Fondata nel 1983, Thaddaeus Ropac dalla Francia ha gallerie in tutta Europa, a Londra, Parigi e Salisburgo, e un team in espansione in Asia. Il gallerista di origine austriaca, ha di recente aperto una mostra collettiva a Parigi, Re–enchantment che vuole raccontare come artisti di varia natura incantano il mondo con le loro opere. O meglio tornano a farci re-incantare e re-innamorare di quello che ci circonda.
Re-enchantment riunisce dieci artisti le cui opere esplorano modi per reincantare il mondo.
All’idea di disincanto si contrappone il termine re-incanto, sempre più presente nel panorama culturale. All’indomani della Prima Guerra Mondiale, il sociologo Max Weber descrisse questo fenomeno come il risultato di un processo di “razionalizzazione” inerente alla modernità, attraverso il quale la realtà diventa oggettivabile. Mentre l’incanto significa cadere sotto l’incantesimo di influenze magiche, il re-incanto implica un atto di riparazione del mondo attraverso la meraviglia e suggerisce una nuova etica che si riconnette con un senso di mistero. La mostra risponde a una realtà spesso sentita come demistificata e danneggiata dalla crisi ecologica e dall’iperrazionalizzazione.
Nel contesto di questa mostra il re-incanto è da intendersi in senso magico, ma anche politico ed ecologico. Per la filosofa Silvia Federici, reincantare il mondo implica “ricostruire la nostra vita intorno e con gli altri, compresi gli animali, le acque, le piante”.
Gli artisti in mostra tendono a reincantare il mondo impregnando la realtà con l’immaginazione e collaborando con la materia vivente piuttosto che strumentalizzandola. La magia è uno strumento che defamiliarizza il quotidiano. Allontanandosi da una prospettiva lineare e privilegiando punti di vista multidimensionali, gli artisti si sforzano di reinventare il nostro rapporto con la realtà che ci circonda. Alcuni artisti invertono la gerarchia tra paesaggio e figura; altri fondono le figure umane con il regno animale, minerale e vegetale. Alcuni artisti danno libero sfogo al potere di trasformazione dei materiali che si evolvono nel corso della mostra. Attraverso queste immagini e processi, contrastano una visione antropocentrica e offuscano i confini tra umano e non umano. La distinzione tra sogno e realtà è attenuata anche da opere che giustappongono sia la dimensione realistica che quella onirica.
In alcune opere oltre a re-incantare, lo spazio onirico si sovrappone alla realtà. Teresa Pągowska (1926–2007, Varsavia, Polonia) attinge all’esperienza incarnata delle donne dell’ambiente circostante, così come ai propri sogni, che materializza sulla tela. Oona Doyle, curatrice della mostra, afferma: “In una società che dà priorità al punto di vista degli uomini, l’esperienza delle donne è spesso relegata in secondo piano. Di fronte a questa realtà patriarcale, l’immaginazione offre la possibilità di liberarsi da una logica imposta.” Questa esperienza pittorica sensoriale e onirica riecheggia nei dipinti fantasmagorici di Ariana Papademetropoulos (nata nel 1990, Los Angeles, USA – vive a Los Angeles) , per il quale “la pittura è un portale per un altro mondo”. Nelle loro tele, le figure umane si fondono con il regno animale e vegetale, esprimendo un forte desiderio di connettersi con la natura.
L’ammorbidimento dei confini tra umano e non umano si esprime non solo attraverso la rappresentazione, ma anche attraverso i processi stessi del fare. Angelika Loderer (nata nel 1984 a Feldbach, Austria – vive a Vienna), ad esempio, utilizza il micelio aereo dei funghi che consumano immagini fotografiche. Le opere si trasformano nel corso della mostra, proprio come l’installazione minerale di Bianca Bondi (nata nel 1986, Johannesburg, Sud Africa – vive a Parigi), i cui elementi si cristallizzano gradualmente. Nelle sue sculture, Shuyi Cao (nata nel 1990 a Guangzhou, Cina – vive a New York) assembla una miriade di materiali, dalle conchiglie alla bioplastica, al vetro e alle unghie finte, che vengono metamorfizzati in esseri immaginari.
Olga Grotova (nata nel 1986 a Chelyabinsk, Russia – vive a Londra e Parigi) incorpora nei suoi dipinti la terra e l’impronta delle piante provenienti dai giardini comunali di sua nonna e bisnonna, condannate ai lavori agricoli forzati durante il periodo sovietico epoca, insieme a milioni di altre donne. Attraverso la sperimentazione dei materiali e alla luce della ricerca transgenerazionale, l’artista svela la storia di queste donne invisibili. L’emersione del trauma collettivo avviene anche nelle opere di Manuel Mathieu (nato nel 1986, Port-au-Prince, Haiti – vive a Montreal), che manipola la trama e le trasparenze delle sue tele finché un’immagine non trapassa. I suoi paesaggi rivelano lacrime e ferite che alludono agli orrori della dittatura Duvalier ad Haiti (1957–1986), comunicando anche una vitalità che pulsa sulla superficie della tela, suggerendo la possibilità di rinnovamento. Nelle loro opere, più spazi temporali convivono sulla stessa tela, rivelando quanto la storia sia depositata nella materia. Come scrive Shuyi Cao: “il re-incantesimo è la canalizzazione dei ricordi immagazzinati nel fango, nella sabbia, nella polvere cosmica, nelle ossa e nelle conchiglie, così come nella mia pelle e nelle molecole”.
Wanda Mihuleac (n. 1946, Bucarest, Romania – vive a Parigi) ci ricorda che “nella parola re-incanto sentiamo CANTARE, cantare”. Nelle sue poesie tautologiche, l’artista scrive le parole con la sostanza di cui sono fatte, scardinando la distinzione tra linguaggio e materialità.
Bianca Bondi | Manuel Mathieu |
Shuyi Cao | Wanda Mihuleac |
Dorota Gawęda & Eglė Kulbokaitė | Teresa Pągowska |
Olga Grotova | Ariana Papademetropoulos |
Angelika Loderer | |
Curatela di Oona Doyle – Fotoservizio da Parigi di Andrea Agostinelli per The Way Magazine