Quando dalla cartuccia estrae colpi come “Sign Your Name” e “Delicate” è innegabile che Terence Trent D’Arby continua a vivere anche in Sananda Maitreya, contro tutte le necessità (anche burocratiche) di cambiar nome per un artista che ha tutto il diritto di tagliare i ponti col passato.
Ma il pubblico no: quei pezzi fanno parte del bagaglio culturale collettivo, quegli anni a cavallo tra il 1987 e il 1993 sono stati troppo importanti per il performer che oggi si fa chiamare Sananda per poterli ignorare. E poi, signori, scusate se è poco, il repertorio. Con la “Sugar Plum Pharaohs”, band di 4 elementi con la partecipazione di Luisa Corna, puoi addentrati in ripescaggi da musical anni 70 (Jesus Christ Superstar), puoi fare soul, o “post millennium rock” come adora definirlo l’artista stesso, ma la cura e la profondità del songwriting del proprio passato è un valore irrangiungibile almeno per metà degli artisti che popolano le classifiche oggi.
Sananda ha avuto fortuna commerciale nel 2001 con “O Divina“, poi ha iniziato a fare album monumentali e prolissi, che ovviamente hanno dei momenti epici, ma nel mare magnum della produzione un po’ si perdono.
Dal vivo non aiuta il rush con cui l’artista presenta i nuovi brani, quasi senza sosta. Sono tutti estratti da “Prometheus & Pandora“, il disco che ha fornito la possibilità all’artista di esibirsi in duetto con Luisa Corna per metà del concerto al Castello Sforzesco di Milano l’altra sera, è un cofanetto di 3 dischi, con un generale buon livello di scrittura, molto incentrato sull’anima della voce inconfondibile del protagonista.
Sananda, che scrive e arrangia tutto, con immutata passione ed entusiasmo ritrovato per una professione per cui ha il controllo completo, oggi, dà anche una chance a una delle voci più belle d’Italia, Luisa Corna, che lo showbiz negli ultimi anni ha inspiegabilmente punito.
Stasera Sananda Maitreya suona a Treviso per Suoni di Marca e il 20 luglio sul lago di Caldonazzo per il Blue Lake Festival.