La dimora di Virginia Franceschi, tra i rilevi e gli alberi di ulivi nel Cilento, guarda dall’alto l’orizzonte sul mare. Tutta protesa a meridione, gli ulivi secolari la riparano dai venti che arrivano in alto, salendo dal mar Tirreno. Virginia si divide tra Salerno e Pisciotta, un piccolo borgo marinaro poco distante da Palinuro.
È qui che si dedica alla sua singolare arte dove i fili, gli intrecci, i tessuti giocano un ruolo importante. È nata a Pozzuoli (Napoli), una città di mare, la Puteolis dei Romani ed è ritornata sul mare per scelta e vocazione d’arte. Dal 1997, si è dedicata alla formazione artistica, prendendo parte a corsi di tecniche musicali, corporee, e a quello arcaico di tintura naturale. Ha insegnato in laboratori di art-therapy con bambini diversamente abili; ha ideato un corso di Ago-Scrittura, coinvolgendo donne di età differenti.
Negli ambienti della sua dimora, ogni elemento d’arredo si distingue da tutti gli altri, anche quando si tratta di mobili d’antan o vecchi bauli che, grazie alle cromie infuse dall’artista, mostrano una vitalità ed una funzione novella! Dall’armadio fin de siècle a tre ante, dipinto di giallo senape, alla cassettiera d’ufficio, tanto vintage, ora tinteggiata d’azzurro carta da zucchero, al vecchio baule, memore di viaggi lontani, ora spiaggiato in un angolo, come i rami sospesi al soffitto. È colorato d’un intenso rosso per nascondere i segni del tempo. Sono i dettagli che fanno la differenza: una lineare, austera commode del periodo tra le due guerre, evidenzia note di colore, in virtù dei pomelli variopinti, ammiccanti.
Le creazioni dell’artista sono state esposte in sedi prestigiose: dal Museo Etnografico di Morigerati, all’Istituto Italiano di Cultura a Colonia, dal Museo Narrante di Hera Argiva a Capaccio Paestum, poi a Milano, più volte a Salerno. Le abbiamo chiesto quanto il panorama artistico contemporaneo sia stato determinante: ”Mi ha influenzato positivamente perché mi ha dato la possibilità di esprimermi anche solo con le linee, i punti, le macchie di colore. Mi ispiro per la mia produzione artistica alla natura, all’arte primitiva e contemporanea o in occasione di mostre in musei o luoghi significativi, allo spazio che mi ospita. Ho sempre voglia di sperimentare nuove tecniche per la realizzazione delle opere. Non c’è una opera così significativa e importante che intendo realizzare. Vivo giorno per giorno e ciò che realizzo mi soddisfa; alcune cose di più rispetto ad altre”.
Sul luogo dove svolge la sua attività d’arte, abbiamo scoperto che il Sud è il suo ambiente ideale: “Vivo tra Salerno e Pisciotta e mi divido tra i due spazi: a Pisciotta nello spazio soggiorno-atelier, che in origine era una stalla, si fa tutto: si riceve, si pranza, si cuce, si sonnecchia sui divani, si ascolta musica, si chiacchiera, si cucina…insomma è un’autentica fucina! Il soggiorno si prolunga su un terrazzo esterno che affaccia sul mare dove si può godere del sole e del fresco. Tutta la casa è avvolta dai grandi alberi di ulivo pisciottiano”.
Sono i materiali semplici, disadorni, a volte di riciclo che la intrigano. Sotto le sue dita, assumono forme e cromie di assoluta, arcana bellezza: mobili ed arazzi, cuscini ed oggetti a volte diventano altro. Il tessuto, icona secolare, nella civiltà d’Occidente, d’un paradigma stigmatizzato, viene sdoganato dalla vulcanica fantasia di Virginia, quale elemento arcaico senza tempo definito, in una dimensione assolutamente contemporanea. Tecniche differenti, dal ricamo al cucito, alla tessitura, trascendono funzioni primigenie per assumerne altre; una sorta di polimorfismo attualissimo che diventa arte pura, nella prassi del fare e del racconto sotteso ad ogni sua creazione.
Ho sentito Virginia Franceschi al telefono nei primi giorni di quest’estate torrida. Le avevo chiesto di parlarmi di sé. Ha preferito inviarmi una lettera come si usava un tempo non lontano con alcuni dei suoi preziosi cataloghi delle mostre. Ho atteso giorni, impaziente e curioso. L’ho richiamata per ringraziarla. Mi ha invitato nella sua dimora/fucina d’arte a guardare i tramonti infuocati d’agosto. Aspetterò le brezze di settembre inoltrato per sedermi fuori al magnifico terrazzo, tra gli ulivi ad ammirare il mare del Sud, quello di capo Palinuro. Qui, secondo il racconto virgiliano, Palinuro, il nocchiero di Enea cadde in mare, tradito dal perfido Ipno.
Testo di Teobaldo Fortunato
Foto di Maria Rosaria Citarella per gentile concessione di Virginia Franceschi