Scendere nelle viscere di Milano per trovare Senso 80, l’esposizione di Flavio Favelli è sicuramente un’epserienza multisensoriale. Si cerca quello che l’invito faceva intuire, neon colorati del decennio Sua Evanescenza e si finisce in uno dei gioielli del FAI – Fondo Ambiente Italiano degli anni 20. Vero che siamo nel quartiere Liberty per eccellenza del capoluogo lombardo, ma l’Albergo Diurno Venezia è sempre uno scrigno ammuffito fermo nel tempo che vive di luce (poca) e odori suoi.
Il titolo della mostra rimanda ‘ai sensi’ come valori fisici, alla materialità, al piacere e al fatto che l’Albergo Diurno, storicamente, è stato un luogo dedicato alla cura della persona. C’è poi il richiamo nostalgico a titoli di grandi film e alla grafica delle immagini anni Ottanta. Interessante constatare che per l’artista gli Ottanta del Novecento sono “l’alba e insieme il tramonto“, un concetto che forse potrebbe definire il più inafferrabile dei decenni che ci portiamo sulle spalle. Favelli è un artista che ha esposto a Carrara, al Moca di Chicago e in due Biennali di Venezia, ed è particolarmente incline a realizzare le opere site specific.
Nei bagni pubblici storici ha realizzato un percorso in relazione all’architettura e agli spazi dell’ambiente partendo dagli elementi originali che ne hanno tracciato in modo profondo la poetica e la sua inconfondibile atmosfera. Gli arredi così come i servizi e l’illuminazione, svelati nelle cartoline storiche del Diurno, ci riconducono alla sua funzione e alla sua essenza di luogo animato da uno spirito di cura del corpo e dell’anima: ispirato da ciò Favelli conserva queste tracce e fonde elementi di antiquariato a oggetti e a presenze più recenti come adesivi e insegne di pubblicità.
Favelli fa di più, osservando le cartoline d’epoca: ricostruisce quattro corpi, sorta di isole con divani a forma circolare e di alcuni tavoli con sedie e lampade, per leggere, scrivere e conversare. Da collezionista appassioanto di mobili del 900, rispetta i volumi originari, usa collage di vari materiali come mattonelle di graniglia, parti di mobilio e specchi: una reinterpretazione che intende essere “fedele” e insieme artificiale. “Al Diurno si trova ancora incollato qualche adesivo di pubblicità” racconta l’artista “ci sono le insegne di plastica delle Ferrovie dello Stato e dei negozi, ad esempio il Barbiere Manicure, ed è proprio questo, per molti marginale rispetto al fascino intrinseco del luogo, che io invece trovo interessante. Il Diurno era come un aeroporto, come una micro città che serviva solo per l’uomo e la donna moderna (la bellezza, l’acconciatura, le terme, i viaggi…) era un luogo super artificiale“. Che qui rivive per un periodo limitato (fino al 14 maggio) in un’opera ambientale molto stimolante.
Immagine: Flavio Favelli, Mille Luci (24h), 2017, assemblaggio di insegne luminose. Courtesy Francesca Minini, Milano.