Francesco Gabbani dopo anni di gavetta ed esperienza nella musica, è finalmente salito alla ribalta del pop italiano. Il 2016 sarà ricordato come l’anno in cui il cantautore di Carrara è diventato personaggio pubblico e artista riconosciuto nel panorama nazionale. “Non voglio essere di passaggio, spero sia il primo di una lunga serie“, ci dice nel backstage de La Salumeria della Musica a Milano, prima del suo concerto a supporto dell’uscita del disco Eternamente Ora. Del resto, ha lavorato molto per guadagnarsi quello che sta avendo, facendo anche delle esperienze grosse, come l’apertura di un concerto per gli Oasis. Lo abbiamo intervistato per conoscere meglio le sue passioni, oltre le sette note.
Francesco, ti è cambiata la vita o no quest’anno?
Sono tre mesi che ho avuto una grande esposizione, mi è cambiata la vita nel quotidiano, ho iniziato a girare l’Italia, è cambiato il fatto che un po’ di persone si sono resi conto della mia esistenza artisticamente. Tutta questa risposta non ce l’avevo mai abuta, il festival è sempre una grande vetrina, faccio musica da un sacco di tempo e posso dire che la notorietà arriva dopo un bel percorso di anni. Improvvisamente quello che ho fatto finora prende forma e un senso.
Come affronti tutto ciò?
Il diventare personaggio pubblico va di pari passo quando fai il musicista, non la vedo però una cosa necessaria: se hai le caratteristiche per essere un personaggio che suscita un interesse, va bene. Non ho assunto atteggiamenti da star, anche sul palco sono normale. Un po’ quello che dico nella canzone Eternamente Ora è vero. L’Occidente è molto orientato al futuro, la voglia di costruire ti fa perdere il gusto del presente. Io cerco di vivere il presente senza fare progetti. Mi impegno, per quanto mi piaccia, mi sembra un po’ orientaleggiante come atteggiamento e difficile da adottare. Per quanto mi riguarda, saremo sempre turisti nelle culture estranee a noi.
Come ti definisci artisticamente?
Ho iniziato con una band, Trikobalto, che ha fatto la prima esperienza con i Planet Funk, eravamo nell’area dance ed elettronica in quel momento. Spontaneamente sono pop, nel bene e nel male, faccio canzoni fruibili e il pop può essere fatto in vari modi, sono un sostenitore della semplicità. A me vengono facilmente le melodie pop, punto.
Nei titoli però vai in profondo, come il tuo primo grande successo, Amen. Perché?
Perché vorrei che la mia musica per rappresentarmi mi assomigliasse. Sono fatto così, da una parte molto istintivo e di getto. Però poi ho sempre un’analisi e cerco sempre di andare un po’ più nel profondo. E così nelle canzoni c’è da una parte la melodia fresca che ti rimane in testa e dall’altra i titoli e i testi che cercano di scavare una dimensione più profonda che spero possa stimolare l’ascoltatore.
Parlaci dell’altra tua passione, la pittura.
E chi te l’ha detto? In effetti è vero, dipingo, anche se per me è un parolone, anche perché è da un po’ che non lo faccio. Diciamo che tutto ciò che è espressione di se stessi anche in maniera inconsapevole, è qualcosa che mi attrae e fa parte della mia vita. Non sono un pittore, non ho le basi tecniche per potermi definire tale ma ho sentito l’esigenza di abbinare dei colori insieme, in maniera ingenua. Li faccio vedere solo alla mia compagna e gli amici, la considero più come una valvola di sfogo.
Come hai iniziato?
Quando mi sono messo a dipingere ho ritrovato le sensazioni che non provavo da quando con la musica non ero consapevole di quello che facevo. Perché secondo me la cosa bella di quando sei principiante è che hai una sensazione e un’emozione che perdi quando sei avanti nella carriera. Quel modo di essere vergine l’ho trovato con i pennelli. Ho inziato tardi, verso i 24 anni, poi ho interrotto e ripreso verso i 29, sono periodi che durano un anno. Che dipingo? Casette colorate, non so perché. Non c’entrano niente con il panorama in cui sono vissuto, Carrara.
Il tuo look è subito diventato molto riconoscibile. Ti sei affidato a qualcuno?
Dall’inizio dell’esperienza sanremese ho il piacere di essere vestito da Daniele Alessandrini, stilista di Bologna, con cui è nata un’amicizia, ci siamo trovati molto bene. Quello che indosso da dopo il festival a oggi è tutto frutto suo, mi fa molto paicere. Se devo essere sincero, tendenzialmente, nei momenti in cui non mi sono esposto nella mia vita, fuori dal palco o dall’obiettivo, sono stato abbastanza tech come vestiario. È una cosa strana lo so.
Cioè?
Un’altra delle mie passioni è fare trekking e andare in montagna, sono molto appassionato dell’abbigliamento tecnico. Non posso salire sul palco con lo zaino da trekking o pantaloni da arrampicata, quindi lo faccio in privato. Mi piace sia l’attività a contatto con la natura che vestirmi in quel modo, ho dieci zaini di quel tipo, tutti di colori diversi per andare in montagna. Abbino le scarpe con i gusci da mettere sopra per ripararsi dal vento. Lo faccio in Toscana, per quanto possa sembrare inusuale. A Carrara hai il mare e poi ti giri e hai le Alpi Apuane che pur essendo Appennini hanno una conformazione alpina. Vicino casa ci sono dei posti dove puoi fare alpinismo, a me piace molto salire. Quando posso, vado, mi piace l’aspetto ambientale e la scalata, mi rigenera. Pur essendo di Carrara amo di più la montagna che il mare. Il silenzio mi affascina e mi piace molto osservare dall’alto, è una cosa che mi fa impazzire.
Non sei un tipo metropolitano, quindi…
La città non mi attira molto, a Milano ci vengo perché negli anni l’ho frequentata essendo uno dei centri nevralgici della musica. Probabilmente non ci vivrei in pianta stabile. Mi piace più la natura. Vivere bene per me significa riuscire a combinare due aspetti che mi interessano nella vita: poter continuare a far musica e la natura. Le sensazioni che provo sul palco sono speciali, probabilmente il senso della mia vita è quello. Al tempo stesso mi piacerebbe sempre aver a che fare con la natura, stare in sintonia con la natura, godere della natura non rinunciando al palco.
Sei consapevole di aver interessato il pubblico anche per il tuo aspetto?
La cosa più bella che mi è stata sottolineata è l’energia dello sguardo, credo sia importante. Sostengo la scontata frase: gli occhi sono specchio dell’anima. Quando mi è stato detto ho uno sguardo profondo, comunicativo, mi ha fatto piacere. A essere onesto però fisicamente parlando non ho mai considerato il mio aspetto estetico un mio punto di forza. So di essere esteticamente piacente, non sono un brutto, ma non credo di essere un modello.
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