“Quello che mi piace al giorno d’oggi è che puoi diventare qualcuno anche al di fuori dalla tv”. A dirlo è Alessio Bernabei, idolo di milioni di fan italiane dopo l’enorme popolarità televisiva con il suo gruppo Dear Jack. Da cui si è distaccato per intraprendere una coraggiosa carriera solista.
“Quello del merito è un concetto – precisa – che a volte può essere inteso a mio discapito perché io stesso sono uscito da un talent show. Ma sono a favore della musica, aldilà delle istituzioni. Ho visto che molte persone sono uscite dal nulla, come Coez, e fanno la loro strada. Li ammiro molto, con il solo aiuto della propria musica riempiono i palazzetti”.
Oggi Bernabei esce con un album, “Senza filtri” che dichiara essere un ritratto conciso di quello che voleva rappresentare di se stesso.
Come ricordi i tuoi esordi nel 2013 ad “Amici”?
Il mio era un periodo storico difficile per le nuove band, ho preso un talent come modo di imparare e ho ottenuto il mio obiettivo che è quello di lavorare nella musica. Ci sono riuscito e la nuova prova per me è continuare su questa scia.

Oggi ti senti in un ambiente diverso?
Stiamo tornando alla meritocrazia di una volta, chi vale sta ottenendo successo. Sono amante della new retro-wave che prende spunto dal passato e lo adatta ai giorni nostri. È anche un momento opportuno per farmi risentire dal mio pubblico. È un po’ di tempo che non tornavo sul mercato, era dal 2016 con Noi Siamo Infinito che ho portato a Sanremo che non pubblicavo un disco. Il nostro intento era di uscire ogni anno, ma l’anno scorso ho mancato, perché avevo esigenze personali di scrivere cose che mi rappresentassero al meglio. Due pezzi sono usciti ma non fanno parte di questo progetto.
Cosa è successo l’anno scorso?
Nel 2017 ho ritrovato me stesso, ho preferito scrivere e non avevo ancora riscoperto chi fossi. Ho fatto una ricerca musicale. Ho riprodotto più fedelmente quello che sono in questo periodo della mia carriera. Me la sentivo, è un album breve e conciso per il mio pubblico. L’elettronica c’è ma io ci sento anche molta strumentazione acustica. È meno EDM come due anni fa, ho riferimenti anni 80 come nel pezzo “Non ti preoccupare” e “Ti ricordi di me” che strizza l’occhio al mondo indie di oggi. Ho usato l’elettronica in maniera differente.
Quindi sei amante del vintage?
Ma certo mi vado a risentire tutti i Michael Jackson e David Bowie. Mi vado a rivedere i modelli delle macchine, i video di Billy Idol, sono molto interessato a quel periodo. A volte penso che sarei dovuto essere lì in quei momenti, mi raccontano che le persone erano anche più felici. Oggi si vive anche l’amore in un altro modo. Ma come i nostri nonni hanno accettato le tv noi dobbiamo accettare le nuove tencologie.
Come sei cambiato?
Se non avessi la musica davvero sarebbe peggio. I social hanno sminuito le emozioni, secondo me. Chiamavi a casa di una ragazza, magari ti rispondeva il padre. È tutto più diretto e facile, ma senza brivido. Ho viaggiato anche molto, sono stato in America e sono cambiato. Mi ha fatto bene vedere altri punti di vista, mi sono aperto a livello musicale. Ho ascoltato dalla trap al reggae e anche tutto quello che ho sentito a New York mi ha formato.

Hai una canzone preferita nel disco?
“Ti ricordi di me?” è molto personale, è parte di me e mi fa ricordare il sorriso del mio passato, il nome me lo porto dietro, che è quello di Jack. Infatti ho due nomi, senza rimpianti e ne sono orgoglioso.
In un altro singolo c’è una metafora calcistica.
Messi e Ronaldo l’ho usata come metafora per indicare i numeri uno. Perché nello sport ci sono i grandi, che io non seguo, ma mi servono come un paragone per gli amanti che si vogliono bene in modo assoluto. Una cosa sentimentale, un’idea nuova, nessuno credo abbia fatto questo parallelismo in Italia.
E tu, vuoi essere numero uno?
Ho ambizione, certo. Vorrei esserlo per me stesso, è tosta dire sono arrivato e ho raggiunto la perfezione. Ovvio, sono stato un bambino che dopo la scuola si metteva in garage e suonava, se penso a quello ho fatto progressi. Poi con la maturità gli orizzonti cambiano. Se ci fosse sempre lo stadio pieno sarebbe appagante, certo, ma a qualunque livello, se fai quello che ami, sei arrivato. Ci sono dei musicisti che sono in pace con se stessi anche suonando nella cover band come hobby.
Come vedi la tua carriera oggi?
Sono tornato indietro a fare le tappe. Mi sono trovato a fare gli stadi dopo “Amici”, e poi i palazzetti. Per il prossimo tour vorrò fare posti piccoli ma pieni. Prendo tutto con filosofia, e finalmente mi dico che ora affronto le tappe che ho bruciato prima. E le faccio con impegno e tanta voglia, forse più di prima.

Dove hai inciso il disco?
L’album l’ho creato qui a Milano, tutti i precedenti li facevo a Tarquinia, sul mare, in Lazio. Ovviamente l’atmosfera è diversa, andando a vivere da solo, andare a fare la spesa, dal tatuatore, ma l’ambiente è diverso. In centro al Duomo con gli amici, è stato necessario farmi uscire, avevo un blocco artistico. A un certo punto mi sono chiesto: ma sono ancora capace di scrivere? Anima Gemella mi è stata di aiuto, quella è la canzone che mi ha fatto entrare nel talent in tv. E perché a 23 anni mi sono trovato a fare tutto e poi da lì sono arrivate le insicurezze.
Dialoghi molto con i tuoi fans?
Pensa che io ho iniziato subito a incontrarli, dopo “Amici” facemmo una maratona di 50 firmacopie nei negozi d’Italia. Il mio pubblico è la cosa più bella che ho di questa avventura. Lo zoccolo duro resta lì vicino a te e ti restano accanto anche quando non escono cose forti. Lo so che chiedono anche ad amici in comune sui social, informazioni su di me. Ti seguiranno sempre, le ho prese alcune che erano alle scuole medie. Sono cresciute con me, ora sono maggiorenni, le persone che ti seguono per la moda talent sono scomparse, ma poi quelle legate restano. Credo che mi amino, sia a 21 anni sia con le cose più alternative che ho fatto. L’obiettivo è quello di allargare il bacino e averli tutti fedeli tanto da riempire uno stadio.