“Underdog” di AN15 è un’opera cruda e realistica in cui si racconta di un gruppo di giovani che cercano la loro strada nella vita, senza dover necessariamente adattarsi ai compromessi che impone la società. Hansel è la protagonista del nuovo romanzo di AN15 (per Algra Editore), e spesso è suo il punto di vista sugli eventi; allo stesso tempo però si può seguire l’evoluzione degli altri personaggi che insieme a lei formano una variegata tribù di reietti: Gina, Antonio, Arturo e Strange Boy in particolare sono dipinti nei loro tentativi di vivere con onestà intellettuale e con spirito rivoluzionario, senza soccombere alla manipolazione delle coscienze propria della realtà consumistica. Provenendo tutti da diversi campi artistici, cercano anche di non ingabbiare il proprio talento ma di farlo fluire libero, senza vincoli.
Il romanzo è ambientato nell’hinterland milanese tra gli anni Ottanta e i Duemila; l’autrice ci permette inoltre di viaggiare in lungo e in largo per le capitali europee e non solo, dove i nostri underdog – i perdenti che provano a lottare in un contesto di vincenti – si proiettano alla ricerca della conferma delle loro identità di ribelli, di non inseriti e di non omologati.
Il tutto è un affresco degli anni dell’edonismo, con qualche concessione al dileggio. La scrittrice ci ha detto: “L’espressione che uso “Milano da vomitare” è uno sfregio allo spot “Milano da bere”. È una narrazione che parte dall’euforia degli anni 80’, il “piace alla gente che piace” (devi piacere), il cliché del luxury, dello status symbol, della fashion-culture e della droga performante per chi deve sempre stare su, e si trascina fino alla tragica demenza dell’ashtag #milanononsiferma del 2020. La “Milano da vomitare” è un teatro indipendente che fallisce e si trasforma in un ristorante “high quality”. È il non riconoscimento e il dispregio per gli spazi di aggregazione socio culturale, circuiti artistici che si spengono, eclissati dallo skyline di torri residenziali a firma di archistar. Penso alla parte della città esclusiva e segregante, che prevarica una cultura- altra che, a sua volta, la mal tollera e rigetta, che la vomita insomma”.
È in questo scenario che il personaggio del romanzo – un musicista- tenta un riscontro all’estero. Per poi finire (spoiler) a guidare una traballante bicicletta per Manhattan come delivery boy, non potendosi sottrarre al modello fotocopia di qualsiasi città occidentale, quel non so chè di “eau du capitalisme”.
AN15 racconta i disagi, le perdite e la disillusione ma anche la passione e il coraggio di una generazione che si è trovata, in certi contesti, ad essere emarginata e incompresa – «Noi siamo reietti, la minoranza, e ci buttano in mare, ci scaraventano fuori sui marciapiedi. A noi spettano gli anatemi! La latitanza! Finiamo sottoterra o, peggio ancora, murati vivi».
Hansel e gli altri resistono fin che possono a un mondo che spersonalizza, grazie alla loro arte, alla musica e all’amicizia, ma comprendono presto che si contrappongono al vuoto emotivo e alla mancanza di senso. La selezione naturale diviene quindi un paradosso per loro, che sono così lucidamente consapevoli; un gioco crudele in cui non si migliora la specie, la si rende solo più funzionale: «E se spingerai oltre l’orizzonte del tempo lo sguardo, quello che vedrai in piedi non sarà il meritevole, sarà l’adatto».
I personaggi che si dipanano nella narrazione sono eterogenei. Antonio lascia la banlieue milanese per cercare successo a New York senza sapere l’inglese e con dieci euro in tasca, Hansel fa la tour manager assecondando i deliri di una rockstar, Gina seppellisce il suo compagno perdendo sé stessa e ritrovandosi tra i tasti del suo pianoforte. Insieme da quando i genitori li spediscono ancora bambini in un collegio estivo dall’aria carceraria, i protagonisti attraversano il mondo dell’arte e quello delle catene di montaggio, i sogni di successo e una vita fatta di stenti, le stragi del sabato sera, la droga e il vegetarianismo nella Milano da vomitare degli anni Novanta.
AN15 scrive dei suoi anni, in fin dei conti. Lei nasce negli anni del post-punk nell’Area Metropolitana di Milano. Frequenta il Liceo Artistico e abbandona l’Accademia delle Belle Arti di Brera per fondare il collettivo artistico Box Position (Milano art collective music writing contemporary underground) insieme a produttori musicali, musicisti, artisti e djs. Si dedica all’organizzazione di eventi musicali nella scena underground. Nel 2017 Habanero/Erga Edizioni pubblicano il suo primo romanzo “Gatti nei Sacchi di Plastica”. Per Algra Editore esce il suo secondo romanzo “Underdog”.
Della sua fascinazione per l’America, e delle sue esperienze internazionali, ci parla così: “La New York del periodo del romanzo, quella dei primi anni 2000, l’ho vissuta solo per esperienza interposta. Il fatto è che a Berlino, Lisbona, Milano o Parigi, ho sempre frequentato posti appartenenti a quella che è la cultura underground, e sicuramente sul genere post punk, new wave, electro; è quindi sempre un isola a sé, un mondo parallelo sotterraneo in cui si vive uno stile musicale definito e ovunque conforme. So che in quel periodo, in quei club, a NYC, battendo quegli stessi ambienti che frequentavi a Milano, potevi trovare una simile proposta musicale, dato che appartiene per lo più agli anni 70/80 e le nuove “Hit” sono poche e anche quelle ovunque accolte dai music selectror. Di diverso si percepiva più attenzione e cura artistica nel locale, e un’atmosfera più rilassata rispetto a una Milano che sembrava sempre essere sull’orlo di un esaurimento nervoso. Cosa che poi, credo si sia risolto in quella che appare come una vaga depressione”.