Scrittore, regista e direttore artistico del Teatro Donizetti di Bergamo Francesco Micheli a 49 anni è uno dei più autorevoli divulgatori e conoscitori della Classica in Italia. Ha da poco pubblicato un libro dal titolo ”Il Lago dei cigni di Pyotr Ilyic Ciajkovskij – Giovani eroi che hanno paura di crescere’‘ per Edizioni Curci nella collana “Young Adult.
La storia è uno specchio di quella di Francesco, un ragazzino degli anni Ottanta di Bergamo. Ultimo di tre fratelli, ha fretta di crescere. Vorrebbe volare, danzare come un ballerino sulle note di quella musica travolgente che i suoi genitori ascoltano in casa. Guarda il cigno in un laghetto e sogna di essere come lui. Ma quando la musica si spegne, anche il suo volo si ferma, e a terra si sente goffo e inadeguato. E poi ballare non è esattamente accettato socialmente per un maschietto. Francesco è arrabbiato: non è ancora adulto ma non è più un bambino, in un corpo che cambia senza che lui possa capire come. Un libro congegnato per essere letto dai bimbi dai 10 anni in su e per gli adulti che si rivedono in quei “giovani eroi che hanno paura di crescere”, come dice il sottotitolo della pubblicazione.
Francesco, come stai portando avanti in questi anni la tua attività di divulgatore della lirica e dell’intrattenimento teatrale?
Dal 2015 sono arrivato a Bergamo alla Fondazione Teatro Donizetti e promuovo iniziative per avvicinare il genio bergamasco al pubblico. Io sogno un teatro come quello dell’Ottocento, quando era uno scrigno di intrattenimento popolare dove ci si recava per rimanerci ore, mangiare, ascoltare musica, canto, balletto, socializzare. Dal febbraio 2017 collaboro con Stefano Belisari, l’Elio del celebre complesso Elio e le storie tese, con il quale ho ideato il format teatrale “Cantiere Opera” dedicato ai grandi compositori.
Che vita hai condotto finora?
La mia vita professionale è stata definita dal mio ruolo con la Filarmonica del Teatro alla Scala di Milano. Abbiamo realizzato tante iniziative di divulgazione specie per le scuole, in 10 anni. Sono cresciuto in Val Brembana da padre farmicista e madre casalinga. Tutti in casa avevano una passione per la musica e il cinema, quel cinema che nei decenni del Dopoguerra ha attinto alla musica colta. Il film che mi ha segnato è stato “Amadeus”del 1984, capolavoro diretto da Milos Forma che racconta della storia di Antonio Salieri che guarda con invidia Wolfgang Amadeus Mozart. Ho capito che la bellezza non era solo la musica ma anche la vicenda, la passione del racconto della musica di cui era pregno il film.
Ci parli della genesi del tuo libro?
Il 2020 era un anno pieno di produzioni importanti da La Scala all’estero, ho dovuto fermare tutto e ho riversato la creatività online. Così, sono stato notato dalla casa editrice Curci , e ho iniziato a scrivere un testo anche legato alla mia omosessualità, proprio come quella di Čajkovskij. Il compositore come personaggio l’ho scoperto in Ken Russell di “Music Lovers” (L’altra faccia dell’amore, 1970). Sentendomi di parlare a un pubblico vasto, la bellezza di un’esposizione con lavoro di Marino Neri artista e illustratore, era fondamentale.
Non è un caso che proprio in epoca di pandemia tu ti sia dedicato alla scrittura di un libro che ha come scopo la divulgazione del messaggio della musica classica.
Oggi ci sono problemi nuovi per lo spettacolo, perché i tempi che stiamo vivendo rischiano di creare disaffezione del pubblico. Molti teatri hanno fatto fatica a ritrovare il proprio pubblico dopo i lockdown e cancellare il concetto per cui il teatro è un luogo da cui stare alla larga.
Che ripercussioni sta avendo questo allontanamento nella vita di noi tutti?
Gli abbonamenti a Netflix e Amazon per chi se li può permettere, sono stati degli alleati in pandemia. Personalmente mi ritengo fortunato, sono direttore di un festival importante, sono a contatto con una comunità locale molto legata al Teatro Donizetti, come testimonia il successo del festival a porte chiuse nel 2020 e anche gli abbonamenti online dell’edizione 2021. Come accade spesso, anche nella vita, le difficoltà ci temprano, ma non possiamo dimenticare che il sistema dello spettacolo sta scricchiolando.
Che cosa metti in campo per la divulgazione?
Con la Filarmonica della Scala, con cui ho collaborato per 10 anni, abbiamo portato la musica di quel teatro davanti a platee trasversali, grazie a molti progetti. Con lo scopo di diffondere grandi capolavori della musica classica, dissolvere dubbi del cittadino medio, sono arrivato a Bergamo. In questo rapporto tra teatro e pubblico, il nemico numero uno è la soggezione. Io non sono un musicista, ma credo che il racconto della musica come una grande mamma che ti accoglie ti vuole bene, sia efficace. La musica la prima e grande scuola di immaginazione che ho incontrato nella mia vita.
Che influenza può avere l’Opera sulle persone ancora oggi?
Beh, il “Lago dei Cigni” è stato il mio primo amore, e infatti parto da lì per la narrazione del mio libro. La nostra generazione del dopoguerra ha come immaginario collettivo il cinema, i miei maestri, con molta umiltà, sono Bergmann Visconti, Pasolini e Bertolucci. Loro si sono mossi in un momento in cui i media erano in sviluppo e sono partiti da un immaginario teatrale, e si percepisce. Il cinema americano è pieno di italo-americani, sono persone che sono venute su a pane e opera lirica, quindi già questa è un’indicazione su quanto la musica sia importante per i creativi di tutti i generi.
Cosa invece pensi tu della musica, oggi?
Amando l’Opera, sono un vero nostalgico anche se il mio piede nella contemporaneità c’è sempre. Da quando 8 anni fa ho scoperto Berlino ho capito con l’elettronica che la stessa emozione sul pubblico, lo stesso coinvolgimento che un tempo aveva l’Opera ora si ritrovano in questo genere. Infatti il mio sogno è aprire i cartelloni a nuove forme di opere liriche che siano contemporanee. L’esperienza in Italia non sarebbe facile, lo riconosco, ma il Novecento è stato un secolo dove l’arte colta e l’arte di consumo si sono separate. Ci sono pochi esempi di cross-over, un album dei Muse che ho amato tanto, dove i musicisti inglesi cercano di fare meticciato tra lirica ed elettronica. Ma ricucire questo strappo non sarà facile.
Che tempi stiamo vivendo, musicalmente parlando?
Purtroppo la divulgazione della musica classica è un’esperienza accidentata e non messa in sistema, tutti cercano di fare promozione ma è una dimensione frammentata. Altro problema che invece si riferisce al pop, è che l’immaginario collettivo era unico fino a un decennio fa, perché i cantanti sapevano rappresentare i sogni di tutte le generazioni. Difficile nominare un solo artista che rappresenti oggi i desideri e aspirazioni del pubblico. Basti pensare che tra gli italiani, Laura Pausini e Andrea Bocelli sono i più venduti nel mondo ma non rappresentano il sentire di un paese. Mentre Billie Eilish, che è una star mondiale, probabilmente sa unire. Lei è l’unica che mi ha fatto pensare fosse possibile tornare sotto un immaginario collettivo unico rappresentativo dell’epoca che viviamo.