Bravo, bello e intenso Alessandro Bruni Ocaña nello spettacolo che sta destando molto interesse all’Elfo di Milano, L’Acrobata. L’attore nel teatro di Elio De Capitani, che firma la regia in scena con la bravissima Cristina Crippa, ha debuttato all’Elfo ventenne nel ruolo en travesti di Salomé e due anni dopocome Ken, l’allievo di Bruni-Rothko in Rosso.
L’ACROBATA – A soli 28 anni Alessandro è arrivato a un ruolo della vita: è padrone della scena in questo dramma che racconta del capo di stato cileno, Augusto José Ramón Pinochet Ugarte che nel 1973 tradì il suo presidente Salvator Allende e prese il potere con la violenza.
Chi parla in questo testo, scritto dall’autrice fiorentina Laura Forti, è José Valenzuela Levy, nome di battaglia comandante Ernesto, colui che organizzò e diresse nel 1986, a soli vent’otto anni, il fallito attentato contro il dittatore che si vendicò brutalmente.
L’INTERVISTA – Che percorso fa l’attore con un testo così intenso come L’Acrobata?
Mi piace più considerare il nostro lavoro come lasciarsi attraversare. Ci svuotiamo e ci facciamo permeare dai personaggi. Siamo diversi ogni giorno, l’ho scoperto uscendo dall’accademia e stando sul palco. L’unica forma che abbiamo per rendere vivo il teatro è proprio accettare la giornata con quello che devi rappresentare in scena. Portare l’individuo in scena è la bellezza di questo mestiere.
Ti senti responsabilizzato da un testo impegnato?
Non mi è stato difficile farmi attraversare dai due personaggi di Laura Forti, che sono il padre e il figlio. Sono militanti, portano un peso così importante che c’è poco da fare apparentemente, non li forzo. Sono già potenti ed è un piacere passare da uno all’altro, capisci le dinamiche diverse non solo in un punto di vista. Sto imparando tanto. Ho la fortuna di dedicarmi a qualcosa che mi piace e mi prendo i rischi. L’unico modo per scoprire e trovare vita è metterci in gioco.
Che tipo di spettacolo è L’Acrobata?
Abbiamo scenografia scarna, solo qualche oggetto. Questo all’inizio può spaventare, noi attori tendiamo sempre a trovare appigli. Salire lì ogni sera e accettare di farsi guardare è una delle cose più dure di questo lavoro. Le parole ci assistono e sono parole importanti di un periodo storico importante.
La forza del messaggio supera tutti gli orpelli?
Affidarsi a quello che stai dicendo se è carico di senso drammaturgico ma anche politico e sociale ti aiuta molto il lavoro. e ci metti del tuo ma non lo fai per romanticizzare qualcosa che ha forza di sé. Sono spagnolo, non ho niente in comune con queste perdite della storia, anche se la fioritura giovanile politica di quegli anni è stata d’insegnamento per tutti.
Che percorso hai fatto, personalmente dallo spagnolo all’italiano?
Tutta la mia famiglia è di Madrid, mio padre ha origini anche italiane e da piccolo facevo avanti indietro. Ora è bello tirar fuori la lingua spagnola in uno spettacolo italiano, anche se sono in alcuni brevi passaggi. In questi 10 anni di studio a Milano, ho perfezionato l’italiano e lo spagnolo è diventato per me più viscerale, l’italiano è qualcosa di razionale. In teatro lavori con impulsi e a volte devo tradurre mentalmente dall’uno all’altro verso.
Ti senti diverso a secondo della lingua che usi?
Cambia totalmente, la lingua prima che concetti è legata ai suoni. La lingua che usiamo determina le azioni corporee e le sensazioni che trasmettiamo.
Dopo il debutto all’Elfo a 28 anni ci torni da co-protagonista. Come ti senti?
Non ragiono per importanza di ruoli ma per adesione mia ai progetti. Questo mestiere è sempre un regalo, soprattutto qui. Non so dove mi porterà la vita ma questa è una casa, dove ho iniziato e l’esplosione più grande nel 2011 l’ho avuta con la chiamata per lo spettacolo Salomè. Ero poco pratico di questo teatro, ma la vita dello studente ti porta spesso a chiuderti e non guardare oltre. E quello è stao il primo ingaggio serio.
Cosa ti piace dell’Elfo?
Qui c’è senso del teatro, rispetto dei lavoratori e si è in uno stato di pace creativa, è un bellissimo ambiente.
Prima de L’Acrobata che stavi facendo?
Me ne stavo tornando in Spagna il giorno in cui avevo l’aereo mi convocò il regista, era a dicembre 2016. Il testo fu una folgorazione, mi ha aperto un mondo, mi ha messo in discussione come cittadino del mondo mettendomi a confronto con un momento storico di grandi ideali. È stata una sberla forte. E son contento di essere rimasto perché la squadra è meravigliosa e ho fiducia e sintonia con Cristina Crippa in scena.
Cosa volevi fare in Spagna?
Volevo cercarmi qualcosa di nuovo a casa, volevo dare un taglio, per motivi personali, alla mia permanenza a Milano. Sono grato di essere rimasto, adesso sono nomade, viaggio dove c’è lavoro.
Hai fatto anche tv in passato. Che ricordi hai?
Ho conosciuto grandi persone e bei professionisti, non so dire quanto il contesto abbia facilitato la mia permanenza. Eravamo su una tv per giovani, DeeJay Tv, in diretta 4 giorni a settimana, e facevamo informazione di vario tipo. Sono venuto in contatto con giovani in gamba. Ho un rimpianto, avrei voluto farlo con più leggerezza, gioventù non significa leggerezza sempre.
Cos’è la creatività per te?
È il coraggio di arrendersi a se stessi e mettersi in gioco. Da coraggiosi vengono fuori le cose belle e oneste nel momento in cui abbassiamo le difese e le paure. La nostra singolarità.
Per info sulle repliche al teatro Elfo Puccini (a Milano fino al 4 febbraio) qui.