Giuseppe Sirni è il pittore che realmente ha nell’urgenza comunicativa la sua vena creativa. Scoperto alla mostra Arte in Regione Lombardia – L’altra Regione: pittori, fotografi, creativi , dove sono stati messi in display tutti i creativi del Pirellone, Sirni si è distinto per aver portato in una sede istituzionale un’indagine pittorica davvero in accordo coi tempi. La sua serie Cuore Sacro è una riflessione che vale la pena essere analizzata.
Sirni poi non si è fermato. Non che abbia mai abbandonato la sua passione. Succede che all’improvviso i media si sono accorti del suo talento e dalla pittura è stato riconosciuto anche talentuoso fotografo, ricevendo l’ambita soddisfazione di essere pubblicato. Ne abbiamo parlato col diretto interessato.
Giuseppe, partiamo dai due dipinti in esposizione al Pirellone. Come ti sono venute in mente le idee per i due soggetti?
“Cuore Sacro” è nato per caso. Sono partito da un ritratto fotografico in bianco e nero che mi aveva fatto la mia cara amica Tiziana Portera per un progetto per PhotoVogue dal titolo “TEN ARTISTS TEN DESIRE” http://www.vogue.it/photovogue/Portfolio/38140dff-dc68-4ff2-a7a0-57b13035a31d/Image . Mi sono ispirato alle icone bizantine dei personaggi sacri dallo sguardo severo, carichi di simbolismo. L’idea era quella di raccontare alcuni aspetti dell’uomo d’oggi, il lato oscuro che risiede dentro di noi ma che cerchiamo di nascondere. Per tal motivo mi sono rappresentato con l’aureola, con il sacro cuore stampato sulla maglietta, come un qualsiasi logo che ogni giorno vediamo sull’abbigliamento dei giovani. Il tutto incorniciato dalle maioliche bianche e blu, che richiamano alla tradizione.
La serie colpisce molto, perché secondo te?
Il quadro parla di come ognuno di noi senza rendersene conto, cerchi l’approvazione dell’altro, cercando di apparire come una persona perfetta, senza macchia, quasi un santo, giudicando gli altri e autoassolvendosi. Noi siamo i buoni, gli altri i cattivi Lo vediamo ogni giorno sui social dove vengono messe in scena le più assurde contraddizioni umane. “La madre” fa parte di un progetto che insieme “il padre” e “il figlio” compongono il trittico “La famiglia” che parla della violenza domestica. La famiglia rappresenta il luogo, la dimensione dove le relazioni possono essere funzionali , quindi gli affetti sono positivi, ma ci sono casi in cui queste relazioni sono anche disfunzionali, facendo scaturire una serie di sentimenti negativi fatti di rabbia, ostilità che possono sfociare in veri e propri atti di violenza e gli effetti ci vengono raccontati ogni giorno dalla cronaca nera. in tutti e tre le tele tutto questo è raccontato dietro ad una parvenza di normalità.
La tua produzione sembra a volte muovere dalla pop art, almeno per la scelta di alcuni personaggi, a volte dalla tradizione più propriamente ritrattistica della pittura italiana. Ti rivedi in questa suggestione?
Naturalmente la tradizione italiana ha influenzato la mia formazione artistica e i miei colori possono ricordare la pop art, ma sono figli dei fauves e degli espressionisti tedeschi. Le mie radici sono li.
Che tipo di influenze ha avuto il tuo percorso artistico?
Nell’adolescenza mi divertivo a riprodurre a matita, carboncino o sanguigna i grandi capolavori dell’arte, in maniera particolare ero attratto dalle opere di scultura, mi piaceva capire i volumi, le luci e le ombre, per cercare di ottenere la stessa tridimensionalità su un foglio. Prima dell’accademia di Belle Arti, mi sono avvicinato al surrealismo. In Accademia mi si è aperto un mondo. per tutto il primo anno ho fatto solo informale, influenzato dalla lettura del libro di Kandinsky “punto, linea e superficie”. ma anche questa esperienza mi stava stretta, sentivo che non era quello che cercavo. il secondo anno grazie ad un nuovo docente, che mi fece scoprire la bellezza delle tinte piatte e del colore, cominciò la mia ricerca nel mondo del colore puro e naturalmente questo mi portò ad innamorarmi perdutamente di due correnti artistiche coeve come l’espressionismo tedesco e i fauvismo francese, in maniera particolare dei paesaggi di Emile Nolde, degli animali di Franc Marc e in assoluto di Matisse che considero il mio vero maestro.
Come ti trovi a non dover vivere di arte? O meglio, a vivere l’arte senza l’assillo commerciale?
Sarei ipocrita se dicessi che non mi piacerebbe “arrotondare” o vivere con la mia arte, ma sicuramente come tu dici, non vivo con questo assillo. Dipingo solo se ho voglia, non è un mestiere, non sono un pittore seriale. Alterno periodi in cui mi immergo completamente nella pittura e altri in cui ho bisogno di fermarmi… dipingo solo quando ho “l’urgenza” di farlo. Faccio quello che voglio senza dover compiacere nessuno. Purtroppo non sempre l’arte è sincera.
Il complimento che ti ha più colpito da parte di chi ha visto le tue opere?
Sono contento quando qualcuno riesce ad entrare in empatia con un mio lavoro e va oltre a quello che vede. Ciò significa che non si è fermato alla superficie, ma è stato capace di elaborare una lettura che scava negli strati molteplici che ho creato.
Sei tu stesso collezionista? Cosa ti piacerebbe comprare?
Mi piacerebbe collezionare opere di artisti che apprezzo. Ho qualche lavoro di artisti miei amici, molto spesso ci scambiamo dei pezzi. Sicuramente mi piacerebbe comprare qualche scultura e qualche dipinto.
Cosa pensi dell’attuale stato dell’arte del nostro Paese?
Non essendo dentro al sistema non saprei rispondere sullo stato di salute dell’arte italiana. Vedo che ci sono molte persone che cercano spazio, di rendersi visibile e questa smania di visibilità è stata fiutata da alcuni personaggi che ne approfittano per spennare i morti di fama, facendogli sborsare centinaia di euro per esporre in fantomatiche mostre ammucchiata. Le gallerie dettano i trend insieme ai critici. Bisogna sottrarsi a queste gioco, queste iniziative servono solo a chi le organizza, l’artista non ha alcun vantaggio. L’arte più di prima è business, investimento, come ci insegna Damien Hirst.
Le recenti provocazioni degli street artist hanno messo in dubbio il concetto stesso di possessione dell’opera. Questo è un aspetto che ti interessa? Qual è il fine di un quadro? Averlo o poterne fruire liberamente?
La street art, quella vera, ha rivoluzionato il mondo dell’arte. Basti pensare a Keith Hading, Jean-Michael Basquiat, Banksy tanto per citare i più famosi. La questione è molto controversa. Chi li accusa di deturpare le città, chi li considera dei grandi artisti. Sicuramente bisogna fare delle distinzioni. Chi va a deturpare monumenti o palazzi con scritte o disegni inutili, sono da condannare. Sicuramente non è con i divieti che si aiuta questa forma d’arte. Ci sono esempi di amministratori che hanno permesso a questi artisti di potersi esprimere sui muri delle città che governano, magari su architetture in cui il cemento la fa da padrona. William Kentridge ha realizzato un interessante murales sul lungotevere a Roma, un esempio virtuoso di come la street art possa essere uno strumento potente se supportato da un progetto organico. Qui stiamo parlando di una forma d’arte in cui l’opera diventa un’unica cosa con i luoghi che viviamo, appartiene a tutti.
Cosa pensi del panorama artistico di Milano, attualmente?
Milano è una città viva ed è anche capitale del design, della moda, le più importanti gallerie d’arte si trovano qui. La creatività abbonda, da Palazzo Reale, passando per la Fondazione Prada, fino ad arrivare al MUDEC o alla Triennale.
Qual è la città più artistica d’Italia, o quella che ti offre maggiori stimoli?
In questo momento per me Venezia rappresenta una grande fonte d’ispirazione per le mie foto. Le chiese, i musei, la storia della meravigliosa città lagunare, mischiati con eventi contemporanei come la Biennale d’arte, la rendono unica.
Il tuo sguardo con l’obiettivo è diverso da quello che hai col pennello?
Quella di PhotoVogue è un’esperienza che mi ha aiutato molto a migliorarmi come fotografo negli ultimi mesi. Vogue Italia mette a disposizione uno spazio all’interno del proprio sito web, dove chiunque può creare un proprio profilo e proporre agli editors della testata i propri scatti che, se selezionati, compariranno sul loro sito e se particolarmente validi scelti come best of o foto del giorno. Può rappresentare un trampolino di lancio, ma io lo vedo per il momento come un laboratorio che mi permette di confrontarmi con altri fotografi e crescere, se una foto non viene selezionata non vuol dire che non è valida, ma non rientra nella loro linea editoriale. Sicuramente la macchina fotografica come espressione artistica è molto diversa dalla pittura. Io amo molto la street photography che a differenza della pittura che ti costringe a rimanere chiuso in solitudine dentro lo studio, ti permette innanzitutto di esercitarla in qualsiasi luogo e momento. Anche l’approccio è diverso. Nella pittura io dipingo come sento la realtà, con la fotografia quello che vedo nella realtà. Lo studio dei fotografi che hanno scritto o che stanno scrivendo la storia della fotografia, secondo me è essenziale se si vuole intraprendere una carriera. Io cerco un approccio “artistico” e ancora ho tanta strada da fare.