Non bastano libri, interviste e incontri con le star per raccontare i segreti e combinazioni magiche per la realizzazione delle canzoni che ci fanno sognare. La musica popolare, in tempi di fruizione “liquida”, suscita sempre più interesse per il dietro le quinte e Alberto Salerno, discografico, autore e amico delle star del pop italiano, ha deciso di mettere il pubblico a conoscenza di tutto questo. Con la sua serie web #Storiedimusica, dove incontra in video autori, performer e addetti ai lavori, sta facendo una pregevole opera di divulgazione dell’arte del fare canzoni. Le puntate speciali su David Bowie, dove è affiancato da uno dei musicisti più eclettici della scena italiana, nonché competente studioso del Duca Bianco, Andy Bluvertigo, ne è una dimostrazione. Andy ha raccontato di quanto il fascino e inquietudine che Bowie gli ha trasmesso sin da ragazzo lo abbia influenzato, specie con la trilogia di dischi “berlinesi” “Low” (1977), “Heroes” (1977) e “Lodger” (1979).
Dopo le puntate con la nuova rubrica dal titolo “Vinili 45 giri” in cui Alberto Salerno ha raccontato di molti artisti passando da Fred Bongusto arrivando a Tom Waits e altri, senza tralasciare tutti gli speciali, disponibili sul suo canale Youtube che è arrivato quasi 700mila views.
Alberto, questa serie web è anche un modo per approfondire la storia di personaggi attraverso i racconti altrui. Cosa hai scoperto di Bowie con Andy?
Lui davvero sa tutto, ha studiato il musicista e la persona. Per me è sempre una scoperta, anche per gli artisti che ho amato imparo sempre, soprattutto quando mi trovo soprattutto con colleghi. Il programma è nato più per indagare sul dietro le quinte.
Come vagli gli argomenti da trattare?
Per le canzoni che ho scritto io scelgo quelle che destano più curiosità tra chi mi scrive. Sugli altri, prendiamo il caso di Ron: è un autore pazzesco e si è raccontato in questa veste che è davvero illuminante. Con Morgan che è genio e sregolatezza, ho avuto una personalità istrionica a dialogare con me ed è stato avvincente.
Adesso che è pubblicata la puntata con Andy possiamo dire che due artisti così completi nella stessa band sono una rarità?
In realtà le grandi band sono contrassegnate da presenze di personalità che ne determinano il fulcro creativo, basta pensare agli Stones o ai Beatles.
Tra l’altro Morgan è anche stato accanto a tua moglie nelle prime edizioni di X Factor. Sono due personaggi che in quella veste sono nati assieme…
Mara è diventata figura pubblica con il primo ciclo del programma nel 2008, vero. E per me, le prime tre edizioni di X Factor Italia restano mitiche perché con Morgan e Simona Ventura al banco dei giudici erano davvero un gruppo affiatato.
Tu avevi conosciuto da vicino i Bluvertigo molto prima, giusto?
Erano ragazzi di Monza che avevano appena cambiato nome e Morgan è arrivato da noi per cercare una produzione adeguata. Li abbiamo gestiti per 4 mesi, lui era per me il nuovo Jim Morrison. Ma per la discografia non erano ancora tempi maturi e lasciammo stare. Infatti dopo un paio d’anni arrivò la Sony e decollarono.
Il format della serie è realizzato con Giuseppe Fisicaro, fondatore dell’agenzia di management e publishing Digital Noises, come ti sei trovato in questa nuova veste?
Lui è il mio editor che mi ha adocchiato. Durante il Covid per noia ho iniziato a caricare su YouTube e Facebook il racconto dei miei dischi. Nei primi tempi in poche centinaia mi seguirono poi ho avuto subito grandi riscontri e mia figlia Camilla mi ha messo in contatto con Fisicaro, che mi ha inizialmente osservato. Oggi ho attorno a me un prezioso team di lavoro, con ragazzi che montano video e tutto l’occorrente che serve per realizzare il prodotto.
La sensazione che si ha guardando le puntate è di estrema libertà. Come scegli gli intervistati?
Avendo una certa età mi rivolgo a chi ha un trascorso di amicizia, o quantomeno conoscenza e collaborazione con me. Poi faccio leva anche sul mio gusto personale, come per Sergio Caputo che con ‘Astronave’ e ‘Sabato Italiano’ ha scritto due capolavori. Bastano due pezzi così per essere dei geni del pop.
Cosa manca alla serie secondo te?
Le nuove generazioni di artisti non vengono volentieri. Forse non hanno voglia o forse non mi conoscono, a me piacerebbe, è un peccato. In ogni caso non voglio che siano podcast tecnici ma delle chiacchierate, non parliamo di strumenti Roland e Rudwig.
Hai avuto però anche artisti più giovani della tua generazione. Come per esempio Silvia Mezzanotte.
Silvia è una grandissima cantante, questo è innegabile. Nei Matia Bazar è arrivata dopo Laura Valente, cantante di talento che oggi non è più attiva ed è un peccato. Silvia è anche donna intelligente, simpatica e umile e questo l’ho capito ancora di più vedendo la sua volontà, la voglia di mettersi in discussione. L’ultima versione dei Matia Bazar vera è con lei.
Ti sei addentrato anche nel mondo dei Måneskin. Ti appassiona il dibattito che si scatena intorno a loro?
Anzitutto ne parlo con il presidente della Sony Andrea Rosi, che era il più autorizzato a parlare di loro visto che li ha messi sotto contratto, oltre a essere un loro fan. Mi dispiace che ci sia scetticismo soprattutto in Italia per quello che loro rappresentano. Non sono finiti i tempi del rock, è vero che non basta una chitarra per fare quel tipo di musica ma credo che entrando in classifica in Billboard abbiano dimostrato già molto. Mi meraviglio che ci sia ancora gente che storce il naso.
Jovanotti perché l’hai voluto raccontare attraverso le parole del suo bassista, Saturnino?
Perché amo ‘Le tasche piene di sassi’, per me è il più grande poeta in musica di questo secolo. Quando giudichi un personaggio del genere con 30 anni di carriera devi considerare il tutto. Anche se fa un disco meno forte, bisogna riconoscere che è difficile continuare ad avere la vena d’oro e il giudizio non dovrebbe cambiare.
L’ispirazione, appunto. Cosa serve per non perderla?
Bisogna fermarsi per cinque anni o trovare le collaborazioni giuste…Ci possono essere tempi in una carriera longeva in cui gli artisti fanno cose meno affascinanti ma è normale.
Il tuo libro ‘Fare Canzoni’ ha la prefazione di Claudio Cecchetto. Lo senti vicino?
Lo considero il più grande talent scout di questo Paese. Ha scoperto Jovanotti, 883, Fiorello. Non ho potuto imparare nulla da lui perché non ci ho mai lavorato a stretto contatto. Ognuno vive la propria vena artistica e l’intuito secondo il proprio carattere. Gli riconosco di essere un grande valorizzatore di talenti. Imbattibile.
Ti fa strano pensare che i prodotti che lanciava negli anni Ottanta erano tacciati di leggerezza e ora sono riconosciuti come capolavori?
Ogni società esprime la canzone del momento. La trap che io detesto quasi in toto, è il suono di oggi. Mentre la dance di Cecchetto arrivava in un momento in cui quel genere fatto in Italia andava in classifica nel mondo. In quegli anni Bergamo era il centro di tutte quelle produzioni. Fossati cantava “la musica che gira intorno”, c’erano delle titubanze, ma io mi sono sempre sforzato di capire.
Cosa colpisce Alberto Salerno oggi in un brano?
Io vivo di una sana invidia, quando sento un grande pezzo mi entusiasma, mi sarebbe piaciuto scriverlo io. Mi fido di questa sensazione.
Come autore sei figlio d’arte. Che rapporto avevi con tuo padre?
Nicola Salerno è noto soprattutto per le canzoni scritte per Renato Carosone. Purtroppo è morto a 59 anni e io ne avevo 18, ci siamo conosciuti un po’, ma non del tutto direi. Infatti penso che se fosse qui oggi gli chiederei molte cose. La sua produzione musicale è di un valore enorme, in quegli anni hanno inventato la nuova canzone napoletana e senza quei brani non ci sarebbero stati i Pino Daniele di dopo.
Tu hai scritto anche ‘Terra Promessa’ per Eros Ramazzoti, che vinse tra i giovani di Sanremo 1984.
Questa canzone è nata perché avevo avuto la musica ed Eros aveva scritto le prime 4 righe di testo che ho voluto lasciare nella stesura finale. Pensavo al movimento politico dei Verdi, molto forte all’epoca in Europa.
L’anno dopo fu il turno di un altro classico, ‘Donne’ di Zucchero.
Quello è stato un disco che ci ha messo tempo a decollare. Partito a febbraio dal 21esimo posto ci lasciò con l’amaro in bocca perché pensavamo davvero di avere un brano forte. Poi inspiegabilmente nel settembre successivo arrivarono segnali di un gradimento radiofonico. A volte i destini delle canzoni sono inspiegabili.
I cantanti di Sanremo 1986 ci rimasero male quando la tua ‘Io nascerò’ cantata da Loretta Goggi come sigla del festival scavalcò tutte le altre in classifica.
Sì, la scrissi con Mango con cui avevo una buona intesa, scrivevamo molto bene in quel momento. Lei aveva appena firmato per la Sony ed era in forma smagliante, il pezzo lo trovo ancora fortissimo.
Nel 1988 il tuo sodalizio con Gianni Bella genera ‘Dopo la Tempesta’.
Marcella è stata davvero coraggiosa, soffriva la sindrome della gola, quella che hanno i cantanti prima di salire sul palco per la tensione. Io non c’ero alla prima serata, credo si sia dimenticata perfino qualche parola. Poi si riprese, io davvero la amo tanto come cantante.
Un’altra vittoria a Sanremo l’hai avuta come autore di ‘Senza Pietà’ di Anna Oxa nel 1999.
Quando è uscita quella canzone Anna era al top, sia dal punto di vista estetico che vocale. Devo riconoscere che mi dispiace sia scomparsa dal quadrante della mia vita, volevo mi chiamasse qualche volta. Si parla sempre di rapporti umani nell’ambiente, e la mancanza totale non la capisco. Detto questo, la canzone di quest’anno mi è piaciuta anche se era faticoso capirla. Rimane un grande personaggio per cui nutro tanta stima.
La scelta brani dei cantanti è sempre un punto dolente nella discografia?
C’è sempre la difficoltà della scelta del brano, in ogni epoca c’è stata. Qualsiasi sia il passo scelto è da ritenersi giusto secondo me perché dettato da un’esigenza artistica. Si può non condividere, come a volte accade con bellissime voci come Giorgia. Credo che lei si prenda le proprie responsabilità ed è giusto così. Certo quando poi sento il duetto con Elisa dove ripropone i suoi grandi singoli del passato penso: peccato che non canti più quello, le renderebbe molto più merito.
Hai adocchiato qualche nuovo artista ultimamente che ti ha colpito?
Un personaggio nuovo valido per me è Tanani. Quest’anno l’ho visto a Sanremo e mi ha fatto impazzire, vestito bene con una grande canzone. Per lui ho alzato il volume. Ha fatto un cambiamento di maturità da un anno all’altro davvero degno di nota.
Uno dei più grandi talenti scoperti dalla premiata ditta Alberto Salerno e Mara Maionchi resta Tiziano Ferro. Come ripensi oggi ai duri inizi di questo artista?
Per raccontare il Tiziano degli inizi ci vuole un trattato. Posso dire che abbiamo lavorato tanto, ha fatto sacrifici pazzeschi, prendendo in continuazione treni tra Latina e Milano per anni. Credo si sia davvero meritato il posto che ha oggi. E noi siamo felici di aver fatto con lui quei primi tre dischi che tutti amano.
STORIE DI MUSICA di Alberto Salerno è visibile a questo link