La mostra Gemito è un progetto di Sylvain Bellenger, direttore del Museo e Real Bosco di Capodimonte e di Christophe Leribault, direttore del Petit Palais di Parigi, dove si è svolta la primaesposizione dal titolo Gemito. Le sculpteur de l’âme napolitaine (dal 15 ottobre 2019 al 26 gennaio2020). L’enorme successo riscosso a Parigi, ha restituito alla sua legittima fama internazionale ilgrande artista di fine dell’Ottocento e alla sua incomparabile abilità nel captare le anime, una dellemaggiori sfide del ritratto, che va ben al di là della somiglianza.La seconda esposizione a Napoli, nella città natale dell’artista, dal titolo Gemito, dalla scultura aldisegno(10 settembre-15 novembre 2020), a cura di Jean-Loup Champion, Maria Tamajo Contarini eCarmine Romano, invece, si concentrerà più sui due grandi amori della sua vita che sono stati anchele sue muse: la francese Mathilde Duffaud e la napoletana Anna Cutolo.
“Gemito, poco noto in Francia – afferma il direttore Bellenger – a Napoli assume le dimensioni di unmito, di una grande figura della leggenda, non nera e ossessiva come quella di Caravaggio, ma tenera, acui i napoletani si sono affezionati. Un sentimento che nasce dall’ammirazione e dall’indulgenza verso ilfigliol prodigo, il ragazzo di strada. Gemito fu uno scugnizzo, il Gavroche dei francesi”.“Gemito sculpteur de l’ame napolitaine” è stata la prima mostra dedicata a Gemito fuori dall’Italiadopo la morte dell’artista, il che può apparire sorprendente trattandosi di un uomo che avevatrovato la gloria proprio a Parigi, durante l’Esposizione universale del 1878, e che aveva strettoamicizia con i grandi artisti del tempo: Meissonnier ma anche Rodin. “Con la mostra al Petit Palais,Gemito non ha cambiato volto, ma la sua figura è cresciuta, incontrando un’altra leggenda – continuaBellenger – La sua “nicchia” di scultore pittoresco e realista si è allargata, a beneficio non solo di unamigliore comprensione della sua strategia artistica ma anche di una leggenda che, uscita dalle suefrontiere, ha spezzato il suo isolamento e ha assunto una forma più universale: quella dell’artistamaledetto. La miseria, la gloria e la follia, tutti gli ingredienti che la nostra modernità è solita associareall’arte, sono in effetti riuniti in Gemito, che è entrato cosıı̀ nell’universo dei Camille Claudel, dei VanGogh, degli Antonin Artaud, dei folli devastati o, al contrario, elevati dalla loro follia. Questa leggenda, asua volta, non è certamente priva di conseguenze per il talento di un artista, ma ci ha permesso dirivalutare l’ultimo periodo della sua produzione, i suoi ultimi vent’anni di vita, in cui il disegno diventa scultura”.
VITA DI GEMITO – La vita di Vincenzo Gemito (1852-1929) ha tutti i caratteri della leggenda: bambino esposto,abbandonato dalla madre e depositato nella ruota dell’Annunziata a Napoli il 17 luglio 1852, poiadottato da una famiglia povera, crescerà nelle strade di Napoli a contatto con quegli ‘scugnizzi’ chediventeranno uno dei suo soggetti preferiti. Circondato dall’affetto dei genitori adottivi, l’artista siforma lontano dalle accademie legandosi ad artisti “ribelli” come Antonio Mancini, Giovan BattistaAmendola, Achille d’Orsi ed Ettore Ximenes. Da ragazzo osserva la tradizione locale presepiale dellebotteghe di San Gregorio Armeno e la classicità dei reperti archeologici di Ercolano e Pompei espostial Museo Nazionale di Napoli (oggi Museo Archeologico). Giovanissimo entra come nello studio delloscultore Emanuele Caggiano, poi diventa allievo di Stanislao Lista e Domenico Morelli. Da subitoviene riconosciuto come un brillante scultore: il suo Giocatore, scolpito all’età di 16 anni, fuacquistato l’anno successivo dalla Casa Reale per la Reggia di Capodimonte. A 23 anni vanta una seriedi busti di personaggi illustri tra cui Morelli, Verdi e Michetti. Il suo Ritratto di Verdi lo rende famoso eviene invitato ad esporre a Parigi, capitale delle arti europee, dove il suo Pescatore con il suo realismorivoluzionario provoca uno scandalo nel 1877. La critica grida alla bruttezza, ma il pubblico èentusiasta. La gloria arriva a soli 26 anni in quella Parigi dove arriva con l’amico Antonio Mancini,detto ‘Totonno’, e dove stringe importanti relazioni artistiche e umane con Giovanni Boldini che lointroduce negli ambienti parigini e, soprattutto con Ernest Meissonier, con cui intrattiene rapportiamicali e non solo professionali come testimonia l’intesa corrispondenza epistolare.Dopo l’Esposizione Universale del 1878 Gemito torna a Napoli dove crea, grazie all’aiuto dell’amicobarone du Mesnil la fonderia a Mergellina nella quale sarà di grande aiuto ‘Masto Ciccio’, comeaffettuosamente chiama Francesco Jadicicco, secondo marito della madre adottiva GiuseppinaBaratta. Il re d’Italia Umberto I gli ordina la colossale statua di Carlo V per la facciata del palazzo realedi Napoli, poi Un surtout di tavola d’argento. Ma lo spirito di Gemito è indebolito e, passando da unacrisi di follia all’altra, sarà rinchiuso in cliniche psichiatriche. E poi per 20 anni in isolamento nella sua casa di via Tasso a Napoli.


Gemito ha avutoper la prima voltal’idea di un vaso ampiamente decorato – sul modello greco per unvaso a stamnos – tra il 1915-20. Questo prototipo, modellato in cera e terracotta, presente nellacollezione della Galleria d’Arte Moderna di Roma, è quello di un corpo circolare, basso, con due testericcamente decorate con ghirlande alle estremità, in funzione di manici; sui lati della coppa, a sbalzo,sono figurati una corona e una ghirlanda intrecciate e dall’altro due delfini sovrapposti. Gemito ha chiaramente basato le teste con ghirlande sul suo disegno, realizzato nello stesso periodo,per unamaschera di Fontana, oggi nella collezione di Giovanni Treccani degli Alfieri, e i delfini, chericorrono frequentemente in tutta la sua opera, sul disegno di un delfino stilizzato (basato su unprototipo antico) del 1923. L’iconografia coniugale sembra essere unica in questa composizione.
ALLESTIMENTO – Il progetto di ristrutturazione e allestimento delle sale XX, XXI, XII al Museo Real Bosco diCapodimonte è stato curato da COR arquitectos (Roberto Cremascoli, Okumura, Rodrigues) conFlavia Chiavaroli e ricostruisce metaforicamente l’atmosfera di un “atelier”, quello di VincenzoGemito che dal suo studio al Vomero contemplava il meraviglioso paesaggio napoletano. Gli espositori divengono così, non delle semplici basi da museo, ma elementi leggeri, eleganti, dove lapresenza dell’opera è indiscutibilmente la questione prioritaria, anima degli spazi. Elementi in ferro elegno di betulla, tavoli come supporti di lavoro, contro-pareti di betulla (come una boiseriecontemporanea), come le pareti di un atelier, saranno il supporto espositivo che racconterà la vita el’opera dell’artista. Il paesaggio napoletano entra nelle sale attraverso le cinque finestre ristutturatee rivestite sui vetri dalla protezione controllo raggi ultra violetti UV.