Un orfanotrofio di proprietà della Chiesa rischia la chiusura per il mancato pagamento delle tasse. Due fratelli, cresciuti all’interno della struttura, si prodigano per evitare il fallimento con un’idea alquanto singolare: riunire la vecchia blues band per una serie di concerti in giro per gli Stati Uniti d’America. Con questa trama debuttò al cinema il 20 giugno del 1980, dopo la premiere tenutasi quattro giorni prima, il film diretto da John Landis, scritto insieme a uno dei due attori protagonisti: ‘The Blues Brothers’.
Una trama alquanto insolita ma adatta ai tempi, visto che in quello stesso periodo, negli Usa, si stava pensando di tassare anche questo tipo di strutture.
Era ancora l’America di Jimmy Carter, quella di Ronald Reagan sarebbe arrivata qualche mese più tardi. Il film, che festeggia quarant’anni questa settimana, nonostante oggi sia ritenuto un capolavoro e un cult movie del genere, non riscosse immediato successo. Alcune testate storiche americane, come il New York Times, Washington Post ed il Los Angeles Times lo stroncarono con ‘sentenze’ inappellabili, del tipo: “saga presuntuosa”, “imbecille stramberia” e “disastro da 30 milioni di dollari”.
La cifra menzionata era in realtà la somma tra il budget speso proprio per ‘The Blues Brothers’ ed un altro film in cui i due attori principali presero parte, ovvero: ‘1941 – Disastro a Hollywood’; e nel cercare di analizzare i motivi del fallimento iniziale per poi trasformarsi in un vero e proprio successo epocale è bene risalire a due anni indietro all’uscita della pellicola.
Esattamente era il 22 aprile del 1978, di sabato; durante una delle ultime puntate della terza stagione della storica trasmissione ‘Saturday Night Live’. Due comici, che si erano conosciuti a Toronto, in Canada, nella prima metà degli anni ’70, fanno il loro ingresso davanti alle telecamere due strambi vestiti rigorosamente di blu: abito, lenti e cappello. Entrano introdotti da un’orchestra a suon di ‘I can’t turn you loose’ e dopo una capriola effettuata dall’attore più basso e più corpulento del duo iniziano la loro perfomance musicale tutto a suon della musica blues.
I personaggi immaginari si chiamavano rispettivamente Elwood e Jake ed erano interpretati, sempre rispettivamente, da Dan Aykroid e John Belushi. Quest’ultimo, proprio in quel 1978, era considerato il miglior comico d’America, con le sue imitazioni e con quella creazione ideata dal suo amico Dan. Ma il nome, ‘Blues Brothers’, non fu scelto da nessuno dei due. L’inventore fu un compositore e direttore d’orchestra canadese, Howard Shore; ma i profili dei personaggi furono realizzati dallo stesso Aykroyd in collaborazione con un consulente della storia per il film Ron Gwynne.
Sempre in quel 1978 venne fondata la Blues Brothers band, presente anche nel lungometraggio, che pubblicò, il 28 novembre, il primo long play intitolato ‘Briefcase full of blues’. Era appunto l’inizio di un successo che doveva essere confermato sul grande schermo, perché fu proprio in quel 1978 che nacque l’idea del film. Ma il successo non arrivò nell’immediato. All’inizio il budget predisposto ammontava intorno ai 17, 5 milioni di dollari e la sceneggiatura era stata sviluppata da Dan Aikroyd e lo stesso regista, John Landis. Quello stesso John Landis che tre anni più tardi dirigerà il leggendario cortometraggio musicale di Micheal Jackson ‘Thriller’. Le riprese iniziarono nel luglio del 1979 e purtroppo la cifra stanziata aumentò considerevolmente a causa dei continui problemi sul set, problemi provocati dallo stesso John Belushi, problemi che lo portarono dritto nella tomba la notte del 5 marzo del 1982.
Il film incassò in patria solo 57 milioni di dollari, ma all’estero ne incassò altri 58 milioni di dollari; per un totale di 115 milioni di dollari. Senza contare, negli anni avvenire, i 32 milioni di dollari provenienti dal vecchio mercato home video. Ma perché in patria non fu apprezzato, mentre all’estero sì? Forse perché non fu compresa la comicità? Eppure era la stessa proveniente dal ‘SNL’. O forse era troppo strana non solo la trama e, perché no, anche il suo sviluppo? Tra hit storiche della black music, inseguimenti esagerati e mezzi paragonabili ad una superproduzione da kolossal ed alcune situazioni esasperate all’inverosimile. Molto probabilmente si aspettarono, i critici dell’epoca, qualcosa di diverso; invece si ritrovarono davanti ad un’opera cinematografica folle e fuori dagli schemi. Una commedia-musical che si allontanava dai classici del genere; al tempo stesso però, ed è questo il vero elemento trainante, un irripetibile omaggio alla musica blues, un omaggio inaugurato in quell’ulteriore e lontano 22 aprile del 1978.
Oltre a Dan Aykroyd e John Belushi in questo pazzo film hanno fatto parte attori come John Candy, anch’egli uscito dalla fucina di talenti del ‘SNL’, Henry Gibson, Charles Napier e Carrie Fisher. Per non dimenticare le apparizioni suggestive di Frank Oz, dello stesso John Landis ed un giovanissimo Steven Spielberg. Come detto, però, il punto di forza di tutta l’opera cinematografica è la musica, di genere, blues, presente, come un’unica ed irripetibile colonna sonora mista al country trasformatosi in blues. Dalla cover di ‘Soul Man’ a ‘Sweet home Chicago’, dalla cover di Solomon Burke ‘Everybody Need Somebody’ alla rivisitazione del tema della serie televisiva degli anni ’50, in cui prendeva parte un giovanissimo ed ancora sconosciuto Clint Eastwood, ‘Rawhide’.
Senza dimenticare, e non si deve farlo perché sennò sarebbe un gravissimo delitto, della presenza di cantanti e musicisti. Come James Brown, presente nella scena della Chiesa in cui John Belushi viene ispirato dalla luce divina; Ray Charles che fa volare una pianola malandata al suono di ‘Shake a Tail Feather’, Aretha Franklyn nell’iconica scena della tavola calda in cui intona la potente ‘Think’ e Cab Calloway con la sua ‘Minnie the moocher’. Oltre a loro è anche presente John Lee Hooker con l’altrettanto iconica ‘Boom Boom’.
A distanza di quarant’anni ‘The Blues Brothers’ continua nella conquista di nuove generazioni, conservando il suo fascino immutato nel tempo. Non viene dimenticato dalla gente comune che sui social, proprio in questi ultimi giorni, ha incominciato a postare articoli e video dedicati al film. Le sue scene, alcune battute e frasi sono diventati immortali, come quella di John Belushi ‘Siamo in missione per conto di Dio’. È un film immortale entrato nella leggenda quasi in punta di piedi, che ha consacrato la stessa leggenda di John Belushi e confermato Dan Aykroid nella sua completa capacità di essere anche autore di cinema; è immortale, forse mai come in questo periodo, perché si vedono bianchi e neri cantare il blues, un’unica anima. Forse con una certa esagerazione, e parafrasando la rivoluzione musicale che avvenne nella seconda metà degli anni ’50, è ancora oggi una vera propria ‘bomba’ musicale sul grande schermo. La troppa semplicità, intesa come ingenuità della trama, non giovò molto al successo immediato dell’opera cinematografica. Ma il tempo è stato giustamente galantuomo, ha permesso di scoprire e di riscoprire un film che non verrà mai dimenticato.
Testo di Vincenzo Pepe