La fotografia d’arte è testimonianza di un’epoca, di un momento, o di un sentimento del tempo. Eppure Armando Rotoletti col suo pregevole progetto “Sicilia in Piazza” ha reso possibile quello che solitamente non riesce: restituire agli occhi del mondo la bellezza dell’antica architettura urbana che ci è pervenuta nella sua dimensione originale.
Il fotografo messinese, classe 1958, formatosi presso il St. Mary College e il London Polytechnic (ora University of Westimnster), nel suo scatto porta i segni del fotogiornalismo a cui si è dedicato tra il 1985 e il 1995, ma è l’idea e la resa di queste bellissime foto che colpisce maggiormente. Lui che dal 1990 è stato all’agenzia Grazia Neri come ritrattista di personaggi della cultura, dello spettacolo e dell’economia, ha scelto una Sicilia sgombra, senza evidenti presenze umane, fotografata nel suo splendore massimo ai primi bagliori dell’alba.
Ugualmente emozionante, ma di sapore antropologico, l’altro lavoro che ha dedicato alla sua terra, Barbieri di Sicilia (2007), un viaggio tra le ultime botteghe di barbiere sull’isola, a cui è seguito Scicli, città felice (2014), racconto fotografico di una delle più affascinanti città barocche della Sicilia sudorientale e Vino e gente dell’Etna (2015), che documenta lo straordinario territorio del vulcano e il suo rinascimento enoico.
Per Sicilia in piazza (2017) continua a indagare il territorio della Sicilia lavorando su un progetto complesso che lo ha portato a fotografare 82 piazze di città importanti e di altri centri minori meno noti seguendo un rigoroso metodo di svuotamento delle piazze da autoveicoli e allestimenti precari. Per questo le immagini che vi mostriamo sono uniche e fanno scalpore ai nostri occhi: sono libere dai condizionamenti visivi che le riportano al presente non sempre rispettoso delle bellezze antiche.
Che tipo di messaggio vuoi comunicare facendo vedere le splendide piazze siciliane vuote?
Volevo tornare indietro, a prima dei bar, a prima delle automobili, a prima dei cartelloni pubblicitari. Volevo andare il più indietro possibile per avvicinarmi all’idea storica della piazza: non centro commerciale ma centro sociale, luogo di incontro, di scontro, di evoluzione.
Un problema logistico che sembra davvero grande: come hai fatto a farle svuotare?
Ho chiesto: ai comuni di emettere ordinanze di sgombero, ai vigili urbani di farle rispettare, ai cittadini di portare pazienza, ai baristi di darmi una mano. Hanno capito quasi tutti e subito. Hanno immaginato ancora prima di me la bellezza che si nasconde dietro le auto parcheggiate, dietro agli ombrelloni e alle tensostrutture. E le hanno tolte. Per poco, ma lo hanno fatto.
Cosa dicono i siciliani, gli abitanti delle città quando vedono queste foto? Si tratta anche di un nuovo modo di “educazione civica”?
Non ci aspettiamo dei miracoli, ma un piccolo lavaggio delle coscienze sì. Le foto hanno un forte impatto nei siciliani che le guardano, lo vedi dalle facce che fanno, da come strabuzzano gli occhi, da come girano e rigirano le pagine, tornano indietro, sono colpiti da pensieri nuovi. Il libro si vende in tutta Italia, quindi si può sperare che il fenomeno catturi l’attenzione anche di altre città.
Cosa ti affascina dell’architettura siciliana che sembra essere la vera protagonista delle immagini?
Gli spazi immensi, i vuoti e i pieni, l’uso dei materiali (basalto, pietra lavica) che a seconda dei luoghi cambiano i colori delle città intere. I disegni delle piazze, pensate come stravaganti tappeti di fronte alle chiese o di fronte al mare, come a Marzamemi, Taormina, Acicastello. Per non dire dei ghigni delle maschere che dai frontoni delle chiese e dei palazzi si fanno beffe di terremoti e maremoti.
Hai anche realizzato un bellissimo studio sulle barberie siciliane negli anni 90. Che ricordi hai? E cosa pensi del boom delle barberie nelle città trendy oggi?
Delle barberie ricordo soprattutto l’umanità densa che le popolava, tutta maschile, con rituali ferrei svelati dagli oggetti e dominati dal rigore del barbiere, una via di mezzo tra un sacerdote e un consigliere, spesso anche farmacista e infermiere. C’era un tale fascino in quei locali senza pretese di raffinatezza, che da Parigi a New York oggi si cerca di riprodurlo con dovizia di arredi. Le barberie erano distillati di un’epoca, queste botteghe moderne sono una cosa diversa, non credo che siano il fulcro di qualcosa, solo un fenomeno passeggero.
Fai anche foto di celebrità. Come le approcci? Dove operi?
Mi capita di fotografare un personaggio famoso dietro richiesta di un editore, ma spesso l’iniziativa è mia, e scaturisce dalla curiosità di conoscerlo, magari in seguito a un evento, una notizia che mi ha colpito. Poi sottopongo il mio lavoro a un redattore che le utilizzerà in un articolo. Per avvicinarli cerco un contatto, un numero di telefono, li chiamo e li incontro, entro nelle loro case, conosco le mogli, i mariti, i figli. Devo dire che raramente si negano. Ho conosciuto in questo modo la maggior parte dei famosi nel mondo, e li ricordo tutti.
Hai qualche ricordo legato a un incontro particolare?
Ricordo sempre con grande piacere Gene Gnocchi. Raro esempio di personaggio rispettoso del fotografo. Oltre che generoso: tre volte ho lavorato con lui, tre volte ho trovato un tavolo al ristorante prenotato, per me e l’assistente.
In apertura: Piazza Duomo. Erice (Trapani) – Foto di Armando Rotoletti dal libro “Sicilia in piazza”.
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