6 Ottobre 2020

Da Gori Tessuti la mostra di Flavio Favelli

In provincia di Firenze, fino a marzo 2021, il lavoro site specific per l'azienda toscana erede di un'antica tradizione manifatturiera.

6 Ottobre 2020

Da Gori Tessuti la mostra di Flavio Favelli

In provincia di Firenze, fino a marzo 2021, il lavoro site specific per l'azienda toscana erede di un'antica tradizione manifatturiera.

6 Ottobre 2020

Da Gori Tessuti la mostra di Flavio Favelli

In provincia di Firenze, fino a marzo 2021, il lavoro site specific per l'azienda toscana erede di un'antica tradizione manifatturiera.

La mostra Flavio Favelli, Profondo Oro, a cura di Pietro Gaglianò presso Arte in Fabbrica, spazio espositivo dell’azienda Gori Tessuti e Casa a Calenzano, in provincia di Firenze, è una visione multidisciplinare dell’artista e una riflessione come suggerisce il titolo.

L’esposizione, che proseguirà fino al 28 marzo 2021, consta di un progetto speciale appositamente pensato per gli spazi e le architetture dell’azienda dei due imprenditori pratesi, Fabio e Paolo Gori, figli di Giorgio Gori, importante collezionista e patron di Fattoria di Celle.In mostra due grandi opere installative, due opere su parete, un neon, una piccola ceramica e un dipinto su muro di quasi 120 metri mq che resterà permanente all’esterno della fabbrica. Allego il testo critico del curatore e il comunicato stampa dal quale potrà desumere tutte le informazioni riguardanti la mostra. Per l’occasione è stato pubblicato anche un catalogo edito da Gli Ori.

Flavio Favelli, Made In Italy, 2020, acrilico su muro, cm 950×1200. Ph. Serge Domingie © Flavio Favelli

Profondo Oro, declina l’interpretazione data dall’artista di un universo sociale tutto nazionale, in gran parte consegnato alla storia ma che non smette di influenzare l’immagine che l’Italia costruisce di se stessa. Si tratta quell’aspirazione al lusso e al benessere materiale che ha caratterizzato il sogno italiano dal boom economico degli anni Cinquanta fino ai tempi più recenti, fino al vissuto dell’artista. Una temperie culturale che molto più che nello spazio pubblico si dispiega in quelli privati, nell’habitat della famiglia mononucleare incardinato sul sentimento dell’appartenenza e sull’illusione dell’apparenza. La casa, con i suoi arredi, gli accessori, le finiture, è il luogo di rappresentazione dello status sociale. Nel nido di questo micro-sistema si affresca più che l’immagine di sé il desiderio di quell’immagine: l’ottimismo di almeno due generazioni che si sono espresse nella costruzione degli scenari privati, coltivando per narcisismo un malinteso spirito di classe.

Ecco perché l’oro del titolo non allude alla pregevolezza del metallo. La sua preziosità, lucente e fittizia, si riferisce invece ai rivestimenti e alle patine che travestono materiali meno nobili: dalla verniciatura dei legni e delle leghe alle lucide confezioni. È un oro che oltre il primo strato ha altre profondità, di carattere sociologico, economico, culturale e anche politico: un oro che attraverso la dichiarazione di un lusso solo presunto descrive, più efficacemente del cinema e della letteratura, le speranze e gli inganni di una complessa compagine sociale.

Questo è il mondo al quale in larga parte guarda Favelli, e dal quale provengono gli elementi ricorrenti della sua estetica: uno scenario che può essere sintetizzato come un ritratto di famiglia borghese in un interno le cui parti tornano a edificare uno scenario ambivalente.

Flavio Favelli, Profondo Oro, veduta della mostra. Foto Serge Domingie © Flavio Favelli

Il curatore Pietro Guaglianò scrive nel suo testo critico dell’artista:

“Le opere di Profondo Oro riferiscono di alfabeti formali, materiali e medium che in fasi diverse hanno attraversato l’intera ricerca di Favelli. Alcuni elementi sono presenti nelle sue opere quasi dagli esordi, altri sono l’esito di percorsi di selezione e, in un certo senso, di metamorfosi, in cerca di una specificità della materia e degli oggetti, della loro singolarità nel rispondere alle manipolazioni e alle composizioni e, specialmente, della quantità di ramificazioni che si concentrano nel loro apparire, risvegliando connessioni a storie private e alla Storia.

La fascinazione per il materiale, per la sua capacità di preservare narrazioni, implicite nella sua fattura e accumulate nel suo invecchiare, si è via via concentrata nell’interesse per l’oggetto d’uso, per il manufatto; quest’ultimo, il prodotto, la cosa comprata, sovrappone nella propria presenza l’articolata catena di passaggi del sistema di produzione, promozione e distribuzione, fino alla vendita, all’acquisto e alla quieta permanenza nelle dimore dei suoi proprietari le cui vite finisce in qualche modo per assorbire. L’inclinazione per l’impiego dei mobili e di altri prodotti di ampia diffusione, più che guardare alla genealogia dell’oggetto nell’arte del Novecento, si sviluppa in Favelli come elaborazione di un linguaggio in cui convergono la ricerca formale e un forte fattore emozionale, una sensibilità animistica che forse ha come unico riferimento Jannis Kounellis; con lui Flavio condivide anche la fiducia nell’autonomia dell’opera e la certezza che l’arte non sia questione di rappresentazione ma di presenza: “l’artista pensa e propone opere d’arte che anche se assomigliano a certe cose non possono che essere solo opere d’arte”.

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