. Poi sono confortato dai risultati. Il Concertone del Primo Maggio era una partita scontata e mi è capitata in un momento in cui non potevo fare altro, l’ho preso in mano per stravolgerlo.

Si tratta di una delle rivoluzioni più grandi nel panorama di musica dal vivo in Italia. Come hai fatto?

Saremo andati al suicidio se avessimo riproposto la stessa formula, visto che la musica del paese reale era completamente diversa. Abbiamo ridato interesse all’evento che si era appannato in un momento in cui c’era una rivoluzione copernicana. In una parola, ho rischiato. Certo, ci ho messo anni perché dal 2015 al 2018, che è stato l’anno del cambio di rotta epocale, è stato graduale, ma ce l’abbiamo fatta.

Aver ridato lustro a un evento che ha anche implicazioni sociali deve essere doppiamente soddisfacente…

Abbiamo seguito una linea ma anche rispetto per quello che è stato. Sono stato a stretto contatto coi sindacati, che per me era una cosa nuova. Fino a che mi è stato chiaro che avrei potuto spingere sull’acceleratore, perché avevo fiducia completa.

Ma i sindacati che sono gli organizzatori del Concertone, mettono bocca sul cast?

Quello mai, devo riconoscerlo. Però ci danno un’idea di massima sui temi che vogliono trasmettere, ed è giusto che il cast rifletta queste scelte. Le domande che ci facciamo sono sempre le stesse: di che si parla? Questo concerto per chi lo facciamo? Da lì ho pensato: è il momento di togliere il revival anni 90 e di parlare di 2020 , la trap c’è e dobbiamo entrare con le mani nel paese reale.

Hai avuto sorprese nel confrontarti con un’organizzazione così elefantiaca?

Ho avuto centinaia di email nel 2018 di persone, giovanissimi, da tutta Italia che una volta conosciuto il cast chiedevano il costro del biglietto. Mi sono accorto che in quella fascia d’età non si sapeva nemmeno che il Concertone fosse gratuito. Questo è cambiato quando per la prima volta abbiamo portato in piazza gli idoli di questa fascia di pubblico.

Di cosa sei orgoglioso?

Ripenso a quando da Eboli, in provincia di Salerno, organizzavo il pullman per andare a vedere in Piazza San Giovanni, i Bluvertigo, gli Afterhours e i Marlene Kuntz. Con amici controllavamo chi c’era e andavamo alla scoperta. Vorrei che fosse così anche per chi viene. Quest’anno c’è il trentennale e sto lavorando su un concetto molto interessante di espansione. Dati i tempi incerti, per il momento sto organizzando da remoto. Aspettiamo sviluppi.

Cosa suggerisci nell’immediato futuro a un artista emergente?

Si è forse sopravvalutato il potere di Instagram, che infatti come Facebook, mostra i primi segnali di rallentamento. Perché più si alza l’età degli utenti, meno interazioni ci sono. Dal mio punto di vista, oggi un artista farebbe molto bene ad avere un suo sito web di proprietà con un dominio di primo livello. Il sito e il relativo dominio resteranno di proprietà per sempre ed è lì che dovrebbero arrivare i curiosi che si intercettano tramite i social, le piattaforme di streaming, i concerti.

Come verranno ricordati questi tempi, secondo te?

La musica attuale, per dirla come il mio libro, è molto legata a nuovi one-hit-wonder, artisti buoni solo a tirare fuori quel singolo capace di attirare l’attenzione del pubblico, che dura quanto un “effetto Spotify”. Gli indie nel 2020 sono già in stanca, artisti come Calcutta, Gazzelle e Thegiornalisti sono riusciti a emergere perché si presentavano come una novità nel mercato musicale. Ora che ci sono altri tutti uguali, tramonterà l’intero movimento dell’it-pop. E ci sarà altro.

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Christian D'Antonio

Christian D’Antonio (Salerno,1974) è direttore responsabile della testata online di lifestyle thewaymagazine.it. Iscritto all’albo dei giornalisti professionisti dal 2004, ha scritto due libri sulla musica pop, partecipato come speaker a eventi e convegni su argomenti di tendenza e luxury. Ha creato con The Way Magazine e il supporto del team di FD Media Group format di incontri pubblici su innovazione e design per la Milano Digital Week e la Milano Design Week. Ha curato per diversi anni eventi pubblici durante la Milano Music Week. È attualmente ospite tv nei talk show di Damiano Gallo di Discovery Italia. Ha curato per il quartiere NoLo a Milano rassegne di moda, arte e spettacolo dal 2017. In qualità di giudice, ha presenziato alle manifestazioni Sannolo Milano, Positive Business Awards, Accademia pizza doc, Cooking is real, Positano fashion day, Milan Legal Week.
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