“Ma come mangi?”. “Però, sei un pakistano bello!”. Immaginate una vita fatta di continui strafalcioni verbali, che poi nascondono il disagio della società ad avere a che fare con gli stranieri di seconda generazione. Per questo “Hijra”, il libro di Saif ur Rehman Raja, 30enne di origine pakistana da 20 anni in Italia, è una lettura necessaria. La storia di un ragazzo escluso da due culture, ostaggio di un doppio pregiudizio, determinato a decidere da sé sui propri desideri e sulla propria sessualità.
Per Saif, come descritto nell’avvincente volume uscito per Fandango e in presentazione al Salone del libro di Torino l’11 maggio 2024, c’è un prima e un dopo. Il prima è l’infanzia a Rawalpindi, insieme ad Amma Shakeela, sua mamma, i due fratelli minori e la grande famiglia del nonno materno, tutti dentro la stessa casa con il cortile scoperto da cui entra la pioggia e si vede il cielo. Questo è il momento in cui i gusti e le affinità si formano, l’interesse del protagonista per quello che considera “la sfera femminile” si accentua. E quindi molto del tempo lo trascorre con le donne, preferendo interessarsi alla cucine delle spezie piuttosto che ad altre attività considerate più consone a un ragazzino. Poi c’è la fase della solitudine, quando a undici anni Amma raggiunge Abba Shabbir, suo padre, in Italia, con i figli minori.
Il protagonista in questa seconda fase è esposto ai pericoli per il suo essere non conforme, perché Saif ama ballare, ama cucinare, ama pettinare i capelli delle cugine, tutte attività per “femmine”.
Ma il dopo è anche l’Italia, il ricongiungimento con i genitori a Belluno, accerchiato dalle montagne, lontano dagli odori conosciuti e dagli amici, sommerso dalla neve e dal pregiudizio che per la sua pelle e la sua cultura tutti gli cuciono addosso.
Con piglio fatalista ma anche ironico, Saif ci racconta quanto entrambi i paesi prendano le distanze da lui poiché non è “puro”. Troppo pakistano per gli italiani, troppo italiano per i pakistani, un apolide involontario, senza un paese che lo accolga e senza una famiglia che lo riconosca, perché Saif è omosessuale, o come dice il padre, un hijra (da cui il titolo del romanzo), un mezzo uomo da virilizzare a forza di botte.
Una storia di etichette sbagliate, di vita in un universo oppositivo, spesso massacrata da un doppio pregiudizio. Che ci fa interrogare anche sulle molteplici identità presenti nel nostro mondo, sul desiderio di appartenenza e su quanto sia fondamentale, in fin dei conti, la libertà. Di decidere per noi stessi.