13 Giugno 2023

Piatta è la campagna: in un libro la nostalgia della semplicità

Le camminate sull'Adda, la vita metropolitana, i ricordi e i rapporti umani da ribilanciare. Matteo Parmigiani, al suo primo romanzo, racconta l'eterna dicotomia tra centro urbano e quiete naturale. Con nuovi spunti.

13 Giugno 2023

Piatta è la campagna: in un libro la nostalgia della semplicità

Le camminate sull'Adda, la vita metropolitana, i ricordi e i rapporti umani da ribilanciare. Matteo Parmigiani, al suo primo romanzo, racconta l'eterna dicotomia tra centro urbano e quiete naturale. Con nuovi spunti.

13 Giugno 2023

Piatta è la campagna: in un libro la nostalgia della semplicità

Le camminate sull'Adda, la vita metropolitana, i ricordi e i rapporti umani da ribilanciare. Matteo Parmigiani, al suo primo romanzo, racconta l'eterna dicotomia tra centro urbano e quiete naturale. Con nuovi spunti.

Matteo Parmigiani è nato a Crema nell’aprile del 1986. Ha passato infanzia e adolescenza tra l’Adda e la campagna cremonese. Nel 2005 è stato adottato dalla città di Milano, dove ora vive e lavora. Piatta è la campagna , edito da Fernandel, disponibile in tutte le librerie e su Amazon, è il suo primo romanzo.

Matteo nella periferia del cremonese è nato e cresciuto e che nelle parole e pensieri del protagonista del suo libro, un piccolo Matteo, riporta vivide immagini di chiari ricordi di infanzia. E così il lettore accompagna il protagonista nelle sue camminate lungo l’Adda, viene contagiato dal genuino entusiasmo per l’arrivo di una sagra di paese; osserva i colori dei tramonti, le corse a perdifiato nei campi e gli sguardi a volte carichi di stanchezza di chi vive la terra e la lavora ogni giorno.

Piatta è la campagna è un romanzo di formazione scritto con la freschezza e l’entusiasmo dell’adolescenza, un’epoca in cui tutto sembra accadere per la prima volta, al punto che perfino solitudine e noia appaiono come qualcosa di elettrizzante. La foto di copertina è di Stefano Bonazzi.
Scene di vita rurale che da giovani solitamente si finisce per odiare. Matteo Parmigiani è il protagonista del più classico degli spostamenti: dalla natura al cemento, dal ‘lontano’ al centro di tutto. Eppure, questa alterità genera ancora conflitti, come scrive nel suo primo romanzo.

A The Way Magazine racconta la suo amore e rapporto conflittuale per la campagna e il suo legame con la città. Sentimenti contrastanti che vivono in lui e sono diventati la chiave di lettura di questo romanzo.

Dalla campagna alla città, ci sono inevitabilmente dei contrasti. Come li hai affrontati? Partiamo dalla metropoli.

Vivere in una città “europea” come Milano ha indubbiamente moltissimi lati positivi; tanti stimoli, opportunità, possibilità professionali e di ascesa. A Milano ci si viene per studiare e per lavorare e Milano accoglie e adotta tutti, me compreso! Poi c’è anche l’aspetto più creativo e artistico. Poche realtà come Milano offrono la possibilità di confronto e crescita in questo ambito. Per esempio è proprio grazie a questa città e ai rapporti nati che ho potuto creare e dirigere una rivista letteraria, Nido di Gazza, che ha contribuito nel mio percorso di scrittura. Infine ci sono anche svago e divertimento.
Credo però che esista, nel contesto urbano della città, anche il reale rischio di vivere una forte solitudine. Soprattutto per chi in città non ci è nato ma s’è trasferito in un certo momento della vita. Nonostante ci si trovi immersi tra la gente, per strada, nei locali, nella metropolitana, quello che vedo è appunto questo rischio di solitudine. Dovuto forse a una mancanza, o comunque a una scarsezza di “comunità”.
Questa difficoltà di ritrovarsi in una “comunità”, anche se devo dire che a livello di quartiere molte realtà si stanno sviluppando in questa direzione, i ritmi frenetici del lavoro che richiede sempre di più, il costo della vita sempre in aumento, credo siano tutti elementi che possano portare un senso di inadeguatezza davvero forte in chi li vive e vive la città.

Mentre della dimensione naturale cosa ti è rimasto?
Trovo che la campagna invece sia molto più riflessiva. Lì puoi avere un contatto diretto con la natura, silenzio e possibilità di riflessione. I ritmi sono più morbidi e anche la sensazione del tempo che passa è diversa. Spesso in città vivo come la sensazione che il tempo, giorni, settimane, anni, stiano scappando. In campagna è come se tutto si fermasse.

Cosa ricordi con meno nostalgia?
Va detto che anche che la vita di provincia ha suoi difetti e il primo è appunto quello di essere provincia; il rischio della mancanza di comunità della città qui è portato all’estremo opposto. Spesso, nelle realtà rurali più piccole, come la Rialzo del libro, tutti sanno tutto di tutti e questo non so fino a che punto possa essere positivo. E poi gli inverni! L’inverno in campagna è qualcosa di interminabile.

Come mai l’idea e la volontà di scrivere un libro che raccontasse la vita in provincia, evidenziandone anche le difficoltà?

L’idea è nata un passo alla volta, quasi per caso. Nel senso che il libro raccoglie e unisce con una struttura narrativa lineare e unitaria, diversi episodi all’inizio pensati come racconti. Avventure vissute dallo stesso protagonista. Parlo della vita in provincia perché sono nato e cresciuto in quella realtà e avendoci passato l’infanzia e l’adolescenza, mi interessava mettere in luce e provare a trasmettere, attraverso delle storie di fantasia, ciò che c’è di vero nelle pieghe di quella vita. Non solo le sensazioni positive ma anche le negative e il dolore.

Cosa c’è di autobiografico nella storia del piccolo Matteo?

Sicuramente l’elemento autobiografico più forte è l’ambientazione. Le campagne, il paese di Rialzo, i casolari isolati e le cascine. Molti luoghi descritti esistono davvero. Nel libro si parla anche del fiume Adda, dove sono ambientati alcuni episodi. Vengono menzionate alcune città reali come Cremona, Crema, Piacenza. Ad altri paesi più piccoli e borghi, realmente esistenti, ho preferito dare nomi di fantasia.
Altro elemento autobiografico sono alcuni personaggi, non si tratta nemmeno di figure secondarie ma di vere e proprie comparse, che appaiono una o poche scene, oppure vengono citati, e poi spariscono. Per questi personaggi sono andato a frugare nella mia memoria di ragazzino, lì ho pescati e riportati sulla pagina, cercando in un qualche modo forse un po’ presuntuoso, di ridar loro anche un po’ di vita. Moltissimi infatti sono già scomparsi, alcuni per il covid, e dar loro spazio nel libro mi sembrava un po’ come regalargli un nuovo piccolo spazio in questo mondo.

I rapporti umani invece che origine hanno?
Un altro elemento biografico risiede nei rapporti tra alcuni personaggi del libro; la prima cotta di Matteo, ovviamente non contraccambiata. Il rapporto con Rafo, il ragazzo considerato da tutti il “poco di buono” del paese, ma nel quale Matteo trova un fascino e un’ammirazione per la ribellione alle dinamiche schiaccianti della mentalità paesana. Insomma il libro potrebbe essere paragonato ad un Amarcord felliniano ma con una preponderante dose di fantasia.

Oggi come rivedi quegli anni? C’è anche nostalgia nei tuoi ricordi?

Sono abbastanza combattuto rispetto al ricordo di quegli anni: certe volte ritrovo dentro di me una nostalgia verso quei luoghi e quegli anni. Una nostalgia di sentimenti, sensazioni ed emozioni che ho vissuto in quel tempo, legate a luoghi precisi, e che so di non poter più recuperare nonostante a volte mi ritrovi a ricercarle. Un po’ una ricerca di un puer aeternus, un ragazzino dentro me, che ricerco e al quale provo a ridare vita tentando di rivivere quelle sensazioni. Di contro credo però di non poter più riuscire, almeno in questo momento della mia vita, a vivere in una realtà di provincia. Sento d’aver bisogno della città e mi sono affezionato moltissimo a Milano in questi anni.

Come la vita in campagna ha condizionato la tua quotidianità?

Sicuramente il desiderio di silenzio e pace che ogni tanto mi assale viene dall’esperienza di vita in campagna ma anche il desiderio di spingermi a conoscere realtà nuove. Nella vita di paese bene o male ciò che c’è lo scopri subito e purtroppo, spesso, ti devi fermare lì. La città invece offre l’opportunità di andare oltre ciò che hai già conosciuto. E poi credo anche nella scelta del cibo.

Cosa ami della città? Dove ti piacere andare a Milano? Cosa ti piace fare?

Attualmente vivo nel quartiere di Greco. Era un piccolo pese di campagna che a inizio Novecento è stato inglobato nell’area metropolitana di Milano ma nonostante questo ha preservato e mantiene tutt’ora la dimensione di paese. Amo tutto di Milano e faccio spesso lunghe passeggiate ma non credo che riuscirei a vivere in un quartiere o zona diversa da questa. Qui c’è molto verde, il naviglio della Martesana e i piccoli negozietti di commercianti tipici del paese. Strano a dirsi ma qui, a pochi minuti dal centro, riesco a ritrovare alcune sensazioni della gioventù passata in campagna.

Scappi dalla solitudine o ti piacere ritagliarti dei momenti per te? Magari sono importanti per scrivere?
Cerco sempre di trovare il giusto equilibrio anche se spesso non lo trovo. O eccedo da una parte o dall’altra. Mi piace stare in compagnia e con gli amici ma amo anche trovare momenti di silenzio e solitudine nei quali posso riflettere, rimettermi al centro e pensare alla mia vita. Ed è proprio in quei momenti che sono nate tante idee sviluppate poi in racconti. A volte emergono, senza essere invitati, ricordi lontani che mi affretto a mettere per iscritto. Altre volte idee o percezioni che provo a elaborare facendole vivere a un personaggio.

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