L’effervescente e audace proposta artistica del Palais de Tokyo parigino, con la mostra dell’artista tedesca Anne Imhof, vincitrice nel 2017 del Leone d’Oro alla Biennale di Venezia, mette a segno un’altra vittoria. Che fa riflettere. Gran parte dei fenomeni umani sono riconducibili a convenzioni. Una élite, un gruppo di autorevoli, di esperti di settore, strutturano e definiscono insieme una convenzione: delle norme, delle categorie, dei criteri, dei limiti. E’ erroneo pensare che l’arte sia tutt’altro che una convenzione, quando ne si ripercorre la storia. Nei fatti, le avanguardie artistiche hanno anticipato un mercato, facendo dell’arte un fenomeno spesso apparentemente non-convenzionale. Al giorno d’oggi, nell’epoca della globalizzazione reale e virtuale, l’arte contemporanea è sempre più sottomessa alle convenzioni del mercato. Gli artisti (o chi per loro) sembrano imporci un distacco sempre più feroce tra il prodotto esibito e i nostri tentativi di ricerca di una opera da contemplare, lasciandoci perduti in un viaggio che al suo termine ci lascia alla partenza. L’immediatezza della contemplazione, l’estetica dei moti interni e personali si perdono di fronte alla sempre più forte autorità del mercato dell’arte. La banalità del bello non paga ai giorni nostri. Ne consegue un quesito vecchio come il mondo: quale é l’essenza dell’arte? Qual il suo ruolo?
Una risposta ci viene data da Picasso, che con semplicità assoluta coglie l’essenza dell’arte nella sua accezione più intima e popolare. L’arte scuote dall’anima la polvere accumulata nella vita di tutti i giorni. Ed è questo che l’intero Palais de Tokyo – con un’opera totale e polifonica – offre al pubblico fino al 22 Ottobre 2021 dando carta bianca a Anne Imhof e alle sue “Natures Mortes”, in collaborazione con la musicista Eliza Douglas.

La prima mostra del 2021 post-pandemico segna un colpo da maestro per il palais parigino, istituzione nota per introdurci alle avanguardie artistiche più radicali che, non raramente, sembrano rivolgersi più alla polvere da spazzare nelle gallerie d’arte contemporanea che a quella nell’animo degli ospiti in visita.
Anne Imhof vive tra Berlino e New York ed è stata ricompensata con il Leone D’Oro alla Biennale di Venezia 2017 grazie al suo Faust, presentato al Padiglione Germania. Il suo talento radicale fiorisce a Francoforte dove frequenta la prestigiosa scuola d’arte Hochschule für Bildende Künste-Städelschule mentre si contamina della scena clubbing e performativa della città.
L’artista riduce il Palais de Tokyo ad una fragile carcassa dalla topografia esposta, introducendo una città-labirinto di muri di vetro che simultaneamente frammentano lo spazio e generano nuove prospettive. Al suo interno, perseguitata dalla pittura, dal fugace ciclo della vita e dalla interruzione dell’attimo presente, Anne compone le sue Nature Morte [still life], memento mori del qui ed ora.
E’ difficile documentare con un reportage fotografico il viaggio introspettivo di cui Anne rende il pubblico protagonista. La sua opera site-specific è una esperienza intima di viaggio, in un paesaggio urbano. La discesa si articola di tensioni statiche e momenti dinamici, in cui i corpi che vagano si iscrivono in ritmi, sono accompagnati da orizzonti di tramonti, si rincorrono su rotaie metalliche inseguendo suoni suoni aspri, melodie tristi, silenzi che attendono suoni che non arrivano. Vagando, si percepisce l’io e con fastidio l’altro, ci si incrocia ma si procede soli. Un viaggio malinconico, nell’io fisico e nell’io giuridico di una società contemporanea trasparente fatta di uffici open-spaces che ci avvicinano falsamente, anteponendo la trasparenza alla privacy, alla intimità. Tutti devono vedere e giudicare l’operato altrui. L’insieme di sagome, percepite e reali, vaga lungo le vie dove si ritrovano elementi della quotidianità. Stages vuoti, strumenti musicali appoggiati, attrezzi ginnici e arene da box richiamano a performances che sembrano essere appena terminate ma che non sono mai avvenute. E’ un viaggio nei momenti della vita passati, non pienamente fruiti, nei momenti attesi. Neppure il sesso sfugge, dipinto anch’esso nelle nature morte di Anne. Le trasparenze del labirinto generano sensazioni di voyeurismo e controllo, proiettandoci in una dark room éphémère di un club. Lo stesso Palais de Tokyo, così ridotto all’osso, strizza l’occhiolino al famoso club berlinese Berghain.
L’unica performance reale e presente si svolge nell’io del visitatore, nel suo qui ed ora: fioriscono sensazioni sopite, intime, tacitamente condivise grazie alle trasparenze delle vie della città che Anne ha voluto creare.
Come innamorato, il visitatore-performer si lascia guidare con fiducia da Anne in questa discesa (quasi dantesca) nel proprio io irrazionale che continua fino ai sotterranei oscuri del palais con allegorie di nature morte sempre più laceranti, atomizzanti ed occulte. A questo punto del viaggio una consapevolezza, intima e personale, si sostituisce alla malinconia iniziale e si rende sempre più evidente con la risalita al paesaggio urbano e alla luminosità. I suoni iniziali diventano melodie epifaniche. I tramonti di fuoco sono albe da inseguire. Si ritrovano le stesse trasparenze, in cui i riflessi delle sagome altrui non disturbano più. Si ritrovano soprattutto gli altri che vagano, stanno intraprendendo il loro viaggio. Un senso di solidarietà nasce, si vuole condividere alla città intera questa consapevole estasi.


Testo e foto a cura di Andrea Agostinelli – The Way Magazine / Parigi