C’è tutto il mondo dell’arte contemporanea e le sue bizzarre e imprevedibili dinamiche nel docu-film su Maurizio Cattelan Be Right Back, che abbiamo visto in anteprima in vista dell’uscita nelle sale italiane.
Questi 95 minuti di girato (al cinema il 30 e 31 maggio, elenco sale su www.nexodigital.it) vi aiuteranno a capire cosa gira intorno a uno degli artisti più famosi dell’arte contemporanea nel mondo. E sicuramente è anche uno sguardo interno a cosa muove davvero il circo di artisti, galleristi, compratori e comunicatori che decretano il successo di un “prodotto” mediatico e artistico, visto che parliamo di un artista concettuale per eccellenza, uno che non fa cose ma le inventa.
Be Right Back, accolto con successo al Tribeca Festival, quello degli indipendenti di New York, è già esemplare dal titolo: era un’opera di Cattelan che prevedeva solo l’apposizione di un cartello “torno subito” davanti a una porta chiusa. La regia di Maura Axelrod è molto attenta a puntare sull’effetto dirompente delle trovate geniali e provocatorie di un creativo la cui capacità di stupire non si discute. Se poi molte delle opere di Maurizio Cattelan sono anche belle da vedere, il dettaglio ne aumenta la leggenda. Scoprirete che chi racconta la storia non è Cattelan ma il suo famoso alter ego (Massimiliano Gioni), vi stupirete a ripercorrere la trovata più irriverente che sia stata mai messa a punto (uno champagne recpetion sulla discarica di Palermo in piena Biennale di Venezia), il sovversivo gioco di presenze e assenze che costellano le opere e i concetti dell’artista.
Mai una scena sulla creazione, sul manufatto. Solo intense e divertenti chiacchiere sulle idee. C’è il gallerista Massimo De Carlo, impietoso, una commossa Victoria Cabello, sua ex storica, la figlia di una sua vecchia fiamma che ora lavora per lui. È lei a ricordarci la più grande verità che circonda gli artisti che diventano star: “Non mi interessa poi tanto conoscerli di persona, sarei più appagata se fosse solo il loro lavoro a parlare per loro”.
E in effetti di questi tempi è difficile sottrarsi all’adulazione personale di un artista di successo, ma lo si deve fare. Almeno è questo quello che Cattelan vorrebbe, non partecipando mai a conferenze e interviste, mandando a parlare per lui il più giovane amico. Andy Warhol lo aveva fatto servendosi di sosia, qui siamo nel puro sdoppiamento di persona che non vuol necessariamente dire personalità. Infatti la personalità di un creativo come Cattelan è talmente multiforme e gigantesca che comprende tutto e tutti, siamo tutti dei Cattelan quando sorridiamo davanti allo scoiattolo suicida, pensiamo il peggio quando vediamo Wojtyla colpito dal meteorite, soffriamo per i bimbi appesi agli alberi in centro a Milano.
Qui a Cattelan è riuscito in quello che altri artisti della sua generazione muoiono dalla voglia di scatenare: suscitare reazioni talmente forti che lo spettatore sente la necessità di cambiare e “liberare” materialmente il messaggio dell’opera. È successo con la statua del Papa, è successo con i bimbi impiccati. Straordinario il racconto, un motivo d’orgoglio per un’Italia che crede sempre poco nel presente e si culla sul passato. E straordinaria la figura dell’artista che da squattrinato emigrante a New York finisce con l’immaginare una retrospettiva coraggiosa, appesa al soffitto del Guggenheim. Una giostra di creature che per 20 anni hanno colorato l’immaginario artistico del globo, ricevendo lodi e odi, anche se c’è da dire che il film non riporta a sufficienza i contrasti che l’opera di Cattelan genera, nemmeno quando si parla dell’Hitler in preghiera. Solo un piccolo accenno al dissenso dell’art cognoscenti in merito alla finta Biennale Caraibica che Cattelan aveva organizzato stupendo tutti con l’assenza di opere.
Il tutto è davvero “too much”, come solo ai grandi dell’arte è concesso. Anche nella trasposizione cinematografica.
Foto d’aperutra: La nona ora (1999), scultura in poliestere.