Elvis Presley, Frank Sinatra, Tom Jones e Billy Joel. Alfio Bonanno, cantante italo-australiano amato a New York ha trovato da anni il suo repertorio di riferimento nel pop a stelle e strisce. Che mischia con dovizia da intenditore (suona il piano) con la classica canzone italiana da esportazione, quella che va da Pavarotti alla melodia napoletana.
Alfio, nativo di Sydney, ha oggi una delle più grandi voci della musica contemporanea. Questo tenore crooner altamente carismatico offre una rilettura rinfrescante e moderna ai leggendari cantanti a cui viene spesso paragonato. Da quando l’abbiamo visto a Domenica In da Mara Venier ci siamo incuriositi alla sua storia e oggi ce la racconta.
Alfio qual è il tuo background?
Sono nato e cresciuto in Australia in un ambiente di origini italiane ma ho sempre parlato l’inglese ovviamente. Mio nonno era arrivato lì da Messina, nel 1956, ho ancora il biglietto di imbarco conservato. Pensa, ci aveva messo 34 giorni. Da quando giro il mondo la mia patria australiana e il mio patrimonio italiano non si allontanano mai dal mio cuore e dalla mia musica.
Con l’Italia che rapporto hai?
Sono stato un bimbo di padre siciliano e madre calabrese quindi puoi capire che tradizioni forti ho respirato. Però poi a una tradizione che arrivava dall’Italia mi sono ribellato proprio mentre studiavo voce a Parma, sulla strada per diventare un tenore. Avvertivo i vincoli di quella particolare direzione musicale. Poi avevo voglia di spaziare tra la classica, la contemporanea e anche un forte desiderio di cantare canzoni composte da me. In questo modo ho pensato di poter raggiungere un pubblico veramente multi-generazionale, che è quello che mi interessa.
Che repertorio esegui in pubblico oggi?
Andrea Bocelli, Tom Jones e Celine Dion sono tra i miei preferiti. Quando mi esibisco sono libero di portare l’audience in un viaggio musicale divertente, tra vocalizi e anche battute comiche, con canzoni in inglese, italiano o spagnolo. Tra i miei inediti c’è “Il Nostro Sogno”, una canzone sul desiderio di pace nel mondo che è stata registrata e pubblicata da altri artisti in tutto il mondo.
Hai conosciuto Luciano Pavarotti, che ricordi hai?
Avevamo un’amicizia in comune e quando si è esibito in Australia sono stato invitato a una cena di gala con la sua presenza. Mi dispiace non avergli potuto mai far sentire la mia composizione “Voce Pura” che per me è un amorevole tributo alla sua arte. Era il 2006 e quando l’ho finita di scrivere in seguito a quella cena, mancavano poche settimane al suo aggravamento dello stato di salute.
Sei stato anche molto vicino alle vittime dell’11 di settembre 2001 a New York. Ci ricordi il tuo contributo?
A dieci anni da quel nefasto giorno ho pubblicato “The Power of One: 9/11 Unity and Hope”, un tributo musicale che ha composto e prodotto in ricordo del decimo anniversario. Il sindaco di New York Mike Bloomberg è stato così commosso da questo tributo che “The Power of One” sarà un’installazione permanente nel National 9/11 Memorial and Museum.
Come sei accolto dalla comunità italiana nella Grande Mela?
Canto ogni anno al gala della National Italian American Foundation per migliaia di persone a Washington DC. Sai, nei tempi d’oro ci andavano Pavarotti, Stallone, Sinatra. Peccato che quest’anno sia saltato per la situazione che c’è nel mondo. Per me che sono arrivato a New York 13 anni fa da nuovo abitante è un grande onore. Sono bravissime persone americane che hanno deciso di non dimenticare le loro origini italiane, e ne sono orgogliose nei loro campi diversi. Ho cantato anche per strada a contatto con la gente al Columbus Day ed è stata un’emozione ancora diversa.
RImpiangi l’Australia?
Guarda, qui ci sono 350 milioni di persone e 20 milioni tra queste hanno origini italiane. Quindi per me è un mercato molto più grande. Se poi ci aggiungi tutti gli altri che provano simpatie per gli italiani, gli studi dicono che arriviamo a 100 milioni. Che è una cifra enorme e significa molte opportunità. In Australia vivono 25 milioni di persone, tutte molto brave, devo riconoscere. Ma credo che viga ancora la ‘tall poppy syndrome’ lì. Cioè, la gelosia nei confronti di chi ha più successo di te.
Un suggerimento che hai seguito nella tua vita?
Quando ho ascoltato un mio amico che mi ha detto: ‘Non devi cambiare il tuo show ma cambiare il tuo pubblico’. E da allora ho fatto fortuna nella musica.
Dove ti piace andare di più a New York quando sei libero?
Conosco Ernesto Rossi, lui è un imprenditore simbolo di Little Italy e ha un negozio di cucina e decori all’italiana che è un punto di riferimento. Vende anche le classiche bomboniere, penso l’insegna sia rimasta lì per 130 anni. Poi mi piace girare tra Chelsea ed Hell’s Kitchen e andare a passeggiare sulla Highline.
Cosa ascolti nel tuo tempo libero?
Se ho la possibilità vado a vedere concerti dei miei eroi in musica. Ho visto concerti di Andrea Bocelli, Elton John, Celine Dion. A casa ascolto molto pop internazionale mentre se sono con i miei genitori, quando li rivedo, riprendiamo le vecchie canzoni italiane, quelle di Domenico Modugno, Massimo Ranieri e ovviamente Pavarotti.
Hai un sogno?
Ho cantanto per gli italiani nel mondo ed è stato sempre bellissimo. Ma vorrei esibirmi per una grande platea di italiani in Italia.