Con 24 debutti provenienti da Italia, Inghilterra, Svizzera, Messico dal 6 al 17 gennaio 2020 al Mattatoio – Pelanda, con serata finale al Teatro Vascello il 24 gennaio, torna la versione invernale del Roma Fringe Festival, quest’anno alla sua 8° edizione.
Una vetrina di teatro indipendente unica nel suo genere, con 6 spettacoli differenti a sera alternati su 2 palchi, proponendo solo ed esclusivamente spettacoli mai andati in scena a Roma, con una tassativa parola d’ordine: indipendenza.
La maggior parte degli spettacoli in scena al Roma Fringe Festival 2020 sono prime nazionali assolute, selezionate dalla commissione artistica guidata da Fabio Galadini: “pezzi unici”, tra commedia di tradizione italiana, comicità, noir, drammi, teatro civile e commedie, per raccontare un paese e una società dalle tante e complesse sfaccettature, offrendone uno spaccato non solo teatrale ma anche sociale, politico e storico. Con particolare riferimento al tema dell’inclusione e della diversità.
A ospitare l’8° edizione, la seconda nella versione invernale del Roma Fringe Festival sarà uno dei quartieri nevralgici della città, Testaccio, negli spazi del Mattatoio – La Pelanda: uno splendido esempio di architettura industriale di fine Ottocento, un luogo funzionale alle diverse drammaturgie che si presta con duttilità e agevolezza agli spettacoli in concorso, che offriranno al pubblico idee e spunti originali, intelligenti e indipendenti.
Un evento che si replica in ogni capitale culturale del mondo.
Nato nel 1947 a Edimburgo (UK), conta oggi circa 240 festival annuali, dall’Australia agli Stati Uniti, dall’Asia alla nostra Europa.
Per capire che cos’è il Fringe e cosa rappresenta per il settore delle arti sceniche basta dare un’occhiata ai numeri: ogni anno, 19 milioni di persone in tutto il mondo vedono 170 mila artisti replicare 79 mila spettacoli.
Una vera e propria fucina di talenti, ma non solo. Sono moltissimi, infatti, gli attori affermati che vogliono provare l’ebbrezza e l’emozione di un contatto diretto con un pubblico schietto e verace. All’estero, negli oltre 60 anni di vita, il Fringe è stato scelto come palco da attori del calibro di Ewan McGregor, Hugh Jackman, Tim Roth e Hugh Grant.
Roma Fringe Festival 2020 conferma la sua visione di osservatorio organizzando una sessione di dibattito Fringe Talk presieduto da Ferruccio Marotti che si svolgerà al Dipartimento di Architettura dell’Università Roma 3 nei giorni 21 e 21 gennaio, dal titolo “Politiche di sviluppo del Terzo Teatro in Italia e in Europa”. Il Roma Fringe Festival si svolgerà presso il Mattatoio – La Pelanda a Roma dal 6 al 17 gennaio 2020 e la finale è prevista il 24 gennaio al Teatro Vascello di Roma. www.romafringefestival.it
In foto d’apertura: lo spettacolo “Come sto” fotografato da Sabina Marru.
SCHEDE
A QUEL PAESE
Anfiteatro Sud
proveniente da
Catania
regia
Francesco Civile e Daniel Dwerryhouse
drammaturgia
Francesco Civile
con la collaborazione drammaturgica di
Daniel Dwerryhouse
con
Francesco Civile e Daniel Dwerryhouse
In una grande e caotica città vive Bruno Silenti, un uomo riservato e abitudinario. Allontanatosi dalla donna che ama, ora vorrebbe riconquistarla, ma il suo orgoglio gli impedisce di farlo. Un giorno, durante la sua classica coda settimanale all’ufficio postale, incontra un uomo, Felice Speranza. Il nome è tutto un programma: socievole, estroverso ed anche un po’ sbadato, è praticamente il suo opposto ma, proprio come Bruno, non riesce a dichiararsi alla donna di cui è innamorato da sempre. Felice ha anche un fratello gemello, Sasà, da tutti considerato il matto del villaggio. Per via di uno scambio di oggetti Bruno dovrà sconvolgere i suoi soliti programmi, raggiungere Felice nel paese in cui vive e imbattersi nella particolare figura di Sasà. Ma proprio quando le cose sembrano prendere una strana piega, ecco che l’imprevisto diventa sorpresa e ciascuno scopre di poter trovare molto di più quello che sta cercando.
“A Quel Paese” è una commedia che affronta, tramite l’equivoco e l’imprevisto, la lotta alla routine e la differenza tra esistere e vivere. Attraverso un’altalena di emozioni e tramite l’incontro di personaggi eccentrici, il gioco ed il ritmo si sviluppano e diventano la base di tutto lo spettacolo. I costumi, gli oggetti ed anche gli elementi scenografici sono di natura essenziale, eliminando totalmente il superfluo e lasciando spazio totale agli attori e alle situazioni della commedia, all’interno delle quali, a tratti vengono coinvolti in modo diretto anche gli spettatori. Un gioco tra attori, personaggi e pubblico che si pone come obiettivo principale quello di far sorridere ma anche di pensare.
ANTIGONE
Collettivo Imperfetto
proveniente da
Roma
regia e drammaturgia
Alessandro Anil
con
Sofia Taglioni, Giovanni Serratore, Francesco Lamantia, Piero Cardano, Angelica Prezioso
luci e tecnica
Roberto Di Maio
Il punto di partenza di questo lavoro è stato nell’indagare il contatto fra una tragedia scritta agli albori
della civiltà occidentale e il nostro presente, non solo a livello tematico, ma anche formale. In altri termini, questo ha voluto dire indagare la tipologia di teatro che è stata la tragedia ai tempi della Grecia e fare in modo che questo nucleo si possa aprire nel qui e ora. Da ciò è nata l’inevitabile esigenza di creare una micro-comunità, attraverso l’incontro fra attore e spettatore, all’interno di ciò che oggi può svolgere il ruolo più vicino a un rito sociale; e in un secondo momento calare progressivamente la tragedia all’interno di questa particolare cornice situazionale.
Per questo motivo lo spettacolo ha assunto il carattere di un convivio, un incontro fra una conferenza
e l’ultima cena, dove il pubblico inizia a far parte dello spettacolo, gli attori raccontano se stessi, le proprie storie, scherzano, offrono da bere e da mangiare, s’interrogano sui vari temi, improvvisano sul testo in base alla conversazione occasionale e lentamente si iniziano a definirsi i personaggi secondo i loro modi e le differenti posizioni sugli argomenti. È in questa situazione apparentemente festante che si sviluppa la tragedia.
Lo spettacolo ha iniziato a svolgersi in un contesto puramente performativo, aperto a continui cambiamenti in base alle persone, alle loro vite in quel determinato momento e alle situazioni di volta in volta create. Il carattere imprevedibile che nasce dalla richiesta fatta agli attori di ancorare ogni parte del testo, ogni situazione, al presente del qui e ora, ricreando così l’unica possibile via di microcomunità, è stata la ricerca estetica del progetto. A questo siamo stati sempre fedeli. Una fedeltà che nasce dal progetto stesso. Hegel dice dell’Antigone “La manifestazione più pura di un’individualità che abbiamo in occidente.”
ASSEMBLAGGIO
Essenza Teatro
proveniente da
Roma
drammaturgia
Leonardo De Castro
regia
Paolo Perelli
con
Rita Anselmi, Livia D’Ingegno, Ludovica Resta, Alma Valenzuela
aiuto regia
Federica Balducci
video maker
Ivan Gasbarrini
Cinque maestre, bendate e legate assieme, danzano come ingranaggi su cinque cubi. Una di loro però non riesce ad incastrasi alle altre. Sia per il suo comportamento che, soprattutto, per la sua curiosa ricerca di un altro “cubo”. La sua inadeguatezza, i suoi dubbi e la sua curiosità la portano a cercare di levarsi la benda, ma la luce è troppo forte. Dopo aver trovato un sistema per abituarsi alla luce, vede tutto. Capisce la sua e la situazione delle colleghe, e vede il sesto cubo. Cerca di convincerle di ciò che vede, ma nessuna l’ascolta. Alla fine decide di slegarsi da sola e, nel caos che crea, leva la benda ad una sua collega. Vuole andarsene, ma vedendo le altre maestre spaesate tentare di risalire sui cubi, decide di restare per aiutarle a vedere.
Se è vero che finalmente, oggi, molti possono dire di sentirsi liberi; capaci di dire tutto quello che vogliono ed accedere a qualsiasi cosa, è vero anche che la libertà ha un prezzo.
COME STO
Batisfera
proveniente da
Cagliari
regia e drammaturgia
Angelo Trofa
con
Valentina Fadda e Angelo Trofa
scenografia
Sabrina Cuccu
costumi
Sabrina Cuccu e Adriana Geraldo
attrezzeria
Simona Passi
foto
Sabrina Murru
co-produzione
Akroama – Sardegna Teatro
Quotidianamente siamo assediati dalla domanda “Come stai?”. Una gentilezza di circostanza, una domanda affettuosa o semplicemente una mera formalità che lascia aperto un problema profondo: Come sto? Sto bene, sto male, abbastanza bene, abbastanza male. La domanda è troppo banale per rispondere con tutta la complessità necessaria o è troppo complessa per rispondere con tutta la semplicità necessaria. Come sto è un dialogo sconnesso, un fiume di parole dove stati d’animo, sensazioni, eventi e accidenti concorrono a dare risposta alla domanda “Come stai?”. Mille risposte possibili, tutte insieme, mescolate, in contraddizione. Come sto è uno spettacolo teatrale divertente, che alterna con ritmo serratissimo quadri dal colore diverso. Una struttura drammaturgica apparentemente aperta che lentamente irretisce lo spettatore e i suoi protagonisti con continui rimandi interni. Come sto parla della confusione umana, del senso di disagio nel ritrovarsi e capirsi, nel fluire di eventi e sentimenti. La spinta continua al presentarsi agli altri come persone di valore e di successo diviene quasi una corazza superficiale, che nasconde frustrazioni e pulsioni sconosciute. Un quadretto assurdo e definitivo, un fluire di parole per definirsi almeno per un attimo, per recintare temporaneamente il caos dilagante, tutto quel rumore che concorre a rendere difficile la risposta all’eterna domanda: “Come sto?”
CORRI
LofTheatre
proveniente da
Roma
di
Ferdinando Ceriani
dal best seller di
Roberto Di Sante
con
Sebastiano Gavasso
musiche composte ed eseguite dal vivo da
Giovanna Famulari
“Corri” è una storia che inizia con un uomo che precipita dal quarto piano: Aldo Amedei.
“Corri” è una storia che finisce con Aldo Amedei che, conclusa la maratona di New York, già pensa a quella di Tokyo.
In mezzo, il percorso faticoso, crudele, struggente del protagonista che lo porterà dal “pozzo buio” in cui era caduto (la depressione) alla scoperta che c’è nell’anima un posto dove covano sogni impossibili che non hanno il coraggio di schiudersi. Comincia così a correre, come un evaso braccato dai suoi incubi. Cade, si rialza. Cade ancora e si rimette in piedi. E ogni volta fa sempre più male. Ma non molla mai. Per amore e con l’amore di Teresa, la sua giovane compagna. Sputando l’anima lungo strade piene di fatica, angeli e avvoltoi. Tornando alla vita, alla passione, ai sogni. Una storia “anche” sulla corsa ma non solo, fatta di salite crudeli e discese dolcissime con la speranza che questo sogno realizzato da Aldo possa lanciare un filo magico a chi si è inabissato.
ENIO
Materiali per una terra perduta
Compagnia Exodos
proveniente da
Roma
progetto e regia
Luigi Saravo
con
Chiara Felici, Cristian Giammarini, Doron Kochavi, Daniele Santoro, Mariangeles Torres
Un viaggio attraverso la Turchia alla ricerca dei resti dell’antica Troia crea immagini che mescolano le antiche alle nuove guerre delle regioni del medio oriente.
Se dovessimo datare questo viaggio che il narratore svolge dovremmo partire dalla fine del settembre 2019 perché al termine del suo viaggio il narratore si troverà, anche senza nominarla direttamente, in Siria durante i dieci giorni di guerra partiti il 9 ottobre 2019 quando i turchi lanciano il loro attacco al popolo curdo.
Il narratore arriverà in questa guerra dopo aver attraversato tutta la costa turca dove avrà incontrato colonne di bambini in fuga e vivendo costantemente nella sua immaginazione il rapporto con le navi achee e i resti di quella guerra di tremila anni prima.
A questo percorso narrativo che, diviso in quattro sezioni, si sviluppa scenicamente in modo molto diretto, parlando con gli spettatori, si intessono quattro sezioni dove la guerra prende reale forma scenica attraverso quattro temi: il lutto, lo stupro, la battaglia e il ricordo.
Queste quattro sezioni più propriamente rappresentative si sviluppano mescolando il passato di una guerra arcaica con riferimenti al presente e sono di fatto assimilabili alla figura del narratore, come fossero immagini generate nella sua immaginazione e innescate dalle coordinate geografiche del suo viaggio.
La riflessione sulla guerra e sul popolo curdo viene quindi indicata senza esplicazioni dirette e restituzione di dati reali. Quelli rimangono disponibili a chiunque attraverso i canali d’informazione. Piuttosto le forme della guerra e del suo declinarsi a cavallo tra le suggestioni arcaiche e la storia dei curdi contemporanei, in particolar modo delle loro donne, si presentano come una zona d’azione libera da ogni conclusione ideologica e capace di restituire ai riferimenti utilizzati un respiro epico.
La forma scenica dello spettacolo sceglie una via di immediatezza ricercata a cavallo tra il rapporto diretto col pubblico e la costruzione di momenti scenici dal prevalente impatto visivo realizzati attraverso strumenti semplici e radicalmente teatrali.
GOODBYE MR. G
Aliens With Extraordinary Abilities
proveniente da
Roma/Londra
drammaturgia
Erica Paterniani
regia
Veronica Nolte
con
Valeria Iacampo, Giulia Martinelli, Veronica Nolte e Eric Paterniani
Il pubblico viene invitato a porgere ossequio alla veglia funebre del signor G. A causa del suo stato sociale non aveva molte amicizie, ciò nonostante guidati dalla curiosità o dalla noia gli abitanti del piccolo paese decidono di presentarsi. Padre Erminio Grillo inizia la sua eulogia ed invita tutti i partecipanti a condividere un breve racconto sul defunto. Veniamo così catapultati nell’immaginario del Signor G tra un racconto e l’altro: il prete è visto come un insetto schiacciato dalla propria figlia ribelle che veste i panni di un burattino testardo, due commessi viaggiatori come un gatto ed una volpe crudeli che la faranno cadere in tentazione delle droghe per poi abbandonarla impiccandola ad un albero, un’infermiera che si prende cura di lei ad un centro di riabilitazione come un fata turchina. I ricordi del signor G sono spesso mescolati a questa fantasia e spesso contraddetti dai presenti al funerale. Sarà il monologo finale della figlia stessa a far luce sui veri sacrifici che il padre ha fatto. L’attore che interpreta il Signor G, presenza costante per tutto lo spettacolo, osserva ed interagisce con gli altri tre attori in scena che si interscambiano rapidamente i vari ruoli.
Dovuto allo stile di scrittura cupo e sarcastico, con immagini vivide e grottesche lo spettacolo è generalmente sconsigliato ai minori di 13 anni.
I PERDENTI DI ACAPULCO
Lahire Tortora
proveniente da
Padova
studio su
“Acapulco” di Steven Berkoff
regia e drammaturgia
Lahire Tortora
aiuto regia e assistenza tecnica
Alessandro Romano
con
Lahire Tortora
In una squallida saletta del bar dell’Acapulco Plaza Hotel, facciamo la conoscenza di quattro attori piuttosto particolari, impegnati nelle riprese di “Rambo First Blood Part 2”, a noi universalmente noto come “Rambo 2”: il tormentato e ombroso Steve, che narra la vicenda a una invisibile ‘Milady’ capitata chissà come in quel posto, proprio come loro, il pignolo e vanitoso John, lo sboccato Will e il titanico Voyo. Sono quattro attori, di quelli che non finiscono mai sui giornali: lavorano come figuranti e comparse. Ci si potrebbe illudere di trovare in loro quell’umiltà che tradizionalmente non viene associata ai divi… ma ci rendiamo ben presto conto che la spacconeria e il narcisismo non risparmiano nemmeno i meno appariscenti di quest’ambiente.
Possibile che un drammaturgo potente e profondo come Steven Berkoff abbia scritto una pièce sul ruolo dell’artista all’interno della società utilizzando come spunto creativo il sequel di “Rambo”? Sembrerebbe proprio così, a meno di non voler catalogare tutto come un semplice divertissement: ma non dobbiamo stupirci, Berkoff con la sua impareggiabile scrittura drammaturgica è capace di tutto.
IL FILO SPEZZATO
Compagnia Arte&Mani – Deaf Italy Onlus
proveniente da
Roma
regia e drammaturgia
Dario Pasquarella
curatrice del testo in italiano e drammaturgia
Maria Sara Mirti
con
Dario Pasquarella, Davide Baia, Andrea Alberto
scenografia e costumi
Dario Pasquarella
luci e audio
Laura Rubin
In un appartamento qualsiasi, nascosto in una selva di palazzi malconci e anonimi, come tanti ve ne sono a Roma, due coinquilini, Dario e Davide, affiancati occasionalmente dal fidanzato di uno dei due, Andrea, che amano il teatro e che di teatro vorrebbero vivere, tentano almeno di sopravvivere: ci sono le bollette da pagare, la spesa da fare, c’è il nuovo spettacolo da scrivere. La storia comincia da qui. Quando Dario, regista e attore sordo, si sveglia, trova Davide, interprete di Lingua dei Segni Italiana oltre che Assistente alla comunicazione e anche lui attore, molto preoccupato: il mese volge al termine, i soldi sono finiti e se non metteranno in scena un bello spettacolo in fretta, non potranno nemmeno fare la spesa. Da dove s’inizia quando si vuole creare un bello spettacolo? Da un oggetto, propone Dario, tirando fuori mille oggetti tra cui un teschio e un pupo siciliano. No, s’inizia da una storia, incalza Davide, magari una storia importante e antica. Ma proprio mentre i due discutono si spegne la luce. Eppure la bolletta era già stata pagata! O no? Pian piano, litigando e punzecchiandosi a vicenda, discutendo di storie vere e d’ingiustizie sociali, cercando spunti tra gli oggetti e gli abiti che li circondano, i due riescono a mettere insieme un piccolo spettacolo, e pure una manifestazione di protesta, proprio lì, di fronte al tavolo apparecchiato per la colazione, illuminati dalle luci del portatile di Dario. Attanagliati come sono dalle preoccupazioni e dalle responsabilità di ogni giorno, nella penombra della stanza non si riesce più a distinguere gli uomini dai burattini: entrambi infatti sono legati a fili che li costringono a comportamenti obbligati, che non gli permettono di essere liberi. Se qualcuno tagliasse i fili cosa accadrebbe?
“Il Filo Spezzato” è uno spettacolo in LIS, la lingua dei segni italiana, e in Italiano.
IL FUNAMBOLO
Compagnia di Teatro per il Ticino e il resto del mondo
proveniente da
Svizzera
di e con
Ava Loiacono
consulenza registica
Diego Willi Corna
Lo spettacolo nasce da un progetto della compagnia Il Funambolo: “Se la gente non va a teatro, allora il teatro va alla gente”. Filumena – emigrata napoletana in Svizzera e amata interprete di “Voci d’Altre Terre”, “I viaggi di Gwendolyn” e “C’era una volta Broadway” – dopo una vita di sacrifici per la famiglia
“a fare la serva di casa, per tutta la famiglia, nipoti compresi, come una vaiassa” riprende in mano la sua passione per la musica e il “cabbaretto”. Decide di dedicarli a chi non può andare a teatro. Iniziano così le sue visite nelle comunità, negli ospedali, nei centri per anziani e dai malati di Alzheimer. Durante questi incontri si racconta e dialoga con il pubblico, affrontando temi come la solitudine, le dipendenze, i diritti delle donne, sempre con leggerezza ed ironia. È così che cattura il pubblico, anche quello apparentemente più “distante”. È accompagnata da Ava, l’attrice ventriloqua, (che un poco le assomiglia) e con la quale ha spesso discussioni appassionate. Questo progetto si è sviluppato come una nuova forma di commedia dell’Arte; uno spettacolo nello spettacolo, a cui si sono aggiunti altri complici di scena. Tra un dialogo e l’altro, si snodano canzoni napoletane, sketches, momenti di coinvolgimento del pubblico nel canto. Ancora una volta l’’illusione viene creata dal ventriloquismo, da quest’arte misteriosa che risale al 2000 avanti Cristo, all’oracolo di Delfi…
IL SOGNO DI GAGARIN
Appunti per uno spettacolo su ciò che sarebbe potuto essere e non è stato
Compagnia Malalingua
proveniente da
Roma
scritto da
Valeriano Solfiti e Anna Maria Piccoli
di e con
Valeriano Solfiti
aiuto regia e disegno luci
Valerio Bucci
Importa davvero che Armstrong e Aldrin abbiano messo piede sulla luna? Che loro l’abbiano fatto o no, non è davvero così importante; ciò che conta è che nell’immaginario collettivo noi vediamo Armstrong piantare la bandiera a stelle e strisce. E tanto basta. Un’immagine che ha direzionato la Storia. Un’immagine ben impressa negli occhi e nella mente di intere generazioni. Non importa a questo punto se davvero ci siano andati. Loro ce l’hanno mostrato. E Alzando gli occhi al cielo per osservare la Luna, sappiamo che lì sopra c’è la bandiera statunitense.
La verità è che ad allunare sono stati i sovietici!
Se il 27 marzo del 1968 Jurij Gagarin fosse sbarcato sulla Luna e avesse piantato la sua, di bandiera? Cosa sarebbe cambiato nelle nostre vite?
Lo spettacolo prende spunto da un avvenimento immaginario, la bandiera sovietica sulla Luna al posto di quella americana, per raccontare il sogno di un uomo, Jurij Gagarin, che nel 1961 circumnavigando la terra diventò una superstar globale, un’icona, l’uomo che ce l’aveva fatta e che aveva visto con i proprio occhi ciò che nessuno prima di lui aveva mai osservato.
Il sogno di un uomo che però in quegli anni è stato il sogno di tutta l’umanità. Il sogno di un uomo, di un popolo, di un’idea.
Dietro quest’avventura personale lo spettacolo si avventura nelle vicende della corsa allo spazio tra URSS e USA, dei successi e degli innumerevoli fallimenti, della sfida tra il sovietico Sergeij Korolev e il naturalizzato americano Wherner Von Braun, una sfida che ha spostato molto in alto l’asticella della conoscenza: menti eccelse impegnate nel travalicare i confini sia del pensiero umano sia della terra, menti eccelse capaci di sognare in un’epoca in cui il Sogno era comune a tutti.
La prospettiva della narrazione parte dal presente e dal personale degli autori, dalla voglia di comunicare l’esigenza e la possibilità del “sogno” (inteso come futuro possibile, capacità di osservare oltre il domani, risorsa collettiva) in contrasto con l’attuale iperrealista massificata chiusura e mancanza di visione.
IN DIFESA DEL FRATELLO CAINO
Compagnia Corni e Bisconti
proveniente da
Torino
drammaturgia
Alice Corni
con
Simona Bisconti e Alice Corni
Il giorno del giudizio è arrivato.
Nella valle di Josaphat appare il Gran Tribunale: si processa Caino. Un avvocato rampante e preparato, difende con foga lʼimputato. Sono chiamati sul banco dei testimoni i principali protagonisti e gli inediti
attori della terribile vicenda di Caino e Abele. Adamo, Eva, Morte, Satana, Kundalini si alternano a raccontare la prospettiva umana e divina sulla colpa e il perdono. Il giudice supremo dal suo scranno osserva e non si esprime. Nelle sue sfaccettature profondamente umane il processo assume risvolti
imprevedibilmente comici, mantenendo il focus sulla diatriba esistenziale.
Ironia e colpi di scena sfilano in passerella a braccetto.
Quanto può essere facile immedesimarsi nei panni di un assassino?
Il verdetto si rimette alla propria coscienza.
In questo monologo vengono analizzati i paradossi sulla fratellanza, sulla parità, sul valore della vita e sulla giustizia. Si vuole indagare in profondità, mantenendo la leggerezza, il tema del perdono e della pace. Una pace profonda, sincera e duratura, dopo lʼefferatezza dellʼomicidio.
È possibile? Chi ha ragione? Chi ha torto?
Nella natura umana coesistono e si scontrano una coscienza santa, pura e amorevole, che rischia di essere falsa e stucchevole, e una coscienza meschina, egoista, terrigna e tremendamente affascinante.
IO SONO CHI
Associazione culturale A&C con Associazione Giotto in Musica
proveniente da
Roma
drammaturgia
Valerio Nardoni e Alessia Arena
regia
Matteo Marsan
collaborazione artistica
Daniela Morozzi
con
Alessia Arena
video
Federica Toci Il gobbo e la giraffa
con il Patrocinio di
Comune dell’Unione comunale del Chianti fiorentino
in collaborazione con
RosaLibri RSA_Tavarnelle Val di Pesa e Greve in Chianti, Villa San Martino RSA
e Istituto San Giuseppe RSA_San Casciano Val di Pesa
con contributo di
Comune di San Casciano Val di Pesa, Comune di Greve in Chianti, Cassa di Risparmio di Firenze, Cantina Antinori
Coop_San Casciano Val di Pesa, Coop_Greve in Chianti, CGIL SPI_Tavarnelle Val di Pesa, Greve in Chianti e San Casciano Val di Pesa, Auser e Misericordia_San Casciano Val di Pesa
La scrittura scenica dello spettacolo è la fedele narrazione di quanto emerso dalla ricerca condotta dalla stessa cantattrice Alessia Arena sul tema del rapporto nella terza età tra identità e relazione con il proprio corpo nelle RSA della Val di Pesa e del Chianti. L’artista è stata spinta dalla riflessione che quando una persona entra in una casa di riposo si spoglia del proprio ambiente, rimanendo con un solo ed unico elemento identificativo: il proprio corpo.
Da qui l’affermazione: Io sono Chi, ovvero, teatro di narrazione, di storie di corpi e di mani, di uomini e di donne.
Sul palco Alessia Arena per raccontare tra parole e musica, a voce sola, i pensieri che animano il mondo delle residenze per anziani, tracciando una linea tra identità e relazione con il proprio corpo.
LA BESTIA
Teatro Azione
proveniente da
Roma
drammaturgia
Simona Fossa
regia
Paolo Zuccari
supervisione drammaturgica
Letizia Russo
assistente alla regia
Federica Mignemi
con
Andrea Ceravolo, Lucia Fiocco, Simona Fossa, Grazia Giansante, Luca Scognamiglio
Sicilia, anni ’80. Nonostante la lotta alla malavita abbia aperto uno spiraglio di luce, Elettra e Crisotemide vivono in una terra soffocata dalla legge del più forte. La giustizia non è mai stata così vicina eppure sembra irraggiungibile. Figlie del capomafia Agamennone, ucciso a tradimento dalla moglie Clitennestra, le due ragazze crescono simbionti eppure distanti, immerse in un mondo fatto di eterne attese e odi antichi, fino a quando sono chiamate a decidere a quale sistema appartenere: lo Stato o Cosa Nostra. Lo scontro è inevitabile e sarà inasprito dalle creature che si agitano intorno alle due protagoniste, in un conflitto in cui i ruoli di vittima e carnefice si sfumano e si confondono. Elettra e Crisotemide si troveranno costrette ad affrontare una bestia che esiste e prolifera sia nella società che nei più reconditi abissi dell’animo umano, lì dove non è concessa l’esistenza nemmeno alla più flebile luce.
LA DIFFICILISSIMA STORIA DELLA VITA DI CICCIO SPERANZA
Les Moustaches
proveniente da
Bergamo
drammaturgia
Alberto Fumagalli
regia
Ludovica D’Auria e Alberto Fumagalli
con
Giacomo Bottoni, Francesco Giordano, Antonio Orlando
costumi
Giulio Morini
Ciccio Speranza è un ragazzo grasso, ma leggero, con un’anima talmente delicata, che potrebbe sembrare quella di una graziosa principessa nordeuropea. Ciccio Speranza finge una villosa eterosessualità con la propria famiglia, ma è un omosessuale fiero e incallito. Ciccio Speranza vive in una vecchia catapecchia di provincia, dove la televisione non sempre funziona e i telefoni cellulari vengono schiacciati come scarafaggi. Ciccio Speranza si sente soffocare, come una fragile libellula rosa in una teca di plexiglas opaco. Ciccio Speranza ha un sogno troppo grande per poter rimanere in un cassetto di legno marcio: vuole danzare. In una sperduta provincia di un’Italia sperduta, la sperduta famiglia Speranza vive da generazioni le stesse lunghissime giornate. Sebbastiano è il padre di Ciccio, violento e grave come un tamburo di pelle di capra in un concerto di ottavini. Dennis è il fratello di Ciccio, con un’apertura mentale di uno che va a Bangkok e spacca tutto perché non sanno fare pasta, patate e cozze. Solo, in fondo, nella sua fragilità, Ciccio vuole scappare da quel luogo che mai ha sentito come casa. Attraverso il suo gutturale linguaggio, il suo corpo grassissimo e i suoi sogni impacciati, il nostro protagonista, in un tutù rosa non smetterà mai di danzare, raccontandoci la sua vita così come la desidera. Ciccio appartiene ad un mondo lontano, senza alcuna possibilità di esaudire i propri sogni. Il suo destino è segnato, il suo carattere è condizionato, i suoi sogni sono soffocati da un ambiente che gli sta stretto come un cappottino antigelo sta stretto ad un bulldog inglese. Dunque, perché rattrappire i propri istinti? Solo perché la cicogna ci ha fatto cadere lontano dalla terra promessa? Perché sentirsi schiacciati da una famiglia che non vuole conoscere un mondo che sta oltre il proprio campo di fagioli?
L’ITALIA È UNA REPUBBLICA AFFONDATA SUL LAVORO
“3,5”
Betta Cianchini
proveniente da
Roma
drammaturgia
Betta Cianchini
regia
Gabriela Eleonori
con
Marina Pennafina
assistente alla regia
Alan Bianchi
Perché 3,5? Perché “in Italia è di 3,5 la media delle persone che muoiono ogni giorno sul posto di lavoro”. E sono quasi 1.300 le madri che rimangono senza figli.
Una madre, come in un “flash – back a ritroso”, racconta la storia della morte – sul luogo del lavoro -del figlio.
Siamo al dopo-funerale di Massimo, giovanissimo operaio morto sul posto di lavoro. È la madre che parla con i suoi amici. E racconta di lui. Ha volutamente lasciato fuori i giornalisti della televisione: “la gente importante – la gente che conta… che conta i morti… i morti ammazzati sul lavoro”.
Improvvisamente siamo alla festa per l’assunzione di Massimo. L’atmosfera è gioiosa. La madre è orgogliosa e felice. Massimo è giovane, ma ha già un lavoro e avrà la tredicesima. Lavorerà in una ditta appaltatrice, quelle ditte che a parità di servizi costano meno, a discapito della sicurezza. Ma di tutto questo sua madre ancora non ne è a conoscenza.
Ed eccoci ancora una volta indietro nel tempo… lei, – la madre – è al settimo cielo. Aspetta un figlio. Aspetta Massimo. E si domanda come sarà, cosa farà. Lei vuole solo che sia felice. Che faccia solo quello che gli piace. Ma… la “madre della morte bianca” ha fatto uno strano sogno.
Uno “spettacolo – verità” a testimonianza di tante “brutte storie italiane” che andrà a “disturbare la corta memoria” di chi non vuole ricordare. Maria, la madre di Massimo, racconta perché: “Tutti lo devono sapere, lo devono sape’ tutti quello che è successo a mio figlio”.
E così vive e combatte con le parole.
Armi bianche contro morte bianca.
MILLE X UNA. ORA SUGNU TALIANU
Kaos Teatri
Premio Fersen 2019
Miglior Regia
proveniente da
Parma
drammaturgia
Giuseppe Piccione
regia
Veronica Boccia, Massimo Boschi
con
Giuseppe Piccione
Un ragazzo siciliano di oggi, come ce ne sono tanti, italiano eppure “isolano”, italiano eppure “terrone”, italiano… Uno status comune, a cui non si dà più tanta importanza, ma che è costato caro a chi ha lattato, sperato, creduto, a chi è morto per quel riconoscimento, per quell’ideale. Come Gaetano. Uno qualunque, in quel gruppo di “picciotti” che hanno chiesto alla mamma di cucire loro una camicia rossa per seguire Garibaldi, che hanno lasciato tutto, la casa, l’amore, per seguire un ideale, per raggiungere l’Italia; che sono partiti lasciandosi tutto alle spalle e che non hanno più fatto ritorno, incapaci di mantenere quell’unica promessa fatta ai propri cari: “io non mi faccio ammazzare”.
Ma se fosse stato tutto vano? Il ragazzo di oggi si guarda intorno: è una continua lotta coi pregiudizi, una continua corsa per colmare il divario col nord, un divario che non deve avere ragione di esistere, ma che eppure è sulla bocca di tutti; vede la terra che ama descritta solo per luoghi comuni; un’ italianità che non è senso di appartenenza, ma un banale stato esistenziale che si trasforma in orgoglio patriottico solo ogni quattro anni, quando il calcio ci ricorda che siamo un’unica Nazione e ci porta a sventolare un impolverato tricolore. Il ragazzo di oggi si guarda intorno e decide che non è per questo che centinaia di uomini (padri, mariti, figli) sono morti, che di lavoro ce n’è ancora tanto, che quell’ideale deve tornare a vivere dentro ognuno di noi. E decide di combattere per quello.
MONOLOGO SCHIZOFRENICO
(due voci sul T.S.O)
Melediterra Teatrodanza
proveniente da
Salerno
di e con
Viola Di Caprio
Vi racconto la storia di Pina, molto meno romanzata che nella realtà. Una bambina che, per sfortuna ed abbandono, finisce per essere presa in carico dalla Psichiatria.
Da quel momento, come lei stessa ripete, le si “blocca la crescita”, un po’ per la somministrazione di psicofarmaci, un po’ per l’assenza di cura familiare. E come tanti, fuori dai binari dell’ordine riconosciuto, ripercorre a intermittenza la sua storia drammaticamente vissuta; i suoi tentativi di mettersi al pari coi pari; la paura del T. S. O.
Vi racconto la storia di una donna, nonostante tutto, gioiosa e ironica. Maledettamente lucida, sicuro più di me e dell’aragosta!
Il T. S. O. (trattamento sanitario obbligatorio), ancora oggi praticato nei reparti di psichiatria dei nostri ospedali, è come il carcere ma senza avvocati che si sbracciano per la tua causa. È un ricovero coatto, a seguito del quale, mai nessuno è guarito; qualcuno è morto; qualcuno ha iniziato a soffrire di disturbi psichici.
NON TUTTO IL MALE VIENE PER NUOCERE, MA QUESTO SÌ
Giulia Pont
proveniente da
Torino
drammaturgia
Giulia Pont
regia e collaborazione drammaturgica
Carla Carucci
con
Giulia Pont
con il sostegno di
Tangram Teatro Torino, Santibriganti Teatro, Teatranzartedrama, Crack24.
Se la farmacia sotto casa ha creato una raccolta punti apposta per te…
Se sognavi il successo e invece ti conosce solo il tuo panettiere…
Se senti una voce che ti sussurra che tutto andrà male… questo è lo spettacolo per te!
“Non tutto il male viene per nuocere, ma questo sì” racconta la storia di una ragazza nata “per miracolo” e, dunque, con molte aspettative sulla vita. Di fronte a lei, però, una realtà diversa da quella immaginata: una famiglia nevrotica, una carriera che è solo e sempre gavetta, una relazione amorosa senza amore ma con tanta stima, una malattia imbarazzante e una vocina interiore che tenta continuamente di sabotarla…
Un monologo ironico che cura l’anima con una risata e un finale sorprendente!
NONNETUBER
Productora Cera
proveniente da
Messico
di
Yolanda Sanz
Nonnetuber è uno spettacolo clown che racconta la storia di due nonne: ZOILA e CLEO, famose YouTuber e MAYITO (il nipote di una di loro) che intraprendono un viaggio per l’Italia alla ricerca di ispirazioni per arricchire il loro canale. Mai avrebbero immaginato, dopo aver attraversato una porta misteriosa, di vivere la più grande delle loro avventure: un viaggio nel tempo che ridarà loro una sfavillante voglia di vivere.
Nonnetuber è uno spettacolo comico di due burattini iperrealisti a grandezza naturale che raccontano la loro storia mescolando l’uso di nuove tecnologie, il ballo e il canto lirico dal vivo. È raccontata attraverso una composizione/manipolazione musicale originale che assembla effetti sonori e citazione musicali in frammenti con l’obiettivo di riflettere sulla vecchiaia, è un invito a fare un salto nella vita e le emozioni delle persone più anziane in maniera divertente.
ONORE CLANDESTINO
Bravo Reverendo Rebman
proveniente da
Roma
drammaturgia e regia
Massimo Sconci
assistente alla regia
Gioia d’Angelo
con
Massimo Sconci
musiche dal vivo
Josè de la Paz
supervisore musicale
Andrea De Petris
“Onore Clandestino” è la storia di un giorno qualunque in una guerra silenziosa vissuta da un giovane venditore straniero. È una serie di vicende reali anche se forse mai accadute. È la tenerezza di altri personaggi, in tutta la loro fragilità e forza d’animo. Queste persone sono in grado di cambiare il Mondo, o piuttosto è il Mondo a cambiare loro?
Il protagonista di tutta la vicenda è Ulisse, un venditore di rose clandestino che si ritrova in un Paese dal profumo di fiori, ma che ha perduto il buon odore della serenità. Per tutti gli Italiani è “Nessuno”, e nel suo continuo viaggio per il ritorno a casa si confronta con Gino, venditore di pesce marcio, Ahmir, barbone di origine araba ghiotto di humus, e Madame Lapatite, una donna che non appare mai poiché segregata per sua volontà in una casa popolare.
PENIS PROJECT
Per umani migliori
Compagnia Nuovo teatro
con la collaborazione del Cam (Centro ascolto uomini maltrattanti)
proveniente da
Roma
drammaturgia e regia
Patrizia Schiavo
con
Antonio De Stefano, Emanuele Durante, Tommaso Lombardo, Oronzo Salvati, Francesco Sgrò
Cinque giovani uomini, prototipi selezionati per rappresentare diverse tipologie maschili, entrano a far parte di un “programma” che potremmo definire di “terapia sociale”, che step by step, li porterà alla liberazione dagli stereotipi, dalle inibizioni, dall’ansia da prestazione, dalla cultura patriarcale. Seguiti da telecamere a circuito chiuso, come in un “reality show” e condotti dalla voce / presenza video di una coach, tra un’azione “psicomagica” e l’altra gli “ospiti-attori” si confessano, si confrontano, mettono in discussione la dottrina fallocentrica e di conseguenza la nostra cultura, ancora troppo maschilista e sessista.
Il progetto è figlio de “Il laboratorio del pene” che debutterà a maggio 2020 all’Off/Off Theatre e che a sua volta nasce come naturale conseguenza dopo il successo de “Il laboratorio della vagina” non tanto per creare un “sequel”, quanto per indagare l’altra faccia della medaglia. Compiendo un salto di paradigma, cambiando prospettiva, muovendoci sempre tra il serio e il faceto, il goliardico e la polemica, con irriverenza, comicità e denuncia, al posto della vagina processeremo il pene, anche “lui” oggetto di desiderio, di ironie e mistificazioni, quanto simbolo maschilista e patriarcale, strumento di potere per eccellenza.
PRENDI I MIEI VESTITI
The ghepards
proveniente da
Roma
drammaturgia e regia
Giulia Innocenti
con
Giulia Innocenti
musiche originali
Giacomo Innocenti
“Prendi i miei vestiti” è uno spettacolo che racconta la storia di tre donne.
Nel primo quadro troviamo Maria, una donna che si è finta morta, a causa delle continue minacce ricevute dal suo ex compagno. Dopo tanti anni dalla sua presunta scomparsa, decide di incontrare l’uomo che sarebbe potuto diventare il suo carnefice. Quell’uomo adesso è diventato un malato terminale. Maria decide di andarlo a trovare, si siede accanto al suo letto, per stargli accanto fino all’ultimo respiro. Vuole vedere il suo aguzzino morire, vuole vomitargli addosso tutto il male fisico e psicologico che lui stesso gli ha procurato in passato. Vuole trasformare gli ultimi istanti di vita di quell’uomo in un vero inferno, in una vera tortura.
Il secondo quadro è la storia di Matilde, una donna accecata dall’amore per il proprio amato, così accecata da giustificare le violenze fisiche inflitte dal compagno. È colei che non vuole ammettere a nessuno, soprattutto a se stessa, i gesti scellerati dell’uomo che ha accanto. È colei che perdona tutto. È un dialogo immaginario col suo amante, un dialogo tragicomico e surreale.
Nell’ultimo quadro, la protagonista è una donna che non c’è più. Di fronte al proprio corpo, inerme, gelido, cerca di ripercorrere quelle maledette scelte che l’hanno condotta fino a questo punto. Nell’ultimo addio, Elvira vuole liberarsi dei suoi vestiti, quelli che aveva indosso quando tutto è finito. Ora è quell’uomo, il suo carnefice, che deve prendere gli abiti della donna, con quelle stesse mani che l’hanno gettata nel sottosuolo, dove Elvira adesso guarda se stessa e il mondo dei vivi. Ora è lui che deve sporcarsi delle sofferenze che ha causato.
S’ACCABADORA
Anfiteatro Sud
proveniente da
Catania
liberamente ispirato a
“Le Serve” di J. Genet
regia e drammaturgia
Susanna Mameli
con
Annagaia Marchioro e Marta Proietti Orzella
musiche
Paolo Fresu
soggetto e regia video
Susanna Mameli
produzione videomapping e realtà aumentata
Michele Pusceddu e Francesca Diana
scene
Susanna Mameli
Siamo nella tana de s’accabadora. La sua serva, mentre sistema e rassetta la stanza, racconta i fatti della padrona. Attraverso il filtro dei pettegolezzi e dell’amore-odio della serva verso la sua padrona, ecco levarsi l’immagine castigata di Antonia, ora come levadora, ora come incantadora e infine accabadora. Levatrice, donna delle medicine, donna che pone fine alle sofferenze dei moribondi, ma anche figura crepuscolare solitaria, sfuggente e schiva. Si sa che da fanciulla fu abbandonata sull’altare sotto lo sguardo armato dei fedeli. Si dice di come i fiori le si appassirono in volto, si racconta di come nessuno osò fermarla e della mano pietosa che fece cigolare la porta della chiesa, consegnandola alla luce divorante del mezzogiorno. Il cielo bisogna guadagnarselo, e Antonia si fa serva e missionaria degli uomini in terra, affaticandosi a fare quello che nessuno vuole o ha il coraggio e la forza di fare: aiutare
a nascere e morire. La “serva” e la “padrona” si cavano i peccati dall’anima con crudele affetto, uno ad uno, fino a che la serva rivela il gioco orrendo e chiede la Pietà che Antonia ha sempre reso altrove. Ma per Antonia, questa volta, è diverso. Note – Accabàdora, dalla lingua sarda accabare = finire, terminare, dare fine.