“Ho avuto in regalo, ogni Natale e compleanno della mia vita di bimba, acquarelli e scatole di matite colorate, da una mamma che ha voluto infondermi la sua grande passione, irrisolta, per la pittura. Lei voleva fare la pittrice ma suo padre, mio nonno, uomo d’altri tempi, non considerava la pittura un “mestiere adatto ad una signorina per bene”. Inizia così il racconto, quasi confessione “ambrosiana”, di Roberta Serenari, pittrice, bolognese di nascita, ma che ha deciso di vivere e lavorare a Sasso Marconi.
Nel tranquillo borgo fuori città, nella prima zona collinare dell’Appennino bolognese La sua casa è “su un dolce altopiano adiacente alla antica casa di campagna di Guglielmo Marconi, che, appena ventenne, in quei luoghi faceva esperimenti per la sua futura invenzione di telegrafia senza fili. Su quelle colline, dove riecheggia ancora il colpo di fucile che salutò un passo rivoluzionario nella storia del mondo”. La casa e l’atelier si fondono: quest’ultimo è nella arte più alta dell’abitazione con una bella vetrata posta a nord con una luce ideale per dipingere. Come lei stessa ci racconta: “C’è affinità tra la mia casa, il mio studio e me. La mia casa è nel verde; ha un giardino con piante soprattutto a foglia, perché amo vedere il cambiamento cromatico delle stagioni, in autunno i miei” liquidambar” sono uno spettacolo di rosso-arancio-cremisi. Al piano terreno, la mia abitazione degli anni 70, è sobria, con qualche oggetto di design degli anni 80 e alle pareti alcuni miei dipinti”.
Nel salotto, grandi finestre si aprono sul giardino e sul sottoportico-terrazza molto utilizzato in estate. Ci interrompe e afferma:” Il mio studio è un luogo solo mio, appartato dall’abitazione, chi vuole entrare deve suonare il campanello. Dentro non ci sono soltanto gli strumenti da pittore, cavalletti, tavoli da disegno, un set fotografico per le mie modelle, ma anche un piccolo salotto intimo che accoglie le mie letture, il mio riposo, e qualche volta la mia voglia di scrittura”. Le chiediamo di continuare a parlarci del suo percorso da artista autodidatta: “All’età di 10 anni ebbi un’apparizione: dopo un pomeriggio di giochi all’aperto, mi ritrovai nel salotto della casa di un mio compagno, dove vidi una grande tela dipinta, ancora fresca di pittura, da cui proveniva lo sguardo complice e sorridente di una bellissima figura di donna a grandezza naturale; ne rimasi folgorata. Tornando a casa, pensai che la mamma del mio compagno, poteva, solo con pennelli e colori, creare la bellezza e in cuor mio si formò la nuova convinzione che avrei voluto, ad ogni costo, seguire anch’io quella magia. L’ho seguita… nei musei, nelle gallerie, sfogliando libri d’arte e studiando, provando e sbagliando, da perfetta autodidatta (cioè imparando dai miei errori), continuo con passione e convinzione a seguirla ancora oggi”.
I suoi dipinti sono stati esposti dalla 54esima Biennale di Venezia, a Palazzo Durini (MI) a Palazzo Ruspoli di Vignanello (VT), alla Fortezza di San Leo (RN), al Grattacielo Pirelli di Milano, alla Rocca Paolina di Perugia, all’Istituto Italiano di Cultura del Cairo nella mostra “Immagini e Parole” e all’Accademia d’Egitto a Roma, all’Expo di Milano 2015 presso il Padiglione Italia. Le sue opere si trovano in collezioni private e pubbliche, come il Museo di Cà La Ghironda (BO), il Museo di Logudoro (SS), la collezione Elena Mirò, la Quadreria dell’Ospedale Sant’Anna di Ferrara, l’Hotel Albornoz di Spoleto e la Collezione Permanente di Costa Crociere sulle Navi Costa Deliziosa e Costa Fascinosa e Collezione Palazzo del Pegaso di Firenze. Le sue opere sono fatte di silenzi: “E di silenzio è fatta anche la mia pittura” continua Roberta,” caratterizzata dalla sospensione metafisica di immagini femminili e il tema predominante è il gioco delle fanciulle in fiore sulla scacchiera della vita, figure simbolo di un viaggio fantastico tra realtà e irrealtà, tra favola e sogno”.
Nelle sue enigmatiche opere, l’artista bolognese insiste nella definizione maniacale dei volti e dei corpi quasi ad onta di contemporanei shooting fotografici.
La profondità di campo è ottenuta mediante precise regole di costumata simmetria d’arte. In una bellissima opera, “In nome della madre” esposta in occasione della personale “Axis Mundi” presso il “Mac,n” di Monsummano Terme, non vi è alcun disvelamento: tutto è descritto con la semplicità apparente delle due figure che mostrano appieno la lezione abusata da Roberta dell’aristocratica ars pingendi del ritratto. Le nuance cromatiche sono un mero esercizio di stile come la scelta paradigmatica delle raffigurazioni ora di profilo (l’adolescente a sinistra), ora di prospetto (l’anziana donna a destra). Entrambe sono assise su podi obliterati (o piuttosto ideali?) da campiture orizzontali di colore. Le sedute immaginarie risultano percepite in virtù della geometria euclidea: entro quadrati si inscrivono cerchi, attraversati da fasce parallele e verticali. È la rappresentazione contemporanea del tempus fugit, definito in maniera magistrale dall’artista, quale segmento terreno per definire la parabola vitale d’un universo qui marcatamente declinato al femminile. Il tramonto è lentissimo e struggente in quest’autunno chiediamo all’artista come trascorre il suo tempo oltre la pittura e le incombenze quotidiane: “faccio spesso lunghe camminate col mio cane, la mia amata golden di nome Gilda. Amo stare con lei nel verde, seguirla nei percorsi che sceglie con il suo istinto di cacciatrice e mi piace che sia lei ad insegnarmi come ascoltare i rumori del bosco e a sorridere per la sorpresa di veder spuntare una lepre o volare da un cespuglio un fagiano. Questo è la sola cosa che mi distoglie dal dipingere”.
Testo di Teobaldo Fortunato, foto gentilmente concesse da Roberta Serenari