Lo dice riferendosi agli studi di Giovanni Pascoli e la profonda conoscenza che ha della filosofia classica: Brunori Sas è desideroso di scoprire il ‘Fanciullino’ nascosto in ognuno di noi. E la copertina e il titolo volutamente puri e puerili del suo nuovo album “CIP!” aiutano la missione.
Dall’altra parte, c’è l’emersione totale e travolgente di un nuovo e imponente talento del cantautorato italiano. Più di un De Gregori per i tempi moderni, ma siamo sicuramente da quelle parti, in tema di competenza ed empatia con il proprio pubblico. “Le mie paure personali sono legate al cambiamento, come sempre capita per chi scrive”, dice il cantautore calabrese davanti alla stampa a Milano per lanciare un 2020 che si preannuncia l’anno della sua definitiva consacrazione.
In questo momento in Italia Brunori (vero nome Dario Brunori, 42 anni) gode di una stima e un affetto dal pubblico che è difficile calcolare. Lo chiama e lo rievoca chiunque, in pubblico e nelle chat. Fa figo seguirlo, è incontestabilmente una boccata d’aria fresca nel panorama italiano. E soprattutto, è qualità indiscutibile. “Sono arrivato a fare il mestiere a questa età e ne sono contento. “A casa tutto bene”, il mio precedente album si riferiva a un clima di paura che ora sicuramente non c’è più…sono felice di aver preso una cantonata quattro anni fa“, dice con fare ironico alludendo alla palude sociale in cui si è impantanata l’Italia.
Per lui la vita in 4 anni è davvero cambiata: “Paura e amore sono i due motori della vita, diceva John Lennon“, dice aggiungendo che “modestamente, cito solo quelli al mio livello“. Una simpatia acuta e straordinariamente umana, quella di Brunori, che fa capire anche come ha stabilito in anni di gavetta un legame così viscerale col proprio pubblico.
Il primo singolo del disco uscito prima di Natale, “Per due che come noi” è prodotto da Taketo Gohara e Dario Brunori, parla di due spettatori e protagonisti della propria storia d’amore. Dall’innamoramento all’amore, col video di Duccio Chiarini critto assieme a Dario Brunori, che racconta un legame duraturo proiettato come un filmino del passato al centro del salotto della quotidianità di una coppia che si rivede a distanza di tempo, si interroga sul presente e guarda al futuro. In modo trasparente, anche quando non è facile. E tra le mura di casa, nei momenti più intimi dei due protagonisti, scanditi dal trascorrere della vita insieme esplode forte l’orchestra d’archi che si lega al pianoforte e alle percussioni profonde della canzone dolce che spiega la difficoltà, ma anche della gioia di tenere in piedi le cose che contano, resistendo al soffio dei venti esterni, in un viaggio a due nel prima e nel dopo.
“Mi sono reso conto che se si canta si torna sempre bambini. Sono loro che cantano, e se gli adulti tornano bambini il canto resta sempre presente nelle nostre vite”, dice il cantautore.
I due protagonisti del video sono Francesca Agostini e Federico Brugnone. Il videoclip è stato prodotto per Ang Film (direttore della fotografia Debora Vrizzi) ed è stato realizzato con l’amichevole partecipazione della Fondazione Lilli.
Brunori porta i segni di una vita in Calabria, parla della madre, della generosità culinaria della sua terra (anche se “non abbiamo mai mangiato la ‘nduja in casa mia, ma è strano che la Calabria sia famosa per cose che iniziano per ‘nd”, precisa). Parla anche irresistibilmente della teatralità della gente del Mediterraneo, prendendosi in giro con ironia.
“La Calabria – dice – è un posto molto contemplativo, filosofico, con tanti conventi ma è anche terra che dice chi te lo fa fare”. Una cosa a cui non ha rinunciato è l’atteggiamento di apertura, anche se riconosce di essere stato pigro in passato. “La chiusura ci separa dagli altri e ho cercato di superarla. Ho voluto parlare di nuove prospettive d’amore nelle canzoni di CIP!, ho lavorato in questo ultimo periodo con la onlus Officine Buone, un nuovo modo di fare volontariato. Loro hanno fatto vedere in una web series come prendersi cura degli altri senza retorica e senza farci venire i sensi di colpa“.
Ora che è in cima (e suonerà in palazzetti stracolmi in questo tour che parte a fine febbraio, il tabù maggiore della gavetta lo ricorda così: “Per me è stato andare sul palco e mettersi in ridicolo, che poi ti fa piacere farlo, perché il pubblico ha un grande amore per chi va sul palco. Come se riconoscesse che non si ha paura quando si sta lì”.
La cosa che incuriosisce tutti quando lo ascoltano, è la genese delle sue parole: “In genere, completo il discorso delle canzoni con belle immagini e le persone solitamente vedono meglio di me quello che vogliono dire nelle cose quotidiane. Ma soprattutto, io voglio recuperare il fanciullino di Giovanni Pascoli, rifarmi un po’ a quello sguardo e spiritualità, ma anche religiosità. Quando scrivo cerco sempre di bilanciare una visione poetica, a rischio di sembrare naïf, con passaggi legati alla mia spiritualità, che si confronta con esperienze sulla mia pelle“.
Brunori racconta di voler “comunicare non la vicenda umana solo mia, ma il recupero dell’incanto tramite il canto. Sono consapevole che è impossibile recuperare l’ingenuità dell’inizio perché tutto quello che faccio è una reazione e sicuramente oggi sono una persona diversa da quando ho iniziato a fare questo lavoro. Ma io voglio preservare lo sguardo pulito e l’ironia nel sentimento”.
Da “narciso e procastinatore”, dice che le sue vecchie abitudini non le ha perse: “Mi devo sempre impegnare a fare in tempo, altrimenti non funziona niente ma devo riconoscere che a differenza di altri non riesco a scrivere per dovere. Mi definisco ozioso e non pigro. Perché essere ozioso è riconoscere il valore del non fare nulla quando ho molte cose da fare. Capisco che però oggi scrivere rapidamente e confrontarsi con ritmo e mutamenti veloci della vita è essenziale. Mi sono comunque spostato su un tempo più indefinito nelle canzoni di questo disco. Lo scorso aprile ho iniziato a scrivere, per poi registrare le canzoni all’università della Calabria e alle Officine Meccaniche di Mauro Pagani a Milano”.
Dieci anni fa, Brunori Sas ha incontrato quel Francesco De Gregori a cui molti lo paragonano. “Era nel 2010, eravamo all’Autogrill e mi sono avvicinato dandogli un cd e una Rustichella. Ho pensato: se lo racconto a mamma mi rimproverava a sapere che mi ero avvicinato a un mito a mani vuote. E dopo aver ascoltato il disco mi ha pure detto che non ci vedeva somiglianze tra la mia musica e la sua, quindi questa risposta l’adotto sempre quando me lo chiedono. Secondo me lui resta, con Lucio Dalla, l’espressione migliore di mediazione tra canzone lieve e rapida e ricerca sulla parola e musica. Loro hanno stabilito un incontro empatico e di compassione con l’ascoltatore come nessuno mai“.