Sembra difficile scorgere in Fabio Marelli, popolare conduttore radiofonico oggi, il timido ragazzo che da Tortona, Alessandria, è partito per una brillante carriera e conquistata indipendenza. La costruzione della sua vita di successo è dovuta passare da un periodo molto travagliato che ora Fabio racconta nel libro autobiografico Castelli di Carte, edito da Do It Human. Un libro avvincente a più livelli, che sfoglia delicatamente ogni strato della mente di un essere umano. Ogni pagina è scritta per esser d’ispirazione per chi come l’autore, si trova prigioniero di se stesso e dei suoi castelli affannosamente costruiti per dare un’immagine al mondo che non coincide con quello che si è veramente. Il protagonista si confronta con Lisa, prima collega e poi migliore amica, che sul luogo di lavoro se ne innamora, non corrisposta. A Fabio piace Alessandro. Semplicemente questo. Ed è qui l’inizio di un percorso che gli permetterà di fare pace con se stesso, anche nella vita, attraverso i ricordi. Una storia bellissima, che ha già stregato (e aiutato) molti lettori, che vale la pena essere raccontata dallo stesso autore.
Lo incontro all’indomani dell’esperienza comune nella giuria di San Nolo, il festival musicale del quartiere dei creativi dove vive a Milano, allo Spazio NoLo 43, una location di socializzazione nuova per la zona: si beve il caffè mentre si ammirano le esposizioni di stilisti e creativi emergenti che vivono in zona.
Fabio tu sei nato nel 1978 quando le radio private erano all’apice della popolarità. Come ti sei accostato al mezzo?
Era l’epoca in cui ci si immaginava molto, volevi conoscere chi ti parlava attraverso la radio e poi inevitabilmente ti crollava un mito. I social oggi ti avvicinano al tuo pubblico ma un po’ la magia del mistero della radio te la tolgono. Ho iniziato in radio locali e ora attraverso il mio naturale mix di leggerezza e impegno ho un pubblico che si è affezionato per gli argomenti che tratto.
Di che parli quando sei in diretta su Discoradio ogni pomeriggio?
Parlo molto di temi anche frivoli, le curiosità, a volte affronto argomenti più utili come un contest rivolto ai bambini contro la dipendenza dal gioco d’azzardo. Ho avuto una trasformazione negli anni, ho capito che direzione volevo prendere, e ora i contenuti nascono con la redazione. Mi piace il verde e quindi si parla dell’evento della raccolta dei tulipani. Gli animali sono sempre presenti e qualche volta mi immergo nel sociale, è un po’ la mia natura, mi piace alleggerire la giornata, essere una persona di famiglia che racconta cose in cui ci si può riconoscere.
In che contesto lavori?
Discoradio è una radio di flusso, c’è molto spazio alla musica, e quindi non è facile far emergere la propria personalità però in quel poco spazio che ho racconto quello che sono e mi sforzo di esporlo col mio stile. Se ci riesci hai fatto centro, è la forza della radio: con poche parole arriva alle persone.
Dimmi la verità, ci sono canzoni che non ti piace passare?
A me non fa impazzire il trend dei remix dei grandi successi, se ascolto Adele o Robbie Williams o Shape Of You di Ed Sheeran mi piace l’originale. La musica latina o il reggaeton non è nelle mie corde. Despacito è una hit pazzesca del momento ma non la sentirei a casa. Ho fatto i conti con questo, capisco che non tutti hanno gli stessi gusti, è un lavoro di rispetto per le persone che ti ascoltano, si è persa la figura dei dj che metteva quello che voleva. Ci sono ancora molte radio con una mission di scoperta, non credo di avere la cultura musicale per lanciare un artista. Non sono Linus, ho un approccio diverso. Con i social si è più vicini al pubblico ma prima il dj lo si conosceva perché presentava con la musica che voleva. Oggi la scaletta è pronta e quindi devi far apparire tutto bello e metterci del tuo con le parole. Ognuno di noi speaker ha la sua specificità e pur non essendoci dei programmi definiti a Discoradio le fasce hanno una loro identificazione.
Mi racconti dei tuoi inizi? Il tuo mestiere ancora oggi fa sognare molti ragazzi.
Agosto 1994, avevo 16 anni quando ho iniziato. Ho iniziato ad Alessandria il mio sogno era fare il presentatore tv, da piccolo giocavo con gli orsacchiotti in camera, mia cugina che faceva la cantante, i miei facevano il pubblico. Poi attraverso uno zio che aveva capito le mie aspirazioni ho iniziato a Radio Delta dove ho conosciuto la speaker che era la figlia del titolare, con cui ho avuto anche un legame. Era più grande di me di 7 anni, ne parlo nel libro. Me ne sono dovuto andare e ho trovato altre radio nella zona. Poi ho lavorato per 5 anni da Mc Donald’s, sono diventato responsabile e poi direttore di ristorante, ma anche se momentaneamente abbandonata, non ho dimenticato la radio. Mi è tornata la voglia di andare in onda, quindi per un periodo ho fatto direttore del Mc Donald’s e conduttore in radio salesiana ad Asti e poi a un certo punto ho mollato tutto.
Cosa è successo?
Dopo 5 anni di carriera ho preso la liquidazione, lasciato i salesiani, sono arrivato a Peschiera Borromeo e ho iniziato a convivere con un ragazzo che non conoscevo. Le pazzie che si fanno… L’obiettivo era Milano e trovare un contatto con una radio grossa. Che è arrivato perché Radio Dee Jay aveva lanciato un contest, Dee Jay Ti Vuole e mi hanno chiamato. Sono stato tra i 15 finalisti a Riccione e ho fatto la finale con Albertino. Pur non avendo vinto mi ha dato molta visibilità, mi sono spostato poi fuori dalla città e sono approdato a Radio Veronica One a Torino. E poi a Discoradio dove sono da 8 anni e dalle 3 alle 6 del pomeriggio.
Una cosa che ti ha dato la radio?
Mi ha permesso di fare cose che non avrei mai creduto fossero possibili da realizzare. Mia nonna è morta di alzheiemer e volevo omaggiarla. E grazie alla radio sono riuscito ad avvicinarmi alla Alzheimer Italia con un progetto di crowdfunding: entro un mese dovevamo raccogliere 5mila euro per sostenere le terapie occupazionali per i malati. Le persone hanno risposto e ho dovuto fare qualcosa che mai avrei potuto fare. Ho pensato di buttarmi con il paracadute abbracciato a un altro, a Casale Monferrato per omaggiare mia nonna. Mi sembrava anche una missione in linea con lo spirito d’aiuto. La malattia ti costringe ad affidarti completamente alle mani di qualcuno. Il progetto si chiamava Un Salto per l’Alzhaiemer, una cosa bellissima, e quando guardo quel video, con l’ok di utilizzare delle basi di Moby che è il mio idolo, mi vengono i brividi. Credo abbia colpito anche lui, visto che era per una finalità sociale.
L’hai mai incontrato Moby?
Lho visto dal vivo all’Ippodromo del Galoppo a Milano, il primo concerto in cui ho pianto. Ti tocca dentro, è emozione pura, Play è un album pazzesco e quella musica è emozionale.
Hai un rapporto molto fisico con il tuo essere personaggio pubblico. Sei uno sportivo?
Non corro ma presento gli eventi per le corse. Faccio palestra per non essere un palo. E mi hanno convinto gli altri ad andare ad allenarmi, se sei minimamente attraente ti piaci di più, è ovvio. Sono molto social, dialogo col mio pubblico e rispondo a tutti ai commenti in pubblico che in privato poi però mi rendo conto che a volte mi espongo a dei fraintendimenti. Ma io ci tengo, se sei social non ti fai solo vedere.
Da qui l’esigenza di scrivere un libro. Un debutto, vero?
Sì, cercavo un modo di comunicare diverso. Ho iniziato a trovare nuove strade, facendo video per il meteo del weekend con Nik, il mio compagno, che dava anche consigli di come vestirsi. E cercando un modo diverso, l’anno scorso ho pensato alla scrittura. In quel periodo ho parlato in radio di un evento in seguito agli attentati di Parig di cui i miei editori erano organizzatori. E sono rimasti colpiti nel vedermi lì a dare il mio supporto in piazza Duomo a Milano accanto a tante persone con le candele accese. Mi hanno contattato dicendomi che erano rimasti incuriositi da me, perché non solo avevo parlato dell’evento ma c’ero anche andato. Mi hanno proposto il libro e mi è venuta in mente la storia di una mia cara amica che tanti anni fa aveva tenuto un diario dove trascriveva ogni tipo di corrispondenza tra me e lei. Era follemente innamorata e io non la corrispondevo. “Se un giorno vorrai leggerti con gli occhi con cui ti vedevo io, leggerai il mio diario”, mi aveva detto. Continuava: “tu non ti vedi, non vedi le tue potenzialità, non vedi quello che vedo io e secondo me leggendoti pui capirti meglio”.
Quindi ha accettato il coinvolgimento in questa stesura?
Sì ed è stata un’esperienza di grande coraggio per lei che si è messa a nudo rileggendo anche se stessa, e per me che ho deciso di raccontare come si sviluppava la vita di una persona che non viveva se stesso alla luce del sole. Lavoravamo assieme, dal 2000 lei ha tenuto tutti i nostri SMS, annotava ricordi, sensazioni. Sono due binari che non si incontrano mai, perché a me il suo interesse nei miei confronti dava anche fastidio. Ma non potevo dire che non mi interessavano le donne perché vivevo una vita improntata a incontrare i gusti degli altri, all’apparenza.
Cosa ti ha fatto più male e cosa più bene di questo viaggio nel tempo?
Lei non si dava pace, mi aveva scritto una lettera riportata nel libro che poteva essere l’occasione per me per dirle che ero gay, ma non l’ho presa. Avevo la mia autorevolezza e il disegno perfetto scavalcava la mia vita reale. Questo fa male perché pensando a come mi sento libero adesso, l’unico vantaggio che c’è è che la mia storia può aiutare chi la legge. Ed è anche l’intento che ho. Io ricordo di essere stato a volte molto duro con lei, perché voleva stanarmi, non era cosciente ma voleva capire. Castelli di carte è la descrizione di una facciata meravigliosa ma di un conflitto enorme.
Crea meccanismo di identificazione secondo te?
Questo libro può aiutare le persone a non fare gli stessi sbagli che ho fatto io. Lisa è stata costante, coraggiosa, non mi ha mai mollato, una delle poche che non mi ha lasciato. Prima di pubblicare le ho chiesto mille volte se era sicura. A volte rileggendolo mi ha confessato che saltava le sue parti, le faceva troppa tenerezza rivedersi. Ho avuto la forza di emergere grazie a lei, poi mi è venuta voglia di farmi conoscere agli altri. Alla prima presentazione c’è stata tanta gente, giornalisia, colleghi di altre radio, pubblico a centinaia. Le persone che conoscevano la storia erano emozionate. Amiche commosse, i miei genitori che non sapevano tutto il contenuto del libro. Si sono emozionati perché hanno provato tenerezza per il loro figlio, avranno pensato che è una scelta di esposizione privata e vulnerabile. Ma se sei pronto e maturato, raccontandoti puoi aiutare delle persone.
Prima di salutarci, parlami di NoLo. Sei uno degli abitanti illustri di questo pezzo di Milano che sta emergendo con una storia particolare.
Sono qui da 8 anni e 10 anni con il mio compagno e vedo che ci sono tante persone che hanno voglia di fare, ti guardi intorno e improvvisamente vedi delle anime, ne sono orgoglioso. Perché a volte la città sembra silente, ma occasioni come il Festival di San Nolo sembrano frutto di un’esplosione di creatività e di aggregazione che è preziosa. Siamo tanti, giovani, creativi, un’alchimia pazzesca anche tra chi non fa mestieri di comunicazione ma mette a disposizione quello che sa fare per la zona in cui vive. Penso ai ragazzi del pub Ghe Pensi Mi, sono degli artisti, si inventano cose fantastiche.
Ti aspettavi una proposta musicale così variegata al festival di quartiere?
Ci sono sempre tanti giovani che vogliono emergere e sono sicuro che qualcuno troverà la sua strada proprio da San Nolo. Io sono entrato in punta di piedi, la serata precedente era stata in giuria Petra Loreggian che è molto amata, popolare e brava. Speravo di non fare danno perché essendo entrato dopo, trovavo che i migliori fossero stati scelti da altri. Ho cercato di dire la mia. Mi ha colpito che ci fossero degli artisti veri, pronti, come la vincitrice Rovyna Riot che è una persona di cultura, è una attivista. Secondo me stonava ma era trascinata dalla forza della canzone e subito si è capito che era la vincitrice morale. Se posso, aiuterò questi ragazzi a continuare.
Il 4 maggio 2017 alle ore 19:00 Fabio Marelli sarà alla presentazione del libro Castelli di Carte nello spazio eventi dell’Associazione Culturale Percorsi a Milano, in via Antonio Kramer, 32.