Nasce dalla Clinics di Umbria Jazz e passa per Sanremo e Imperia il progetto musicale dei giovanissimi Ayahuasca Experiment. Si tratta di un gruppo di giovani emergenti reduci da Umbria Jazz che ha inciso un prezioso disco di confluenze musicali da tutto il mondo. Tre di questi ragazzi sono vincitori di borsa di studio alla rinomata Berklee College of Music, Boston, Massachusetts U.S.A. un istituto universitario privato dedicato alla musica contemporanea, allo studio del jazz e della musica moderna americana.
Ayahuasca Experiment è il titolo del disco (uscito il 9 marzo) e della band “jazz-funk progressive” creata da nove giovani artisti dai 17 ai 26 anni provenienti da tutta Italia.
Qui sopra, da sinistra: Andrea Cardone (sax alto), Cesare Mecca (trumpet), Luigi Arieta (drum), Giuseppe Sacchi (keyboard), Francesco Genduso (sound engineer), Alessandra K. Soro (singer), Yuri Piccolotto (drum), Alberto Gatti (bass), Angelo Della Valle (guitar).
Il progetto, come suggerisce in parte il titolo Ayahuasca Experiment, nasce dalla voglia di mettersi alla prova, azzardando e sperimentando più generi, tutto in un solo album. Ne è derivato un prodotto che spazia dalla fusion sperimentale degli anni ‘80 e ‘90 sino ad arrivare alle sonorità accattivanti del fresco neo soul. Ne abbiamo parlato con Andrea Cardone, sassofonista e una delle anime del progetto.
Andrea, spiegaci la definizione della parola “Ayahuasca”.
La parola “Ayahuasca” identifica una pianta sacra e deriva dalla lingua Quechua degli Inca, in una delle traduzioni significa letteralmente “Vite dell’Anima”, e noi abbiamo fuse le nostre per dar vita a questo progetto, appunto, sperimentale.
Quali sono i contenuti di questo primo album? Ci sono particolari influenze?
I brani spaziano tra sonorità prettamente di r&b,funky e fusion, come si sente in “Turtle Glasses”, dove è particolarmente presente l’influenza del grande Herbie Hancock. “Can you hear me?”, “Upgrade”, “Shi shi” sono altri esempi. Nella traccia “Lizard Wizard”, invece, si notano elementi tipici del jazz moderno con l’alchimia della fusion. Si passa poi al soul moderno con “Head Up” e “The Ride” con evidenti influenze di Robert Glasper, fino ad arrivare a “Moonlight”, brano caratterizzato dalle forti sonorità afro.
Come vi siete messi assieme? Difficoltà logistiche ce ne sono state?
Tutto è nato nel 2018 alla Clinics di Umbria Jazz con l’incontro Luigi Arieta (batteria), Yuri Piccolotto (batteria) e Angelo Della Valle (chitarra), ma la vera idea di progetto ha preso forma nel 2019, sempre a Perugia, dove si sono aggiunti Alberto Gatti (basso), Giuseppe Sacchi (tastiere) e Andrea Cardone (sassofono). Dall’amicizia nata al campus c’era l’idea di realizzare un album e la distanza tra noi 9, che viviamo sparsi nella penisola, ha creato non pochi problemi, soprattutto logistici; nonostante tutto abbiamo deciso e siamo riusciti ad incontrarci a Sanremo nel settembre 2019 e presso gli studi “Onda Studio” di Imperia, insieme a Vito Scavo (trombone), è partita una prima sessione di registrazioni di 4 giorni.
E come è andata questa prima “fusione”?
Senza mai aver provato in precedenza ne sono uscite ben 4 tracce. Dal primo momento abbiamo creduto di poter dire la nostra, di volerci proporre. L’entusiasmo è stato tale che ci siamo incontrati nuovamente a novembre scorso presso lo stesso studio, stavolta con altri due nuovi componenti: Cesare Mecca (tromba) e Alessandra K. Soro (voce) dove con uguale entusiasmo e passione abbiamo registrato altri 4 brani sempre in 4 giorni.
Testo e foto a cura di Maurizio De Costanzo
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