Ad ascoltare Mick Woody Woodmansey l’altra sera a Bari c’erano centinaia di persone. Era un’occasione ghiotta per chi ha scoperto di recente la grandiosità di David Bowie: uno degli Spiders From Mars, il gruppo spalla di Ziggy Stardust in carne e ossa a raccontare della sua esperienza con uno dei più grandi artisti del mondo. Lo spirito del Duca Bianco si è materializzato al Teatro Kursaal Santalucia, uno degli appuntamenti fiore all’occhiello della maxi music conference pugliese di quest’anno. E un po’ di polvere di stelle, di Stardust, appunto, è scesa sugli spettatori grazie alle proiezioni di video che francamente ipnotizzerebbero anche i più insensibili ascoltatori. Persone di tutte le età erano rapite dalle note di “Starman” o “Space Oddity”, rese ancora più speciali dalla concomitanza favorevole: un repertorio che sembra attualissimo al momento, visto che viviamo in piena riscoperta del mito, e la fortuna di avere in persona uno dei protagonisti dell’epoca. “Una sera stavamo guardando la tv e David ha disegnato degli schizzi di personaggi simili a Star Trek. Ci ha chiesto cosa ne pensavamo e sono nati gli Spiders from Mars“, racconta il batterista che ha suonato in quattro capolavori della musica mondiale: The Man Who Sold the World (1970), Hunky Dory (1971), The Rise and Fall of Ziggy Stardust and the Spiders from Mars (1972) e Aladdin Sane (1973). Oggi Woody ha 72 e ancora si permette egregiamente di suonare in un teatro affollatissimo l’intro di “Five Years” con una precisione da far invidia ai tanti turnisti giovani di tutto il mondo.
Se gli si chiede dei ricordi che ha di Bowie, Woody scava dritto nel passato “aureo” di cui tutti vogliono sapere tutto: “Mi hanno chiesto addirittura cosa ordinassimo per pranzo prima di incidere quei dischi che ora sono mitici. Quello non lo ricordo, ma so quanto shock ci provocò David quando prima dell’apparizione a Top Of The Pops ci insegnò a metterci il trucco come faceva lui. Ci disse: ‘E voi che fate, non vi truccate stasera? Per la prima volta vi vedranno amici e parenti in tv dovete essere belli, le luci senza trucco vi rendono simili a uova’. Così ci convinse”.
La prima volta che invece si incontrarono, ancora una volta era il look dell’adulata rokstar che si fece notare. “Alle audizioni io andai con jeans, maglietta e mocassini. Trovai lui con i capelli ricci biondi lunghi, cinture argentate e scarpe col tacco con delle stelle che si era lui stesso disegnato. Nessuno era come David“.
Bowie, che a ragione viene raccontato come meticoloso musicista e arrangiatore da tutti i suoi colleghi e collaboratori, aveva un legame forte con Tony Visconti, il produttore dell’epoca in cui suonava con Woodmansey. Ma le sue passioni estetiche erano davvero irrefrenabili: “Per inventare gli Spiders from Mars andammo in centro a Londra al negozio Liberty che vendeva i tessuti più strani. Lui ne comprò di diversi da tutto il mondo, lucenti, brillanti e chiamò un suo amico stilista per cucirceli addosso”.
Di come e perché viene idolatrato così tanto ancora oggi, Woodmansey ha dato una spiegazione molto chiara al pubblico del Medimex: “David Bowie appartiene a quella categoria di grandi artisti che non ri rivelano tutto. Ti coinvolgono nel processo creativo, lasciano che sia il pubblico a terminare le storie che inventano. Così ognuno può partecipare alla realizzazione artistica”.
Il “Serious Moonlight Tour” quello che negli anni Ottanta promuoveva il disco “Let’s Dance”, fu l’apice commerciale di David Bowie. Il fotografo Denis O’ Regan lo seguì in tutte le date, anche quella che diventò mitica perché raccolse 300mila persone. In California, Bowie suonò per l’allora giovane Steve Jobs che organizzava festival. Da quell’esperienza nel 1983 è stato realizzato il ‘Ricochet : David Bowie 1983‘ book, con varie tipologie scattate on the road, ti tale alta importanza da essere custodito nella collezione permamente del Victoria & Albert Museum.
“Bowie era diverso davvero da tutti gli altri – ha detto O’ Regan a una folla attenta accorsa al Medimex di Bari per vedere la sua mostra sui Queen – infatti al suo ultimo spettacolo come Ziggy c’era Kate Bush che per me è una sorta di David al femminile. Lei voleva guardare come si faceva questo rock teatrale e lì anche io ho pensato che tutto quello che volevo dalla vita, era fare un tour con Bowie”.
E ci è riuscito quando nella fase degli anni 80 il Duca Bianco era al massimo successo con un rinnovamento musicale che aveva firmato con Nile Rodgers. “Per il tour feci un accordo specifico per catturare da fotografo ufficiale i momenti fuori e sul palco. Ho una foto che custodisco dove sono ritratti David con Michael Jackson e Madonna. Prince se ne era andato poco prima. Succedevano queste cose anche perché erano tutti vivi e all’apice delle loro possibilità. Ma c’era anche tanta dedizione. David venne pagato un milione e mezzo di dollari per quel mega-festival in California e accettò perché mi disse che voleva comprare un palco più grande da portare in Europa”.
Eppure anche un mito come l’uomo “che cadde sulla terra”, come diceva il suo film degli anni Settanta The Man Who Fell to Earth, ebbe dei passi falsi. “Quando ha avuto l’infarto e ha fermato i concerti – dice O’ Regan – Bowie è diventato una sorta di enigma, nessuno lo vedeva più. E invece nei primi anni Novanta aveva un’attività live intensa che non sempre era fortunata, infatti accettava anche di fare cose che non avrebbe dovuto”.
O’ Regan, che dice di aver lavorato in maniera più proficua con la superstar inglese prima del suo trasferimento a New York con la moglie Iman, racconta così della fascinazione durevole e senza cedimenti per la rockstar: “Quando questi grossi personaggi non ci sono più ci rendiamo conto di cosa hanno significato per noi, per il pubblico. C’è stato un tempo in cui erano disponibili ogni sera in un live e ora viviamo di ricordi che la fotografia per fortuna ci offre”.