Non sono arrivati a cantare in napoletano per seguire il trend del momento (tra Liberato in musica e The Brilliang Friend al cinema, il dialetto è tornato di moda). Ma gli Urban Strangers, con il fido produttore Rufus, hanno fatto un disco davvero bello, moderno, per la prima volta in italiano, vintage solo nelle ambientazioni elettroniche spesso minimali. Insomma, “U.S” è un lavoro maturo che porta leggeri fino alla fine delle 10 tracce, senza farci pesare quell’inquietudine di cui i due ragazzi si fanno portavoci, a volte inconsapevoli, perché l’età è quella dei loro ascoltatori. E le ansie sono tante di questi tempi anche se hai 20 anni.
Renderle gradevoli e intriganti, proprio perché si è giovani, è rischioso ma loro ci sono riusciti. Come? Ce lo raccontano in questa intervista. Gli Urban Strangers, nati artisticamente nel 2012 e in gara a X Factor nona edizione nel 2015, sono Alessio Iodice e Gennaro Raia.
L’idea di cantare in italiano a chi si deve?
G: L’idea è nata nel tempo, ci siamo spesso trovati a dibattere su come cambiare, ne abbiamo parlato con il produttore e con gli amici. Abbiamo sempre vissuto il passaggio con responsabilità, l’esordio in inglese ci aveva legato a quel mondo. Poi è arrivata la prima canzone di questo disco, Non So.
A: Ci è piaciuto molto come lo stavamo approcciando e perché non continuare?
G: La capacità di evolversi nella propria lingua ci ha stimoltati, ci ha messo di fronte a pensieri che non facevamo prima. Si tratta anche di un mondo nuovo, di meno schermate protettive. Diciamo cose con più verità, anche se ci piace quello che abbiamo fatto fin qui. Forse è più diretto ora.
A questo punto potevate fare il passaggio al napoletano! Sembra che sia popolare, ultimamente.
A: Credo tu ti riferisca al successo di Liberato. Ci piace molto ma non è il nostro mondo, perché poi in definitiva noi per formazione nella nostra quotidianità non usiamo il dialetto.
G: Ci piace molto il napoletano e spesso prendiamo anche ispirazione dalla canzone napoletana ma non abbiamo intenzione di prendere quella strada.
Di cosa parlate nelle nuove canzoni?
A: Ci sono diverse occasioni in cui parlo a me stesso nei testi e cerco di portare delle cose che penso potrei dire a un’altra persona. C’è un pezzo che si chiama “I Sensi e le Colpe” che parla di due punti di vista diversi nella stessa relazione.
G: Parlare di qualcosa di reale sottoforma di dialogo è molto funzionale. Sono stati due anni molto intensi e abbiamo parlato con noi stessi molto per arrivare a questo risultato.
Il disco sembra maturo ma anche leggero. Non imponete mai, né voci né musica. Come riuscite in questa “sottrazione”?
G: Non vorrei essere presuntuoso ma siamo davvero molto affiatati con il nostro produttore, Raffaele Ferrante Rufus. Siamo fortunati ad avere lui come terzo membro effettivo della band e lui è il responsabile di questo bell’equilibrio.
Che ricordo avete della gestazione di questo disco?
G: Unico ricordo è quello che mi fa pensare a molte cose di me, come cantante, quello che mi piace portare nel nostro mondo, questa voglia he avevamo di essere noi mentre lo scrivevamo. Mi fa sentire adulto questo approccio. Non So è uno dei pezzi su cui abbiamo riflettutto di più, perché parla di ansia che è comune a molti ragazzi come noi o adolescenti. Come se ci fosse depressione generale nei ragazzi, io ce l’ho tuttora, non si capisce da dove viene questa paura. E ne parliamo apertamente. Io ci vivo dal 1995 con quest’ansia.
Pensi che sia legata alla vostra generazione?
G: Penso abbia a che fare con la paura di essere esclusi anche se siamo costantemente in contatto con tutti. Non stiamo scambiando niente, siamo sempre soli o in paragone con gli altri e questo genera paranoia. Ho passato un periodo in cui ero schiacciato da questa cosa e avevo paura di cosa mi circondava. Scrivendo mi sono analizzato e ho capito cosa voglio diventare. Ora mi sto riprendendo, analizzarsi tanto è fondamentale.
U.S è il titolo del disco. Vuol dire anche “Noi”?
G: Tutto quello che siamo lo mettiamo nei dischi che facciamo. Il modo più naturale che abbiamo per essere noi stessi. Raramente pensiamo poco e stavolta, nel raccontarci, abbiamo preferito la semplicità.
A: Inizialmente c’era un po’ di paura per questo rischio, abbiamo deciso di trasportare il nostro mondo verso l’italiano, abbiamo il dovere adesso di far ricredere anche i più scettici. Rischiare fa bene. Cambiare fa parte di noi.
Una spontaneità che si riflette anche nella foto di copertina.
A: All’interno dello shooting avevamo in mente tanti pensieri riferiti al disco e a chi lo avrebbe ascoltato, la fotografa è stata brava a catturare quella posa in cui non eravamo effettivamente in posa. Ci rappresenta molto, è uno di quegli scatti di cui non ti accorgi ma che dopo riassumono bene il senso di tutto il lavoro.
Che legame avete con X Factor oggi? Lo guardate?
G: Solitamente siamo sempre nello studio a lavorare quindi non seguiamo molto quello che succede ma ovviamente lo ricordiamo con grande entusiasmo. Da lì è partito il nostro seguito, sono persone davvero molto fedeli. Alcune fan si sono tatuate anche dei testi sul loro corpo, è incredibile.
A: Siamo anche in contatto con alcuni dei nostri colleghi di quell’edizione, come Massimiliano D’Alessandro. Giosada e Davide Shorty. Siamo amici.