I La Scelta sono una band indipendente romana attiva dal 2006 attualmente composta da Mattia Del Forno (voce,piano,synth), Francesco Caprara (batteria,percussioni), Emiliano Mangia (chitarre) e Marco Pistone (basso). Si affacciano alla scena musicale e autorale italiana come antesignani della scena new rock che invade la capitale da oltre un decennio. Tutti li ricordiamo per il seocndo posto nel febbraio 2008 al Festival di Sanremo 2008 con il brano “Il Nostro Tempo” nella categoria “Giovani”. Quell’anno vincono il premio AFI (Associazione dei Fonografici Italiani) e pubblicano il loro primo album dal titolo “Il Nostro Tempo”. Lo stesso anno suonano al concerto del Primo Maggio in Piazza San Giovanni seguito da un secondo singolo di successo, “La Grande Danza”. A febbraio 2015 hanno suonato in un lunghissimo tour con Ron insieme sul palco per otto mesi di concerti in tutta Italia. Nell’autunno dello stesso anno Ron affida a Mattia, il cantautore della band, la produzione del suo nuovo disco, “La Forza Di Dire Sì”, contenente 24 duetti con grandi artisti della musica italiana.
Abbiamo incontrato Mattia all’indomani dell’uscita del nuovo brano, “Ho guardato il cielo”, una nuova eccellente prova di scrittura ed esecuzione di questo artista che il grande pubblico farebbe bene a conoscere.
Avete realizzato un video con Mirko Frezza, che tipo di esperienza è stata?
La Scelta e Mirko Frezza si sono incontrati nello stesso quartiere nella periferia Est di Roma, La Rustica. Voci di un contesto multiculturale spesso frainteso e sottovalutato ma che racchiude forza e rilancio proprio nella sua diversità. Lui è molto attivo, ha rivoluzionato il mondo del sociale rafforzando l’Associazione no-profit Casale Caletto per restituire dignità alle persone disagiate. E i proventi delle views del video andranno a questa associazione.
Di chi è stata l’idea di coinvolgere tanti attori nelle riprese?
Io ho fatto da collante con Mirko Frezza, che è attore e regista del clip. Poi è stato lui a mandare la canzone ai suoi amici dell’ambito del cinema. Questa per noi è una canzone diversa, pubblicata senza album. L’ho scritta un anno fa e da lì sono nati degli altri inediti che per ora non pubblicheremo assieme. Vogliamo far uscire vari singoli e poi un disco.
Si tratta di un’esperienza unica?
Con Mirko continueremo a collaborare, si tratta del primo di una lunga serie di brani. Nel corso del 2020 abbiamo intenzione di pubblicare vari singoli, come tanti capitoli di un unico racconto che racchiude storie di vita reale e personaggi di periferia.
Si vede la vostra crescita, si sente la tua voce e la tua capacità di padroneggiare le canzoni. In che momento siete come band?
C’è stata una maturazione. Abbiamo sempre avuto massima libertà, nei testi e arrangiamenti. Anche per il nostro Sanremo all’epoca, portammo una canzone che piacque a Pippo Baudo e alla commissione e noi siamo stati apprezzati per quello che eravamo, senza manipolazioni.
Tra l’altro quello è stato l’ultimo festival di Baudo come “condottiero”.
Vero, era il 2008, lui ha un tocco magico per riconoscere. Ci ha voluto incontrare, ci ha apprezzato e ci ha perfino cambiato il titolo: “Umano” divenne “Il nostro tempo”, lo scelse lui. L’audizione andò bene, fummo scelti in 12 su 40, senza casa discografica dietro.
Eravate bellissimi, con un nome geniale e una canzone fortissima.
Attualmente quella canzone ancora regge, come tematica e suoni. Non invecchia mai, ne vado fiero, è stata un’illuminazione a un certo punto della nostra vita. Avevo 27 anni quando l’ho cantata.
Era un pezzo sulla multiculturalità. Per chi aveva orizzonti aperti era facile immedesimarsi, ma per molti eravate dei veri precursori.
Dovrebbe esserci più presa di coscienza, adesso come allora. Noi dicevamo che il mondo si stava contaminando e questa cosa faceva paura. E dopo 12 anni l’argomento è cresciuto, le città sono ancora più contaminate ma esponenzialmente è cresciuto il rifiuto di chi non è italiano nel dna. Che poi magari è più italiano di me e te. Mahmood è milanese. Se vai a New York o a Parigi non fanno questi discorsi. Con il rifiuto e le accuse non si spiega nulla. Io ho degli zii, fratelli di mia nonna, che sono andati negli States. Pensa a quanti l’hanno fatto, e hanno attraversato le stesse cose problematiche. Siamo stati noi italiani i primi emigranti.
Hai cercato altri temi sociali da affrontare in questi anni?
Ho provato anche a scrivere testi su politica e guerra, ma erano sempre un po’ banali. Io vengo da Torre Angela, Tiburtina, Roma Est, lì vivo, sono della periferia est della capitale e non è una condizione sociale favorevole per i giovani. Dico questo per farti capire che mi risulta più semplice parlare di cose che vedo. Non sono andato mai personalmente in guerra. Non ho mai affrontato politica in maniera estrema. La denuncia va fatta nel quotidiano, con le nostre azioni.
Come ti sei formato?
Da ragazzino ero sempre in prima fila nelle manifestazioni, attualmente però penso che non ci sia nessuno che mi rappresenta, la mia scelta è quella di affrontare la politica con l’azione. La copertina di Time del 2019 è intitolata Power to the youth. Ci eravamo dimenticati di questo. Potere ai giovani consapevoli, è una cosa bella.
Vedi un risveglio intorno a te?
Le Sardine in Italia per esempio sono sintomatiche del ritorno di un impegno. Ho sempre in testa la canzone “People have the power” di Patti Smith. I giovani adesso devono darsi una svegliata perché sono imprigionati nella tecnologia. Per me che l’ho vista nascere la rivoluzione digitale, devo dire che è stato difficile connettersi in questo mondo. Quindi ben venga l’impegno reale.
Tu sei un autore che parla di relazioni. Cosa ti ispira?
Cerco di creare fotografie nella musica. Io riesco a immagazzinare quello che ascolto nella vita reale, poi lo elaboro, lo vedo e lo provo a raccontare come uno spunto di una canzone. Anche se non è esperienza diretta, mi sarebbe piaciuto viverla, sarei potuto esserci dentro. Ecco, mi piace ascoltare e parlare poco. Ascolto le gioie e i problemi, così mi nascono i testi. I miei colleghi nella band, non scrivono ma raccontandosi mi danno tanta ispirazione.
Hai un esempio di questo processo?
C’è una canzone dell’ultimo disco che si chiama “Treno del futuro”. Parlando con Marco, il nostro bassista che aveva interrotto una convivenza e mi raccontava il suo stato d’animo, mi sono venute quelle parole. E lui si è rivisto nel testo, ci si commuove ad ascoltarsi in musica.
Come scrivi per gli altri?
Quando scrivo con Ron, faccio un sacco di chiacchierate lunghe, del passato o del futuro. Facciamo delle passeggiate interminabili a Garlasco, dove risiede, ed entriamo in simbiosi. Cerco immagini dai suoi pensieri e mi piace rivedermi in quelle scene, non appartengono solo a lui.
Come ti approcci a un cantante che è nel business da tanto tempo?
Ho scritto anche per altri in passato ma ora solo con lui..c’è un rapporto diverso con Rosalino, siamo molto amici. Lui sa cose importanti di me e io di lui. La fatica dei momenti artistici difficili, la solitudine che ti può portare a toccare il fondo, siamo legati da questa voglia di rinascere.
Cos’è per te la rinascita?
Per me rinascere è sempre stato fare un brano che mi renda felice. Il riscontro del pubblico arriverà, se il pezzo vale. La Scelta non ha mai fatto competizione alla pari di altri, perché non abbiamo mai avuto una struttura forte alla spalle. Vorrei per una volta non correre scalzo ma con le scarpette come gli altri.
Sei orgoglioso di quello che avete attraversato?
Abbiamo sempre corso con gli altri ma faticando. Vorrei avere quella opportunità, una volta sola di farmi ascoltare da tanta gente. La promozione e la pubblicità, le radio, la possibilità di essere ascoltato sono fondamentali. Le radio piccole, locali, ci passano sempre. Ma i network poco, hanno altri accordi e quindi inevitabilmente bisogna combattere.
Siete sempre rimasti indipendenti.
Io sono sempre stato indie, noi lo siamo sempre stati, prima che si usasse questa parola in Italia. Siamo parte di un ciclo che ritorna, su Roma. Nel 2000 c’era la scuola bolognese con i Lunapop, poi l’epicentro si è spostato a Milano con Le Vibrazioni, i rapper come Fibra. La Puglia ha dato Negramaro, Emma, Alessandra Amoroso. Poi c’è stato un periodo dove è tornata Roma con i cantautori di oggi, Calcutta, Coez.
Non è un buon momento sociale per Roma. Secondo te si crea meglio in condizioni dure?
Sono nati dei locali e delle etichette a Roma che hanno sostenuto questi cantautori, penso a Gazzelle e The Giornalisti, Giovanni Truppi. Si è creato un laboratorio che ha fomentato la scena. Confrontarsi fa bene, ma quando diventa circuito chiuso non è un buon segnale. Se diventa una scena per farsi vedere e sgomitare per un’apparizione non è sano. Bisogna aprirsi.
Voi siete stati aperti?
Abbiamo collaborato con molti colleghi. Non ho mai capito la supposta superiorità di un cantautore che parla con un certo linguaggio, quello che piace allo studente fuoricorso radical chic. L’esclusione dalla piccola lobby del momento non mi piace. Noi più che altro siamo stati una generazione di mezzo.
Perché?
Perché nel 2008 non erano ancora esplosi i social network e noi arrivavamo ancora da un modo di fare musica diverso. Magari con un secondo posto a Sanremo, oggi, saremmo a parlarti di un tour nei palazzetti, chi può dirlo. Se avessi avuto un carattere meno timido avrei avuto un altro approccio con la discografia, sicuramente.
Per il disco ‘corale’ di Ron “La forza di dire sì”, hai registrato con i grandi, da Elio a Jovanotti a Biagio Antonacci. Cosa si ricordano loro di te?
Mario Biondi è venuto due volte, ho fatto amicizia coi figli, ho molti bei ricordi, ovviamente loro si ricordano di Ron, io non ero invadente. Alcuni si ricordano sicuramente delle belle cose che abbiamo vissuto per quel progetto.
E a te come piacerebbe essere ricordato dal pubblico?
Non mi interessa di essere ricordato come persona, ma che vivano le nostre canzoni. Mi piacerebbe piuttosto che gli ascoltatori si ricordassero delle parole che ho scritto. Quando mi arrivano i video dei ragazzi delle classi delle scuole che si esercitano sulle nostre canzoni, è sempre un brivido.
A che servono le canzoni, Mattia?
Ti racconto un aneddoto: una signora mi si avvicina dopo un concerto ad Alassio, dove presentavamo “Aquilone” in duetto con Ron, e mi dice: tu sei Mattia, mi hai salvato la vita, io ero in ospedale e ho sentito la tua canzone Aquilone, tutti i giorni per un mese. E mi sono risvegliata dal coma. Le tue parole mi hanno dato la forza di reagire. Mi era venuta a sentire apposta e mi aveva aspettato fino alla fine per dirmi grazie. A questo possono servire le canzoni.
Al videoclip de La Scelta hanno partecipato:
Marco Giallini, Claudia Gerini, Francesco Montanari, Giovanni Esposito, Francesco Acquaroli, Adamo Dionisi, Marcello Fonte, Edoardo Pesce, Elisabetta Pellini, Nathalie Rapti Gomez, Lidia Vitale, Matteo Branciamore, Emanuela Annini, Daniela Virgilio, Mirko Frezza, Roberta Giarrusso.