Uber, azienda leader nel settore dei servizi di mobilità, ha stretto una collaborazione con il Touring Club Italiano, istituzione storica dedicata all’esplorazione e alla promozione del patrimonio culturale e naturale del nostro Paese.
Fondato nel 1894, il Touring Club Italiano ha da sempre avuto come missione quella di incoraggiare l’esplorazione e la conoscenza delle bellezze italiane, attraverso guide, mappe e iniziative culturali. Un vero e proprio baluardo della cultura italiana, che conta oggi circa 200.000 soci e collabora con enti e istituzioni per la salvaguardia e la valorizzazione del nostro patrimonio.
La collaborazione tra Uber e il Touring Club Italiano è orientata a far scoprire luoghi storici unici e poco conosciuti nelle principali città italiane – Roma, Milano, Napoli, Palermo e Torino, dove è attivo il servizio Uber – tra ville, musei, chiese e altre iconiche destinazioni. Luoghi che raccontano storie affascinanti e rappresentano vere e proprie gemme del nostro patrimonio culturale, ora facilmente raggiungibili anche con Uber.
“Il nostro obiettivo con questa collaborazione è offrire un’opportunità senza precedenti per scoprire o riscoprire l’Italia“, afferma Lorenzo Pireddu, General Manager di Uber Italia. “Con l’esperienza e la passione del Touring Club Italiano, possiamo aiutare residenti e turisti a connettersi con le radici culturali del nostro paese in modo semplice e conveniente“.
A partire dal mese di ottobre sarà disponibile in app la prima di una serie di destinazioni esclusive, selezionate e gestite dagli esperti del Touring Club Italiano, parte del patrimonio artistico e culturale di alcune tra le maggiori città italiane. Pertanto sarà possibile prenotare delle corse, tramite l’app Uber, verso luoghi affascinanti, spesso fuori dai circuiti turistici tradizionali, godendo di un’esperienza autentica e arricchente.
Questo accordo rappresenta un nuovo capitolo nella storia di entrambe le organizzazioni, unendo innovazione e tradizione in un progetto che celebra e valorizza le ricchezze del nostro Paese. Uber e Touring Club Italiano invitano tutti gli appassionati di storia, cultura e viaggi a partecipare a questa straordinaria avventura, alla scoperta degli angoli più segreti e affascinanti d’Italia.
PALERMO – Inaugurato il 9 dicembre del 1795, all’inizio era piccolo, ma piano piano continuò a ingrandirsi includendo il boschetto esotico, con specie provenienti da lontano, e il giardino d’inverno con le serre, molto utili in caso di temporali o piogge improvvise, o per ritrovare tepore nelle rare giornate di freddo invernale. In dieci ettari di superficie ci si può perdere ma è lo stesso Orto a dare un senso alla passeggiata. È infatti schematicamente suddiviso in settori, il più antico dei quali è quello ordinato secondo il sistema di Linneo e risale alla fondazione, ma non mancano anche aree geografiche o specializzate in alcune specie come il palmetum e i sistemi acquatici. Nonostante i suoi due secoli e mezzo di storia l’Orto Botanico palermitano continua a evolvere e non solo perché le piante crescono ma perché è diventato epicentro culturale per tutti gli appassionati di natura e di arte. Ne è una dimostrazione l’inaugurazione, pochi anni fa in occasione della Biennale europea di arte contemporanea Manifesta, della Biblioteca Radicepura che ospita volumi proprio dedicati alla relazione tra arte e natura. Poco distante l’Herbarium Mediterraneum Panormitanum fondato nel 1789 che conserva oltre 200mila campioni di piante essiccate che è consultabile anche online. A ulteriore dimostrazione che Palermo rispetta e valorizza il suo passato, ma è aperta sempre al futuro. Sicuramente piacerebbe ancora a Oscar Wilde.
TORINO
Incastonata sulla collina che domina Torino nel quartiere borgo Po, a un chilometro dalla chiesa della Gran Madre, dall’inizio del Seicento Villa della Regina costituisce l’obbligato fondale della città. Come in un gioco di specchi, tutti la guardano e da quassù i fortunati che ci hanno vissuto guardano tutti, con in più la possibilità di spaziare con lo sguardo ancora oltre, fino alla quinta scenica delle Alpi innevate che cinge la città.
Costruita sulla collina torinese dal Principe Cardinale Maurizio di Savoia, figlio del Duca Carlo Emanuele I, per la sua costruzione si ispirarono al modello delle ville romane: una casa di delizia e un vasto terreno intorno, con un giardino non solo per passeggiare e godere della natura, ma anche per coltivare. Progettata nel 1615 dall’architetto romano Ascanio Vitozzi, il progettista del Palazzo Reale di Torino, che però morì nello stesso anno, la Villa venne originariamente concepita come sontuosa residenza di campagna con annessi vigneti dagli architetti Carlo e Amedeo di Castellamonte. Ma nei secoli ha subito diversi rimaneggiamenti, tra cui quelli dei grandi architetti di Casa Savoia del Settecento, come Filippo Juvarra – convocato per volere di Anna Maria di Orléans, moglie di Vittorio Amedeo II – e Giovanni Pietro Baroni di Tavigliano. A Juvarra si deve il rifacimento del salone principale, e a quel periodo risale anche la costruzione dei quattro curiosi gabinetti, uno per ogni angolo del palazzo. Ambienti particolari perché tutti di ispirazione orientale, con carte da parati, paramenti e mobili alla cinese. Entrata a far parte del patrimonio personale delle Principesse e Duchesse della famiglia, venne soprannomina Villa della Regina quando i Savoia divennero Casa reale. Ma la Villa non ha sempre ospitato teste coronate, anzi. Poco dopo l’Unità d’Italia, quando la corte si trasferì a Roma, Vittorio Emanuele II donò Villa della Regina all’Istituto per le Figlie dei Militari, che dal 1869 la trasformò in una scuola riservata alle orfane di guerra e alle figlie di invalidi e decorati al valore, che potevano così sentirsi piccole regine. Ma il destino è sempre in agguato, e l’istituto delle orfane di guerra nel 1943 venne bombardato e gravemente danneggiato. Così gravemente che venne di fatto abbandonato, fino a quando, nel 1994, la Villa fu affidata al Ministero per i Beni Culturali e Ambientali. E oggi è iscritta nella lista del Patrimonio dell’Umanità Unesco, come parte delle Residenze Sabaude.
Ci sono voluti anni di restauri prima di aprirla al pubblico, nel 2006 (oggi si può visitare dal giovedì alla domenica e nei festivi). In quegli anni si è provveduto anche a risistemare il giardino all’italiana su tre livelli, con i padiglioni aulici – tra cui quello dei Solinghi, a forma di pagoda, dove i padroni di casa erano soliti riunire circoli intellettuali –, le grotte, i giochi d’acqua del parco e anche l’ettaro di vigneto urbano che oggi produce circa 5mila bottiglie di Freisa di Chieri Doc, l’unico prodotto e imbottigliato a Torino. Un vino indubbiamente regale.
ROMA
Al Flaminio c’è una sorprendente raccolta di arte neoclassica, la casa-museo di Hendrik Christian Andersen
Uno dei grandi pregi di Roma è che per quanto la si possa conoscere, riesce sempre a stupire, rivelando a ogni occasione nuovi straordinari luoghi da visitare. Siamo in via Pasquale Stanislao Mancini, al quartiere Flaminio, tra il lungotevere e Villa Borghese. Explora-il Museo dei Bambini a due passi, poco più lontano c’è il Museo nazionale Etrusco. Qui sorge una palazzina rosa, in stile liberty, un edificio elegante e garbato del primo Novecento. Era l’abitazione e lo studio di Hendrik Christian Andersen, scultore e urbanista di origine norvegese, ma americano e poi italiano d’adozione. Un nome molto simile a quello dell’autore della Sirenetta, lo scrittore e poeta danese Hans Christian Andersen, ma certamente meno conosciuto.
Nato a Bergen nel 1872, da piccolo emigrò con la famiglia negli Stati Uniti, a Newport (Rhode Island), studiò a Boston e poi da adolescente venne in Europa. Lui che non era un bambino apparentemente portato per lo studio e le arti, anzi si distingueva per l’irrequietezza e spesso era coinvolto in risse, nel Vecchio Continente scoprì il mondo dell’arte e ne fu rapito. Proseguì gli studi prima a Parigi e poi a Roma, dove si stabilì all’età di 25 anni e dove sarebbe rimasto fino alla morte, nel 1940.
A Roma il giovane Hendrik fu folgorato dalla perfezione delle sculture di Michelangelo. E probabilmente fu sempre Roma, culla delle arti classiche, capitale del mondo antico e della cultura, ad avergli ispirato il sogno-progetto della Capitale mondiale della Comunicazioni, un luogo in cui sarebbero dovute confluire tutte le arti, le scienze, le leggi create dall’uomo e che avrebbe irradiato pace e prosperità sull’intero pianeta. Artista-filosofo, Hendrik Christian Andersen credeva fermamente che l’arte avesse la funzione di portare pace e armonia e potesse migliorare l’umanità.
Tutta la sua produzione artistica, composta da grandi sculture monumentali, gessi, terracotte policrome, bronzi, ma anche dipinti, disegni e bozzetti, asseconda e segue questa filosofia. Sono circa 400 opere custodite all’interno di questa palazzina romana, da lui fatta costruire fra il 1922 e il 1925, chiamata Villa Hélène in ricordo della madre, cui era molto legato, e oggi diventata una casa museo aperta al pubblico di proprietà dello Stato italiano.
Al piano terra si trovano due grandi atelier con le opere dell’artista, al primo piano la sua abitazione, ora utilizzata per incontri, letture, mostre temporanee dedicate ad artisti dall’Ottocento a oggi. Ci si sente più in una casa privata che in un museo, nonostante la quantità e la grandiosità delle opere. Si percepisce chiaramente come questo fosse un luogo in cui l’arte veniva pensata e creata, non solo dove oggi è conservata.
Accanto alle sculture di soggetto mitologico classico e a quelle di stampo religioso ne troviamo molte di intento simbolico, come la Famiglia, la Preghiera, la Gioia di Vivere, tutte appartenenti al gruppo scultoreo della Fontana della Vita. Quello della fontana è un tema ricorrente nell’arte di Andersen, sia per la sua valenza filosofica – è il luogo da cui scaturisce l’acqua, quindi la conoscenza –, ma anche come il monumento che più di ogni altro si poteva abbellire e arricchire con statue. Il progetto della Fontana della Vita ne prevedeva ben 48, in gran parte realizzate e presenti nel museo. Non mancano i gessi che ritraggono illustri contemporanei, come l’esploratore italiano Umberto Nobile e lo scrittore inglese Henry James, entrambi amici dell’artista.
Nella casa museo, che ospita anche opere di artisti e fotografi suoi contemporanei, amici e conoscenti, è inoltre possibile vedere alcuni progetti urbanistici della Capitale mondiale delle Comunicazioni, che Andersen aveva immaginato nei pressi di Fiumicino, e anche alcuni modellini e plastici di edifici della città utopica che sarebbe stata una presenza costante nella sua vita artistica, un sogno sempre inseguito e mai accantonato.
NAPOLI
In omaggio alla prima ferrovia italiana inaugurata nel 1839 alle falde del Vesuvio, a Pietrarsa (Napoli) c’è il museo ferroviario dei primi convogli.
Qui si trova pure il plastico Trecentotreni. Perfettamente funzionante, ha un’estensione di circa 40mq e rappresenta le stazioni di Firenze Santa Maria Novella e Bologna Centrale. Fu realizzato da un ferroviere nell’arco di ben 15 anni e prima di venire ospitato a Pietrarsa si trovava presso la stazione Termini di Roma. Il museo è aperto mercoledì su prenotazione e da giovedì a domenica con orari diversi.
Info: fondazionefs.it.
Nel 1840 re Ferdinando II di Borbone avviò la costruzione, proprio a Portici, del Reale Opificio Meccanico, Pirotecnico e per le Locomotive, un’area di 36mila metri quadrati dove sarebbero stati costruiti i primi convogli ferroviari italiani. Questo luogo unico al mondo è oggi la sede del Museo Nazionale Ferroviario di Pietrarsa, che custodisce la storia delle Ferrovie Italiane a partire da quel lontano giorno del 1839 fino a oggi.
Il museo non è unico solo per dimensioni e spettacolarità dei reperti conservati – nel suo genere è il più importante in Europa – , ma anche per la sua posizione panoramica a due passi dal Vesuvio, affacciato sul golfo di Napoli e sulle isole di Capri e Ischia, e circondato da un meraviglioso giardino botanico con piante provenienti da tutto il mondo.
Uno degli elementi caratterizzanti del museo è la memoria di quel primo viaggio, con una riproduzione della locomotiva Bayard del 1939 e un’attrazione multimediale in realtà aumentata che permette di riviverne il viaggio inaugurale. L’intero percorso espositivo è un viaggio nell’evoluzione tecnologica dell’ingegneria ferroviaria, che consente di ammirare veri e propri gioielli della tecnica italiana: fra gli altri, le prime locomotive a vapore saturo, quelle a vapore surriscaldato, i primi locomotori a corrente alternata trifase e la locomotiva E 444, la famosa Tartaruga, che a dispetto del nome poteva raggiungere i 180 km orari e fino alla fine degli anni Ottanta fu l’ammiraglia delle locomotive italiane.
Se le locomotive esposte permettono di conoscere l’evoluzione tecnologica, le carrozze sono invece un elemento dove si possono scoprire l’estetica e il gusto delle varie epoche: a colpire sicuramente l’attenzione dei visitatori è la carrozza 10 del Treno reale costruita dalla Fiat nel 1929 per le nozze di Umberto II di Savoia con Maria Josè del Belgio, il cui allestimento interno è straordinariamente fastoso.
MILANO
In corso Magenta, per scoprire gli affreschi rinascimentali della chiesa di S. Maurizio
I milanesi camminano veloci per corso Magenta con lo smartphone all’orecchio. I turisti marciano disciplinati verso il Cenacolo di Leonardo con lo sguardo fisso avanti: hanno la cupola bramantesca di S. Maria delle Grazie come lontano (e invisibile) riferimento. Per tutti, come per le signore chic del quartiere in cachemire e filo di perle, il portone del numero 15 è un fastidioso restringimento: gli otto scalini arcuati costringono a rallentare il passo mentre a pochi centimetri sfilano sferragliando gli storici tram crema e giallo nati nel 1928 che stupiscono gli stranieri. Nei secoli scorsi il padre dell’estetica vittoriana John Ruskin e lo scrittore francese Standhal, milanese d’adozione per eccellenza, quei pochi gradini in granito li hanno invece saliti. E si è disvelato loro lo straordinario interno della chiesa di S. Maurizio al Monastero Maggiore che ha in Bernardino Luini il suo genius loci. Luini vi operò con la sua scuola dal 1522 al 1529, ritraendo storie di santi, parabole, episodi della vita di Cristo e biblici. Un capolavoro della pittura rinascimentale lombarda mirabile ed emozionante, una galleria di volti, scene, quadri e affreschi che Vittorio Sgarbi ha definito la Cappella Sistina di Milano.