Quando Giovanni Gastel scatta l’ultima foto per il servizio di copertina del prossimo magazine su cui Edoardo Purgatori apparirà, è già l’imbrunire. Siamo a Milano in un freddo giorno di tardo inverno e l’attore romano è fresco come una rosa. “Sono abituato alla routine frenetica, sono uno sportivo per passione”, ci confida. A 28 anni Edoardo Purgatori è in continua ascesa: sta per arrivare al cinema con una grande produzione, Quando corre Nuvolari, regia di Tonino Zangardi ed è nuovo protagonista nella seconda serie di Tutto può succedere 2, regia di Lucio Pellegrini – serie TV per Rai Uno. Accetta di fermarsi a parlare con noi di The Way Magazine della sua brillante carriera.

Cosa farai nel film sul campione Tazio Nuvolari?
Sono Achille Varni rivale storico di Nuvolari ed è un film che prende spunto dalla grande stagione delle corse e ricostruisce la Mille Miglia dei tardi anni 40. Mi ha colpito la frase che lo identifica: “L’importante non è raggiungere il limite ma superarlo”.
Ti rivedi in questa massima?
Mi viene facile la corsa, devo dire, è stata una sfida costante nella mia vita. Recentemente ho smesso di fumare e uno spettacolo teatrale che sto facendo ha richiesto la preparazione di un anno, quindi posso dire di essere uno che ama le sfide.
A teatro a cosa stai lavorando?
Lo spettacolo si chiama Maratona di New York, un impegno molto complicato e faticoso. Parla di due amici, Mario e Steve, che si incontrano per andare a correre in allenamento al parco. Sul palco si vedono due persone che corrono e non si fermano mai quindi il puibblico si trova catapultato nella loro vita, li si vede sudati e affannati e poi c’è una svolta sul finale. È uno spettacolo di molta presa che sorprende sempre, tratto da un testo di Edoardo Erba del 1992. Lo replicheremo probabilmente in inglese in estate al festival di Edimburgo.
Tu sei un vero attore internazionale, sei cresciuto bilingue, vero?
Sì, mia madre è tedesca e il mio primo approccio col teatro l’ho avuto proprio alla scuola tedesca che ho frequentato. Poi a 19 anni mi sono iscritto a Scienze Politiche a Roma, senza molta convinzione. Preferivo frequentare corsi professionali di recitazione con insegnanti da tutto il mondo. Avevo corsi con insegnanti dell’Actors Studio di New York. Così sono partito per Londra e dopo un anno di provini mi presero a Oxford. Nel frattempo avevo imparato la terza lingua.
Cosa è successo quando sei tornato in Italia?
Le agenzie per attori mi proponevano solo televisione e ho continuato a studiare con Domenique De Fazio, che come sanno quelli del mestiere, ha un approccio molto più spirituale alla recitazione. Durante questi workshop ho incontrato dei ragazzi con cui ora ho la mia compagnia per spettacoli per scuole. Abbiamo rappresentato Lo Zoo di Vetro di Tennessee Williams, The Shape Of Things per le scuole. Ora stiamo lavorando a The Pass, la storia di un ragazzo che vuol fare il calciatore. Lo abbiamo immaginato in hotel in 3 momenti della sua vita per raccontare la sua carriera. Il protagonista è omosessuale e per nascondere la sua natura va incontro a un dramma psicologico.
Lo sport ritorna nella tua vita artistica…
Devo dire che è un’inclinazione naturale, ho fatto calcio, corro e faccio pugilato.
Il fisico ne giova sicuramente. Sei sorpreso della popolarità che ti ha portato la tv?
Il Medico in famiglia è una fiction molto popolare con un pubblico storico e io sono entrato con il mio ruolo di Emiliano, tatuatore di borgata con una storia travagliata. Il ruolo è piaciuto e ho fatto dall’ottava alla decima edizione, mi trovo bene, è un personaggio che fa vedere ai ragazzi una serie di problemi che solitamente non si vedono in una fiction per famiglie. Sono la dark side del Medico in Famiglia.
Ci sono controindicazioni per temi del genere in tv?
A me piace divulgare una tematica che provi non in modo superficiale a raccontare la realtà. E devo dire che al Medico in Famiglia c’è molta cura nel farlo nel modo giusto. Come attore devi ricercare qualunque tipo di personaggio, più colori hai più dipingi il tuo quadro in maniera completa. Sono fortunato di avere la possibilità di scegliere i ruoli.
Il fatto di avere avuto una formazione internazionale ti aiuta per lavori all’estero?
Sono rappresentato in Germania e Gran Bretagna ma dal punto di vista pratico avere una parte tedesca è una fortuna in partenza. Perché quando accetti un lavoro fuori dal tuo Paese riconosci più facilmente certi atteggiamenti, gli aspetti ambientali e mi rendo conto che alcune cose che per gli altri sono aliene, per me parte di me.
Cosa ti colpisce del tuo pubblico?
Ovviamente a teatro ho un termometro diretto. Ci sono delle persone che mi hanno detto che sono entrate in sala e sono rimaste colpite, magari era la prima volta che mettevano piede in un teatro. E già per questo vale la pena farlo. So di ragazze che vengono più volte a vedermi e sono felice. Purtroppo in Italia c’è troppa distinzione tra i settori, ma il mio lavoro è questo e i modi per farlo sono vari, dalla tv al palco.
Cosa invece non ti piace del meccanismo della celebrità?
Posso dire di non inseguire la presenza a tutti i costi, solo dopo aver fatto le prima cose in tv mi sono reso conto che spesso i servizi fotografici e i posati inducevano a proiettare una finta immagine di me. Non mi piace la fuffa e le chiacchiere delle feste o incontri a cui devi andare. Me ne sono subito sfilato, l’immagine è l’estensione di chi sei, non può essere artefatta.
Come curi il tuo look?
Passo da maglietta, jeans, pelle e moto tipo James Dean, all’eleganza sobria delle occasioni eleganti. Mi piace molto il modo di vestire degli attori inglesi, tipo Colin Firth.
Sei cresciuto in una casa dove l’arte era molto presente. Me ne parli?
Sì, mia madre è una storica dell’arte, e ancora oggi mi è rimasta quell’idea di svago legato alle attività culturali. Lei da piccolo mi portava al Palazzo delle Esposizioni a Roma, mi piace l’arte del Rinascimento, anche per il contesto storico che ha partorito risultati ineguagliabili. Non mi perdo però una mostra di Monet o Van Gogh. Mi piace svegliarmi e fare quello che amo con persone che credono che l’arte la cultura dia valore a te e alle persone che ti guardano. Siamo quasi idealisti noi attori, pensiamo che quello che facciamo possa migliorare la vita delle persone.