Il Festival del Cinema Africano, d’Asia e America Latina è arrivato alla 28esima edizione, organizzato dall’Associazione Centro Orientamento Educativo – COE. Il Festival è socio fondatore di Milano Film Network (MFN), la rete che unisce l’esperienza e le risorse dei sette festival di cinema milanesi.
Quest’anno nell’immagine ufficiale è tornata la Zebra prismatica, quest’an in versione “high-tech” e accompagnata dal claim WWW – What a Wonderful World.
A vincere il Premio Comune di Milano – Miglior Lungometraggio Finestre sul mondo (8.000 €) è stato il film I Am Not a Witch (Rungano Nioni Francia/UK/Zambia, 2017) “per averci consegnato una mirabile allegoria femminista, resa ancor più profonda grazie al suo spirito sovversivo”, dice la giuria. “Grazie a una regia visivamente potente e a una colonna sonora affascinante, il film rappresenta un cinema coraggioso e provocatorio, capace di portare lo spettatore a un apice di emozioni oggi necessario, in cui l’apertura mentale – che ci permette di vedere noi stessi e il mondo in maniera illuminata, fosse anche solo per un istante – può davvero esistere”.
“Il festival si è sviluppato anche inserendo gli altri continenti del sud del mondo – ci dice Simone Sapia, fotografo e responsabile dell’allestimento alla sede di Porta Venezia a Milano – perché è iniziato ad arrivare materiale interessante dal Sud America e Asia. Hanno molto in comune, ma sono diversi ovviamente. L’Africa è sempre al centro, soprattutto con film del Maghreb, i tre continenti hanno lo stesso livello di interesse culturale”.
La città risponde bene: “La sensibilità c’è abbiamo tesserati che tornano dal primo festival, persone che guardano tutti i film. Manca un appoggio deciso dalle nuove generazioni, che il cinema visto in sala non sono abituati. Un peccato, perché non c’è molta occasione di vedere questi film al di fuori di questi circuiti”. E le comunità? “Reagiscono in maniera diversa, a volte arrivano qui film che nei loro paesi di origine sono vietati per motivi religiosi o di censura. E spesso in sala vediamo anche dei dibattiti accesi, il che ci fa piacere”.
Raccontare gli aspetti più moderni dei tre continenti, in particolare dall’Africa, è una mission anche delle iniziative accessorie al festival, che ha un focus particolare sulle foto. L’Africa è infatti anche il continente che ha una classe di fotografi emergenti molto vivace.
LE FOTO – Tchamba
(courtesy by L’Agence à Paris)
La serie fotografica, composta da 18 foto, è il frutto di due viaggi di Nicola Lo Calzo in Togo e Benin, compiuti tra il 2011 e il 2017, ed esplora la complessità del Tchamba, una pratica vudù unica nel suo genere, che incorpora le ambiguità tipicamente insite nella memoria della schiavitù e i molteplici significati che essa assume in seno alle comunità locali.
PALAZZO LITTA – Nello storico palazzo in centro a Milano, in concomitanza con il festival, fino al 2 aprile, c’è AfricaAfrica, exploring the Now of African design and photography, a cura di MoscaPartners e MIA Photo Fair Projects, rispettivamente curatori della sezione design e fotografia; contestualmente la programmazione musicale è a cura di Ponderosa Music&Art.
AfricaAfrica racconta le trasformazioni contemporanee nel continente africano dove design, fotografia, musica e cinema si intrecciano nella programmazione, in una proposta interdisciplinare: 22 creativi, 40 prodotti di design dell’ultimo biennio (2016-2017) e 52 opere fotografiche, esprimono il loro inedito punto di vista restituendo l’immagine di una realtà dinamica, innovativa e vitale.
Il FCAAAL è tra i collaboratori dell’esposizione, in particolare per la sezione fotografica, dopo due anni di collaborazione con LagosPhoto Festival e African Artists’ Foundation, in occasione di Designing Africa 3.0 e Where Future Beats, le due mostre presentate rispettivamente nel 2016 e nel 2017 al Festival Center. La selezione delle fotografie di AfricaAfrica, curata da MIA Photo Fair Projects in collaborazione con Maria Pia Bernardoni, curatrice dei progetti internazionali di LagosPhoto Festival, propone i migliori artisti africani contemporanei che esplorano il potenziale comunicativo del mezzo fotografico attraverso un linguaggio moderno, che supera i limiti della funzione tradizionale di documento o ritratto. Ne sono esempio la fotografa ivoriana Joana Choumali che, nelle sue delicate immagini interamente ricamate a mano, esplora il tema delle migrazioni e dei legami che si spezzano o che si perdono e costantemente si interrompono in numerosi paesi africani. Joana Choumali sarà a Milano ospite del Festival e a lei sarà dedicato un focus speciale presso il Festival Center e un talk aperto al pubblico, tracciando una linea di continuità con le sue opere esposte a Palazzo Litta. Anche Siwa Mgoboza, altro artista emergente che nei suoi lavori si interroga sull’identità in relazione alle influenze sociali e culturali, parteciperà al Festival con una masterclass per esplorare il suo approccio creativo a cavallo tra fotografia e design, programmata al Festival Center, domenica 18 marzo. Tutte le informazioni qui
OMAGGIO – A Daniele Tamagni è riservato il talk conclusivo di domenica 25 marzo 2018 alle 19. Presso il casello ovest di Porta Venezia a Milano ricorderanno il grande fotografo scomparso lo scorso dicembre Marco Trovato (Africa Rivista), Alessia Glaviano (photo editor di Vogue Italia), Marcello Bussi (Milano Finanza), Stefania Ragusa (giornalista). Il fotografo milanese che per primo ha fatto emergere agli occhi degli occidentali il fenomeno delle tribù giovanili metropolitane del sud del mondo diceva di essere “affascinato dalle energie vibranti delle metropoli africane”. Gli scatti di cui si parlerà sono quelli che hanno presentato l’Africa moderna e creativa a tutti gli appassionati di nuovi trend in giro per il mondo.
WAX MAX – Pattern africani, design made in Milan per questo brand che è stato selezionato per abbellire il casello di Porta Venezia, sede del festival. Ma che ha anche uno spazio a via Maroncelli, 12 a Milano dove si possono ammirare le creazioni che coinvolgono nella produzione piccoli laboratori, cooperative e botteghe artigiane di lunga tradizione che creano abiti, accessori e complementi d’arredo utilizzando il tipico tessuto comunemente detto “tessuto africano”.
“Ho iniziato a frequentare l’isola di Boavista nel 1996 – dice la fondatrice Elena Vida – quando gli occidentali lì erano ancora davvero pochi. Mi colpì la potenza della natura, i colori degli abiti delle donne. Per questo Wax Max è un progetto al femminile che parte dai coloratissimi tessuti africani Wax Print”.