Dorme poco, Diana Bovoloni. La fotografa 35enne di Brescia è un’amante delle luci, o meglio, del light painting, una tecnica fotografica che dall’oscurità genera fasci di luce strabilianti per ritratti unici. Ovvio che la notte sia nel suo cuore. Di se, dice, di fotografare “per rimanere me stessa, fedele alle mie emozioni, la notte è il momento in cui la mia creatività prende vita”.
Nata come fotografa di sport, poi i classici matrimoni e dintorni, Diana per anni si dedica alla ricerca del giusto impatto espressivo. Ama la luce
e la studia incessantemente ma, come molti, cerca qualcosa di più, quell’energia negli scatti che con poco editing e nessun intervento grafico, riesce a far emergere.
Diana la tua è una passione alquanto recente. Come ti sei avvicinata al light painting?
In una notte insonne vedo alcuni lavori realizzati con dei tubi luminosi, mi ci appassiono e comincio a febbraio 2019 a sperimentare un mondo nuovo. Light Painting Art, dove l’artista davanti e dietro la macchina fotografica sono io. Finalmente. È stato come tirare fuori la testa dall’acqua ed
iniziare a respirare.
Cosa ti affascina?
Un’espressività fuori dal comune. Lunghe esposizioni: un tubo, una torcia, un cavalletto e un telecomando. Torno alla tecnica pura, alla fotografia che ha ancora molto da offrire.
Kindered Spirits, Brescia – Diana Bovoloni Healing Soul Berlin- Diana Bovoloni
I tuoi inizi sono stati diversi, vero?
La magia risale a tanti anni fa, ho iniziato nel settore sportivo attorno ai 20 anni ma mio padre era un grande appassionato, il suo amore per questa arte ha messo radici in me fin da bambina. Nel 2016 ho perso mio padre, nel 2017 ho subito un grosso furto di attrezzatura. Due eventi molto significativi per me a distanza ravvicinata: ero disperata, ferma, demotivata. Ho iniziato a soffrire d’insonnia: la sera mi rifugiavo su youtube a guardare i lavori degli altri, cercando l’ispirazione, qualcosa che riaccendesse la scintilla. Approdai, chissà se per caso, sul canale youtube di Eric Parè. Rimasi completamente rapita dalla capacità di trasformare un paesaggio in un capolavoro, dall’eccezionale possibilità di accostamento dei colori, dalla fluidità dei movimenti, dalla magia di essere presente in ogni scatto, fisicamente, davanti alla camera: comprai subito i primi tubi.
Fai parte di un circuito di colleghi sui social media, cosa succede in questo gruppo?
Da Dicembre 2020 sono selezionatrice di contenuti per la pagina lightpainters.com su Instagram, una community di riferimento per la nostra realtà, che si prefigge di mappare con ambizione, tutti i light painters presenti nel mondo e supportarli, consigliarli, farli conoscere tra loro, organizzare eventi, workshops, esposizioni collettive e qualsiasi cosa possa giovare a questa meravigliosa grande famiglia.
Siete soddisfatti di questo modo di connettere esperienze?
Nella community l’invidia per il lavoro dei colleghi non esiste, c’è solo una forte curiosità e tanta, tanta voglia di confrontarsi ed imparare. Io per prima ho viaggiato spostandomi tra Germania, Francia ed Inghilterra per imparare dai più esperti, tutti sempre entusiasti di lavorare con un nuovo collega. Faccio tre nomi di persone che sono state fondamentali nel mio percorso: Gunnar Heilmann, che insieme a Dan Roberts ha fondato Lightpainters.com; Sam Heuzé e Tom Hill. A Gunnar devo moltissimo, combinazione nel 2019 mi trovavo a fotografare un evento a Berlino e ci siamo conosciuti di persona, da lì un susseguirsi di presentazioni, incontri e viaggi per l’europa per imparare dai più grandi.
Come si fa a innovare nel tuo campo?
In questo mondo siamo alla ricerca del tratto perfetto, della texture perfetta, della luce che incanta senza bisogno di ricorrere al fotoritocco. Infatti invito tutti gli interessati a scorgere la sigla SOOC sotto le immagini, che significa: “straight out of camera” e indica che lo scatto non è stato modificato in alcun modo. Si innova lavorando sul tratto e sulla luminosità effettiva degli strumenti, sulla loro forma e su idee che sembrano impossibili da realizzare, come ad esempio una light painting a sfondo bianco anziché nero.
Ci parli del progetto di autoritratti nato in pandemia?
Uno dei miei viaggi all’estero del 2019 mi ha portata ad avvicinarmi ad altri strumenti oltre che ai meravigliosi tubi di Eric. Così ho scoperto le fibre ottiche: un mondo incredibile con un potenziale altissimo ed una capacità espressiva incalcolabile. Durante la frenesia della vita lavorativa si ha poco tempo per fermarsi a riflettere, cosa che invece durante il pesante lockdown che ho vissuto nella mia città, Brescia, sono riuscita a fare. Ne è risultato un progetto che parla di me, della mia solitudine, dei mille colori che invadono la mia mente costantemente, del forte potere creativo che un momento difficile può stimolare se valutato da un diverso punto di vista.
Che tipo di servizio su misura ritagli per i tuoi clienti?
Cerco sempre di poter avere un lungo colloquio con chi è interessato a questo tipo di ritratto, per conoscere chi ho davanti, capirne la personalità, sentire quali colori la sua energia mi suggerisca. Solitamente chiedo di descrivere sé stessi in una sola parola, per vedere quale scelgono: questo mi dice molto anche sulla scelta degli strumenti da usare, se tubi, lame, fibre ottiche. Ognuno dei miei lavori è un’opera unica ed irripetibile, proprio come ognuno di noi, e cerco di cogliere un’essenza, consegnare qualcosa che nessuno mai potrà rifare. Insieme con una delicata stampa fine art, ovviamente.
C’è una differenza di tecnica per questa fotografia in studio e quella open air di paesaggi?
La tecnica vera e propria intesa come distinzione di movimenti e tracce mi sento di dire no, tra interno ed esterno non cambia: si può ottenere una foto di tracce completamente a fondo nero, come se fossimo in uno studio, anche davanti ad un bellissimo paesaggio, dipende da come si imposta la macchina, chiaramente. C’è una distinzione invece tra soggetti animati ed inanimati che riguarda il movimento e pertanto la necessità di non illuminare due volte quanto già illuminato, più difficile a farsi che a dirsi. Il micro mosso a volte è voluto, altre un errore imperdonabile che porta allo scarto della foto stessa.
Fotografi mai Brescia?
Sì, ho realizzato qualche immagine della nostra bella città, qualche esperimento quando comprai i miei primi tubi. Anzi, ti dirò, mi piacerebbe che il Comune di Brescia pensasse a una collaborazione con gli artisti che propongono tecniche nuove.
Cosa ti piacerebbe ritrarre prossimamente e dove?
Sono a caccia di uno scatto sulla neve, se con o senza modelli, non l’ho ancora deciso ma credo sarà in zona delle Alpi.
Daniela Bovoloni è presente su
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Una selezione di immagini direttamente fornitaci dall’artista per questo servizio e protetta da copyright, include fotografie di paesaggi pre-Covid e una serie di ritratti fatti a casa durante la pandemia 2020.
In apertura: Awareness, Sirmione del Garda – ph: Diana Bovoloni.