Un sound tutto nuovo e anche una voce più audace per Francesco Gabbani per questo 2020. “Viceversa” il nuovo album del cantautore toscano che uscirà il 14 febbraio, sarà preceduto dal brano dallo stesso titolo che riporta l’idolo di “Occidentali’s Karma” sul palco del Teatro Ariston per Sanremo 70. “Diciamo subito – ci preannuncia incontrandoci a Milano prima della trasferta più impegnativa dell’anno – che vado a Sanremo senza pretese di vittoria anche perché non ho sentito nessun brano dei miei colleghi e non so proprio come posizionarmi. So di andare con una proposta insolita che forse lascerà qualche ascoltatore perplesso”.
E in effetti la mossa di Gabbani è coraggiosa. A distanza di tre anni da Magellano (BMG), conterrà anche il singolo della scorsa estate “E’ un’altra cosa”, che non ha avuto la fortuna dei precedenti. L’artista ha cambiato team autoriale e produttivo (ora lavora con Ivan Rossi e Matteo Cantaluppi), ha un pezzo insolito senza filastrocche o ammiccamenti da far sentire al Festival. Dove, tra l’altro, preferirà presentarsi “senza orpelli, chi si aspetta un’altra scimmia resterà deluso”. C’è solo un fischio nel brano di Sanremo, unica concessione ‘popolare’, che il cantante dice di aver escogitato col suo amico Fabrizio Tabitto Degl’innocenti.
Il linguaggio che usa di più durante l’intervista, in cui si commuove due volte, è nei dintorni del “mettersi a nudo”.
“Viceversa” è un titolo che sembra molto in linea coi tempi. Di che si tratta?
Il filo conduttore del disco è il rapporto tra individualità e collettività: ogni brano suggerisce un punto di vista diverso nel cercare di interpretare la complessa relazione tra “te stesso” e “gli altri”, tra la personalità singola e il sistema sociale.
Per uno che ha vinto già due volte di seguito, nel 2016 e 2017, come si affonta il festival?
Questa volta è la canzone giusta che mi ha fatto decidere di andare al Festival. Senza la pressione di bissare ciò che è stato davvero inaspettato nel 2017. Vivo senza timore di mettermi a paragone con me stesso.
Che anima c’è nelle nuove canzoni?
È l’anima intimista, emozionale e autentica che prevarrà per me. Forse è un lato che il pubblico non conosce ancora di me e sono contento di andare a emozionare senza pretese. Al momento è la canzone che godo di più a cantare. ‘Occidentali’s karma’ sembrava più semplice ma non c’era tregua nemmeno lì, e il mio approccio sarà semplice, destrutturato, niente scimmie ed elefanti. Queste aspettative me le sono cercate, lo so, ma ora si cambia.
Il disco si apre con un brano, Einstein, che è un tributo alla genialità.
Ho citato Morgan in quel pezzo, gliel’ho detto due volte quando l’ho visto per fare le foto del cast del Festival, spero se lo ricordi. Perché per me che mi sono formato con i Bluvertigo, era carino citare ‘Sovrappensiero’ quando dico che come Morgan si va ai funerali sovrappensiero. Non ha un valore intellettuale ma naturale, è una citazione discorsiva pertinente, perché la canzone apre il disco che è un percorso di analisi per me.
Che valore ha avuto la partecipazione di Pacifico a questo disco?
Gino Pacifico lo stimo da tanto e durante il 2019, mentre stavo facendo l’album e c’era quasi il 90% pronto, ho avuto modo di conoscerlo. Lo considero una bellissima persona, intelligente, ironica e sensibile. Mi ha aiutato, se lo vogliamo dire in termini da psicoterapia, a confermare quello che avevo già vomitato fuori. Ora è antipatico quantificare ma è stato ottimizzato quanto esisteva già. La sua firma c’è in ‘Il sudore ci appiccica’ e ‘Bomba Pacifista’, dove abbiamo collaborato esattamente a metà.
Che brano è questo? Apocalittico?
No, è una canzone visionaria piena di speranza con delicatezza e compassione in uno scenario dove c’è individualismo e necessità di essere brillanti a discapito degli altri. Sai, a volte esprimere speranza è quasi una timidezza. Io ho molta considerazione della timidezza, quando vedo un timido non cerco di sovrastarlo, ma cerco di vedere il mondo che ha dietro.
Questo disco che esce dopo Sanremo ha testi molto più ragionati, molto più intensi. Eppure è frutto di tre anni dove hai vissuto come una celebrità. Come mai?
Illuminazione interiore è il concept dell’album. A posteriori, mi sono accorto che il tratto distintivo è la voglia di tornare alla condivisione tra individuo e collettività. Credo sia cambiata la mia carriera, ma non è cambiata la mia vita. Sento ancora l’esigenza di vivere in provincia, nello stesso posto dove sono nato. E sono sicuro che è una scelta che mi aiuta.
Come hai costruito i pezzi?
Non volevamo stupire, il mio team parte sempre dal beat e poi ci costruiamo sopra. Gli archi del pezzo di Sanremo sono di Matt Sheeran, fratello di Ed, conosciuto lo scorso settembre. Ma già vi dico che non gli ho chiesto di venire a dirigere l’orchestra, non volevo giocarmi questa carta per ingraziarmi il pubblico. La considero una sovrastruttura comunicativa.
Cosa troverà il pubblico nel disco, per quanto riguarda la tua visione dei rapporti?
Alla base di ogni rapporto c’è una quantità di compromesso sempre presente, altrimenti si sta da soli. Per l’amore non ho risposte ma sguazzo nelle domande. Un modo di interpretare l’amore è una corrispondenza, un dare e un avere, di questo si parla nei testi. Il mio auspicio è sempre quello di essere compreso, nella vita e da chi ascolta la mia musica.
Andrai in tour?
Durante il 2020 accadrà, non so ancora come e quando ma farò im tour e non vedo l’ora di suonare dal vivo. La vita da studio è bella ma manca di una cosa fondamentale che è il ritorno emozionale in quello che dai. Non dico solo per l’approvazione, ma l’esperienza emotiva che provi a cantare qualcosa che hai scritto in mutande a casa, volando con la testa, davanti a un pubblico.
Rifaresti mai l’Eurovision?
Se mi dovesse ricapitare, sarebbe davvero diverso. All’Eurovision del 2017 sono arrivato da super favorito, ricordo tutta la stampa a Kiev mi ha fatto grandissima pressione, è stato intenso e anche impegnativo e stancante. Poi l’esito ha disatteso aspettative, perché le votazioni di quella manifestazione sono basate sulle alleanze. Quindi le mie considerazioni non sono su apprezzamenti dell’esperienza, ma sul meccanismo di voto.