Quando aveva iniziato a scrivere il diario della sua quarantena, col solito piglio scherzoso e dolce-amaro che lo contraddistingue, non aveva certo pensato che quell’esperienza sarebbe tornata. Gianpaolo Gambi, attore e showman conosciuto al pubblico per la sua partecipazione al programma pomeridiano di Rai Due “Detto Fatto”, ci presenta il libro “53 giorni” (scritto per Sperling & Kupfer) nel bel mezzo del secondo lockdown a Milano. Ma nonostante gli eventi, Gianpaolo, 42 anni, napoletano trapiantato a Milano, non perde il buonumore durante la nostra chiacchierata. Sembra una persona consapevole, grata, cosciente e molto umile.
Visto che è la seconda volta che siamo chiusi in casa, raccontaci la tua quarantena tipo.
La prima volta la scorsa primavera, è stata un’isola fatta di piccoli gesti quotidiani, di una convivenza forzata con lamia compagna Olivia, i vicini antipatici e i dirimpettai da spiare. Ricordo poche corse al parco e la spesa al supermercato.
Questa città ti ha visto sempre in attività. Che sentimento hai per Milano?
Qui ho studiato e mi sono formato con la compagnia Quelli di Grock di cui ho fatto parte dal 2002 fino al 2012. Sono in tv a Detto fatto dal 2015, questa è la sesta stagione. E sono molto riconoscente a Milano perché mi permette tutto questo. Ma resto sempre un surfista che vuole tornare in acqua, un attore che vuole tornare in scena, un uomo felice che vuole tornare a ballare con gli amici.
Questo autunno quindi ti vede impegnato sia in tv che nelle librerie. Che riscontri stai avendo?
La ripresa del programma è andata proprio bene, finora ho avuto ottimi riscontri, so di aver un accesso privilegiato nelle case degli italiani grazie alla tv. Per questo abbiamo coordinato l’uscita del libro. Anche se devo dirti che quando vai nelle librerie incontri un altro pubblico, e anche chi non mi segue sui social o in tv, dopo aver letto mi scrive cose belle. In generale mi dicono: bravo, è un libro contemporaneo.
Come hai approcciato la scrittura di “53 giorni”?
Il racconto della mia quarantena da casa è stranamente personale. Ci sono tante vite, quelle spiate dei vicini, quelle raccontate da chi abita lontano, i miei famigliari, ad esempio. Ma ci ho messo anche le vite che ho vissuto nei viaggi, che erano una costante per me. A tratti è un racconto ironico e divertente. Sicuramente emotivo, perché nella scrittura cerco sempre di usare immagini.
Come hai fatto a non cadere nella trappola del diario drammatico?
Prendo spunto da quello che succedeva, il libro è anche diviso in giorni, ma non mi soffermo sui rifeirmenti drammatici. Piuttosto c’è tutta la voglia di lasciare una testimonianza di questa esperienza inusuale. Per me è stata un’occasione di poter dire di esserci stato. Ogni volta che accade qualcosa di grande per l’umanità, c’è la necessità di ricordarlo. Oggi ancora di più, visto che la memoria corre veloce e ho avuto bisogno di quel momento fermo, per ricordarci anche delle scoperte che altrimenti ci saremo dimenticati.
Hai vissuto momenti simili?
L’unica analogia che riesco a trovare è con l’11 settembre 2001, un evento epocale, per me doppiamente perché proprio in quel momento iniziavo le prove del mio primo spettacolo da protagonista a Milano con Quelli di Grok. Oggi però dalla sera alla mattina ti è cambiata la vita anche nel piccolo, è strano anche parlarne. Gli ultimi attacchi terroristici sembrano meno violenti del passato, come se il Covid avesse preso sopravvento su tutte le altre cose brutte.

La scrittura ricorre nella tua carriera. Cosa ti piace di questo aspetto?
La scrittura di un libro, per la prima volta nella mia vita, mi ha fatto sentire veramente libero. Quando scrivi per un live devi considerare i gusti di chi ti guarda, i tempi che ti vengono assegnati, devi adeguarti alle situazioni. Ci sono variabili che puoi prevedere ma sono rischiose e con l’esperienza minimizzi i rischi. Col libro ho rischiato dall’inizio alla fine, ma sono soddisfatto di averlo potuto fare perché io sono diventato un attore comico per esigenze lavorative ma non devo far per forza ridere.
Cosa ricordi dei mesi successivi al primo lockdown?
All’inizio la riapertura ha dato gioie, il fatto di poter raggiungere l’altro capo della città, il riassaporare le piccole cose, potersi prendere le libertà. Il primo mese dopo il trauma ci ha fatto tornare alla vita ma è pazzesco pensare che questi 5 mesi abbiano distanziato quell’esperienza così tanto. La gente si dimentica, oggi la percezione del tempo è cambiata. Come se ci fosse una spinta a metablizzare subito tutto e accantonarlo.
Per te, scrivere questo libro è stato un insegnamento?
C’è tanta voglia di raccogliere le cose belle assieme a quelle più drammatiche per metterle in prospettiva. Per esempio, oggi una pizza d’asporto ce la possiamo prendere. Quello che non mi spiego è la persistente cattiveria che noto in giro.
Da dove arriva il tuo buonumore?
Perosnalmente ho la tv che va avanti, tutto l’indotto con gli eventi e la mia vita a teatro invece sono i capitoli bloccati da un anno praticamente. Sono circondato da amici che sono fermi da mesi. In una situazione del genere bisogna a maggior ragione ricordarsi delle piccole conquiste che abbiamo raggiunto.
Cosa ti manca di più?
Sono in crisi d’astinenza da viaggi, pensa che ho scritto la “costituzione del viaggiatore”. Mia sorella fa la musicista in America, sono affascinato dalla politica estera e le chiedo sempre notizie, è la mia finestra sul mondo.
Ti piace l’America?
Voglio capire il sistema americano che è un punto di riferimento per il mondo nonostante le sue distorsioni. E mi sono fatto un’idea del loro approccio in questi mesi, dalla politica al sociale. Diciamo che sono stati americani pure con il Covid.

Le tue passioni?
C’è tanto sud dentro di me, Napoli mi ha insegnato molto. Vorrei fare tutti i giorni della mia vita surf. Vivrei al mare, tra qualche anno non escludo che lo farò. Oltre alle passioni sportive, ho anche la musica e la lettura, mentre il teatro è la mia vita.
C’è qualcosa della tua vita televisiva che vorresti venisse fuori?
In tv con Bianca Guaccero siamo davvero complici in tutto raramente incontro persone con cui ci si capisce al volo. Abbiamo un’alchimia in video che ci permette di non doverci nemmeno parlare, dove sta per cadere l’uno l’altra si rialza. Ci siamo potuti permettere cose che in tv altri non avrebbero fatto senza prove. Scrivendo io i pezzi, a volte non le dico nemmeno cosa dobbiamo fare. Quando ci si poteva ‘toccare’ potevamo fare musical, cantare e ballare. È un piacere stare accanto a tanta versatilità. Potessimo farlo per ore, lo faremo.
E il pubblico apprezza perché siete capaci e di talento.
La gente ci scrive, vorrebbe lo show del sabato sera al pomeriggio. Mi rendo conto che come artista, in questo momento così complesso, sono un privilegiato perché posso lavorare. Spero anche che la tv cambi, tornando davvero a dare spazio a tutti coloro che lo meritano e che vivono d’arte.
Il profilo Instagram di Gianpaolo Gambi qui
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