8 Dicembre 2024

Successo per il Macbeth di Jacopo Gassmann

Una discesa agli inferi, una galleria dell’impensabile. Convincente la performance di due talenti indiscussi, Roberto Latini e Lucrezia Guidone.

8 Dicembre 2024

Successo per il Macbeth di Jacopo Gassmann

Una discesa agli inferi, una galleria dell’impensabile. Convincente la performance di due talenti indiscussi, Roberto Latini e Lucrezia Guidone.

8 Dicembre 2024

Successo per il Macbeth di Jacopo Gassmann

Una discesa agli inferi, una galleria dell’impensabile. Convincente la performance di due talenti indiscussi, Roberto Latini e Lucrezia Guidone.

È al misterioso e infido mondo noir del Macbeth di Shakespeare che Jacopo Gassmann, il più giovane dei figli di Vittorio, torna a guardare per il suo lavoro di regia col classico inglese. Accade dopo che ne ha diretto la versione lirica di Verdi al Comunale di Bologna, e oggi propone questo nuovo allestimento della tragedia del Bardo, nella versione in prosa di Paolo Bertinetti (Einaudi ed.), in scena in anteprima nazionale al Teatro Mercadante di Napoli (fino a domenica 15 dicembre 2024). Protagonisti Roberto Latini nel ruolo del titolo, Lucrezia Guidone in quello di Lady Macbeth e Gennaro Apicella in quello di Banquo; una produzione Teatro di Napoli-Teatro Nazionale e Fondazione Campania dei Festival.

Roberto Latini e Lucrezia Guidone incarnano la coppia più ambigua del teatro elisabettiano: Macbeth e Lady Macbeth. Jacopo Gassmann rilegge la tragedia shakespeariana come il lungo viaggio di un uomo alle radici del male o come il progressivo inabissamento di una coscienza nel vasto e inesplorato territorio del rimosso. Jacopo Gassmann scrive: “Sono diversi infatti i temi (e gli interrogativi ) che sottendono la nostra esplorazione del testo shakespeariano.
Innanzitutto, Macbeth è la storia di uno sguardo, uno sguardo che vede troppo perché si è nutrito della “radice della follia”.
La sua mente poderosa racchiude – come in un eterno corto circuito – passato, presente e futuro ed è questa stessa capacità di contenere e accelerare il tempo, di vedere e allucinare il futuro, varcando i confini del possibile e dell’impossibile che lo porterà, alla fine, alla sua stessa autodistruzione”.

Scritta tra il 1605 e il 1608, Macbeth è – insieme ad Amleto – la tragedia più citata e rappresentata di Shakespeare (e forse in assoluto). La nota vicenda del barone scozzese cui tre streghe vaticinano l’assunzione della corona regale prima e la caduta dopo e gli omicidi che egli compie (a cominciare da quello di re Duncan) per far sì che questo si compia, aiutato e istigato dalla moglie non meno ambiziosa di lui, ha ispirato – nei secoli – pittori, musicisti, attori e registi di tutto il modo. Se nell’Ottocento la parabola di Macbeth veniva presa come paradigma della perversione dell’ambizione e della brama di potere o – nel caso di Verdi – come macchia indelebile che distrugge la coscienza e, con essa, la patria che diventa covo di furfanti e ricettacolo di nefandezze che ne minano la sussistenza, nel Novecento si è andata affermando via via una lettura freudiana del testo. Ecco allora che Lady Macbeth – guarda caso, unico personaggio femminile del Bardo senza nome proprio – diventa la metà oscura del marito, o meglio della sua natura.

In questo solco si muove l’attenta e minuziosa regia di Gassmann che, anzi, l’approfondisce. Qui ci troviamo, infatti, davanti ad una lettura apertamente psicoanalitica del dramma, in cui «il tempo stesso – ci dice – può essere piegato e i desideri più sfrenati sembrano potersi avverare, come se il protagonista compisse un percorso a ritroso nella propria vita. All’inizio del testo lo incontriamo all’apice della sua virilità – il guerriero più rispettato della Scozia, “prediletto del Valore” – e lentamente lo vedremo tornare bambino. Un bambino sperduto, sazio di orrori. Macbeth infatti è anche la storia di un trauma antico che attiene all’infanzia e che sembrerebbe avere origini nell’impossibilità dei due protagonisti (che Freud definiva parti complementari e inscindibili della stessa psiche) di poter procreare. Macbeth è il lungo viaggio di un uomo alle radici del male. O meglio ancora, il progressivo inabissamento di una coscienza nel vasto e inesplorato territorio del rimosso. Una lunga giornata che procede inesorabilmente verso la notte, una notte in cui tutto va storto, in cui l’ordine delle cose è rovesciato e la natura stessa viene ferita e violentata.»

Note sulle scene, a cura di Gregorio Zurla: “Un spazio mentale plumbeo, un limbo buio, materico, con pareti di un nero organico.
Il suolo terroso e polveroso, allude alla violenza del campo di battaglia, ma ancor piu al pantano che negli incubi notturni rallenta il passo. È in questo luogo oscuro, che si consuma il dramma psicologico di Macbeth. Il muro di fondo di questo spazio, è in realtà una sorta di grande portale semovente, capace di deformarsi e dilatarsi aprendo varchi di diverse misure, svelando ciò che sta dietro di esso, ovvero un immenso panorama bianco di cui non intuiamo la fine. Ed è da questo abbagliante panorama bianco (luogo delle streghe) che emergono visioni, squarci di futuro e di inconscio. Immagini premonitrici, perturbanti, che oscillano indistintamente tra passato, presente e futuro”.

Jacopo Gassmann realizza uno spettacolo raffinato e di grande impatto visivo, in cui la cura dei dettagli fa da ingrediente decisivo in ogni scena. Le sue scelte registiche sono portate avanti con rigore e coerenza (compreso un omaggio all’opera di Verdi nella scena del banchetto), così come la sua direzione degli attori segue una traiettoria precisa e organica.

Non stupisce, dunque, che a dare corpo e voce a questi spiriti maledetti e tormentati siano due tra gli interpreti più incisivi e al tempo stesso introspettivi delle nostre scene, Roberto Latini e Lucrezia Guidone che incarnano alla perfezione la “banalità del male”, coi loro accenti inizialmente eroici che diventano via via sempre più simili a balbettii propri degli infanti o che si addicono alla follia. Con loro un nutrito cast di attori di livello come – tra gli altri – Gennaro Apicella che gioca il suo Banquo sul doppio registro del fedele compagno d’armi e del perseguitato tradito; Nicola Pannelli, regale nei panni di Re Duncan e simpaticamente grossolano in quelli del Portiere del castello; Fabiana Fazio, Olga Rossi e Paola Senatore che interpretano (tra gli altri personaggi a loro attribuiti) le tre Streghe, tra le entità più iconiche e sibilline del teatro.

Tutti questi si muovono in un’ambientazione senza tempo immaginata e realizzata da Gregorio Zurla (per le scene) e Roberta Mattera (per i costumi), in cui fondali in continuo movimento e terriccio che imbianca i neri stivali e i cappotti di pelle creano uno spazio reale e mentale (si direbbe “metafisico”) in cui gli incubi del protagonista – con le apparizioni delle streghe e quelle fantasmatiche delle sue vittime, insieme a quella della foresta che si anima e avanza minacciosa – prendono vita sostituendo la proiezione onirica con la spaventosa realtà (“Macbeth ha ucciso il sonno!”). Una discesa agli inferi, una galleria dell’impensabile, dell’indicibile che ha riscosso un ottimo successo alla prima.

Testo a cura di Davide D’Antonio

Foto di Ivan Nocera

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