L’esperienza unica della cultura performativa può riguardare un’isola-museo in Giappone, il Carnevale di Rio, un debutto teatrale a Bruxelles, un rave party nella campagna inglese, un centro culturale ospitato in un’ex agenzia di pompe funebri in un quartiere multiculturale di Parigi, e tanto altro. Cristiano Leone ha fatto un lavoro enciclopedico: per “Atlas of performing Culture” (Rizzoli New York) ha riannodato i fili che riportano a performance artistiche in teatri, sale da concerto e festival, ma anche musei, parchi di sculture e centri culturali « ibridi » che sfuggono a qualsiasi tentativo di catalogazione.
Il nuovo libro di Cristiano Leone, quindi, ha l’ambizione non solo di trattare in forma enciclopedica il fenomeno delle “Performance”, ma di inserirlo anche in una dimensione antropologica e storica: si parla dunque di Atlante della Cultura Performativa, analizzando il rapporto tra la forma d’Arte, il suo contesto storico e ambientale, il suo significato e le sue percezioni assolute, oggettive e soggettive.
Nell’introduzione l’autore propone un excursus linguistico, filosofico e antropologico sul
significato di ‘performance’, per poi affrontare l’analisi dal punto di vista storico. In
particolare, tratta della « Performance art », corrente artistica teorizzata negli anni ’70, e i cui
maggiori esponenti sono Joseph Beuys, Marina Abramovic, etc., per poi trattare delle «
Performing Arts », ovvero delle arti dello spettacolo (danza, teatro, musica, circo, etc.). Leone
specifica che nel testo tratterà l’insieme delle discipline performative, a prescindere dalla loro
etichetta, e che egli ingloba nel concetto più ampio di Performing Culture, che consente di
illustrare lo spirito performativo che anima molteplici manifestazioni culturali, e che si basa
sull’interazione tra gli artisti, le opere d’arte, il pubblico, il contesto storico e lo spazio in cui
avviene la performance.
Nel corso della storia l’arrivo della cultura ha trasformato nel vero senso della parola alcuni spazi in giro per il mondo. Così Leone racconta del Matadero di Madrid (un ex Macello) o del
Centquatre Paris (un tempo sede delle Pompe Funebri della città di Parigi e ora centro
polivalente che ha riqualificato un intero quartiere); oltre a questi vi sono poi quegli spazi che
propongono delle esperienze che uniscono la natura, l’architettura, l’arte e il pubblico, come
l’Instituto Inothim (in Brasile), o come Naoshima (in Giappone), un’intera isola che offre al
visitatore un’esperienza totale, nonché « performativa ».
Nelle conclusioni l’autore parte dall’arresto per via della pandemia di tutte le manifestazioni
del performativo. Tale momento storico consente innanzitutto di porre uno spartiacque per
tutte le analisi svolte nel libro e che d’altro canto permette di esaminare tutte quelle azioni
culturali che hanno dovuto sopperire alla mancanza della dimensione “dal vivo”. Si parla
quindi dei progetti performativi digitali e del metaverso, per poi concentrarsi sulla forza
performativa dei social network, in cui sempre di più i singoli individui “si mettono in scena” e
« performano » con gli altri membri della comunità del digitale.
Il nuovo libro di Cristiano Leone (in foto) è il primo volume pubblicato da Rizzoli NY, distribuito in tutto il mondo in lingua inglese, sull’argomento con l’ambizione di inserire il fenomeno delle “performance” in un’ampia dimensione culturale: nasce così un l’atlante della cultura performativa. Un viaggio illustrato attraverso i cinque continenti – Asia, Africa, Europa, Oceania e Americhe – che abbraccia numerosi luoghi ed eventi legati alla performance, modalità dinamica e irripetibile dell’attività artistica in grado di unire il pubblico protagonista agli artisti, alle opere d’arte, all’architettura e alla natura.
In foto d’apertura tratto dal libro “Atlas of performing Culture”, da sinistra:
Isadora Duncan dancing
on the seaside, 1910s.
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Martha Graham
with Bertram Ross,
Visionary Recital, 1961.