I suoi personaggi interpretati sul grande schermo sono sempre stati particolari. Sicuramente nel definirli totalmente negativi si commetterebbe un grosso errore. In alcuni casi la positività che i suoi personaggi proposti potevano ostentare, aleggiava sempre un animo cupo; riconducibile, forse, alle sue esperienze di vita prima di diventare la leggenda vivente di Hollywood.
Una leggenda vivente che il prossimo 25 aprile raggiunge il traguardo degli 80 anni. Classe 1940. Italo-americano di nascita. I suoi genitori erano di origine italiana. Nato in un quartiere iconico di New York, zona est, di Harlem. Alfredo James Pacino, questo il suo nome per esteso: meglio conosciuto in tutto il mondo come Al Pacino.
Un talento puro ed immenso il suo, con una presenza scenica difficile da eguagliare e da tenere testa. Solo un suo collega, amico-rivale, ci è riuscito. Nella sua carriera cinquantennale, si può, dire che ha fatto di tutto: l’attore, in primis, il regista ed anche lo sceneggiatore. Ma è con la prima professione che si fa conoscere ed ammirare dal pubblico e critica.
La sua irripetibile carriera ha inizio con la partecipazione ad un episodio della seconda stagione dello show televisivo del 1968: ‘Nypd’; da non confondere con la serie prodotta nella prima metà degli anni ’90. L’esordio sul grande schermo, invece, avviene l’anno seguente con la pellicola ‘Me, Natalie’. Ma è nel 1970 e per tutto il decennio che incomincia ad avere non solo ruoli da protagonista ma ruoli, come abbiamo precisato in precedenza, entrati nell’immaginario collettivo.
Con ‘Panico a Needle Park’ si fece notare da un regista italo-americano per un progetto cinematografico molto ambizioso. Raccontare la storia di una famiglia mafiosa italo-americana. Nel cast presero parte oltre al grande Marlon Brando, Robert Duvall e James Caan. Al Pacino, con il ruolo di Micheal Corleone, figlio del boss Vito Corleone, ottiene la prima di una lunga serie di candidature agli Oscar. L’anno era il 1972, il titolo: Il Padrino.
L’anno successivo altro memorabile personaggio, altra performance da incorniciare e seconda nominations agli Oscar: ‘Serpico’. Nel ‘74 ritorna nei panni di Micheal Corleone, altra importante prestazione interpretativa che gli permette di ottenere la terza nominations all’oscar: Il Padrino – Parte II. Per poi concludere la quadrilogia di nominations consecutive con il lungometraggio del 1975 che lo consacra definitivamente: ‘Quel pomeriggio di un giorno da cani’ di Sydney Lumet.
Con quelle grandiose interpretazioni, però, non riesce ad agguantare la statuetta d’oro. Un po’ come gli capitava, durante la sua gioventù, quando non riusciva ad entrare all’Actor Studios per perfezionarsi nella recitazione. Una vita piene di difficoltà, la sua. Fin dalla nascita suo padre, Salvatore Pacino, un agente assicurativo e ristoratore, lo abbandonò; la madre, Rose Gerardi, una casalinga, muore improvvisamente all’età di 43 per un infarto quando lui ne aveva 22. Una curiosità: la Signora Gerardi, come abbiamo accennato in precedenza, aveva lontane origini siciliane, come il marito, ma lei, per una singolare coincidenza, proveniva dal paesino omonimo della famiglia de ‘Il Padrino’.
Nel periodo dell’adolescenza Al Pacino fece diverse esperienze con la droga, non provando mai quelle pesanti, per via della morte di due suoi cari amici. Fu arrestato, nel 1961, per possesso illegale di armi. Non si diplomò e sognava di diventare giocatore di baseball. Dopo la morte della madre dovette arrangiarsi facendo i lavori più disparati.
Queste sue vicissitudini hanno plasmato il suo carattere, rendendolo duro con la vita. Ecco perché gli è sempre riuscito d’interpretare personaggi tosti, cupi, di carattere e schiacciati dalla vita; rappresentanti quasi sempre la parte oscuro della società americana. Questa sua capacità naturale di immedesimarsi nei ruoli che gli proponevano, nel 1980, gli fecero conquistare anche la quinta nominations per ‘…e giustizia a tutti i costi’.

Nel 1983, dopo un periodo di appannamento, con il ruolo del malavitoso spaccone Tony Montana in ‘Scarface’ si riprende, senza questa volta ottenere una sesta nominations. La conquisterà sette anni più tardi, invece, con ‘Dick Tracy’ e poi, finalmente, l’anno di grazia nel 1993 con due nominations ed un film a cui ci siamo ispirati per il titolo di questo articolo ‘Carlito’s way’, la tragica storia di un malvivente portoricano che deciso a cambiar vita va incontro ad un tragico destino.
Le due nominations, invece, sono per ‘Americani’ e per il remake de il ‘Profumo di donna’, interpretato dal nostro Vittorio Gassman. Finalmente vince la sua prima statuetta d’oro. Troppo poco per un mostro sacro come lui. Troppo poco per un attore che già con il primo ‘Padrino’ venne addirittura considerato come uno degli eredi naturali di Marlon Brando
Eredità che ha dovuto dividere con un’altra leggenda di Hollywood, un altro attore italo-americano che fece anche lui l’esordio nella saga del ‘Padrino’, ma nel secondo capitolo impersonando il ruolo che fu di Marlon Brando, Don Vito Corleone da giovane: Robert De Niro. I due insieme hanno fatto quattro film, precisando che ne ‘Il Padrino – Parte II’ non hanno mai diviso la stessa scena insieme. Ciò accade 21 anni dopo, quando il regista Micheal Mann decide di chiamarli per interpretare ‘Heat – La sfida’. In quel noir divisero le stesse scene insieme per la prima volta, recitando gli stessi minuti e lo stesso numero di battute perché nessuno, come accordi presi, doleva prevalere sull’altro.
Una rivalità professionale che si tramutò, dopo quel film, in amicizia e collaborazione. Tredici anni dopo si ritrovarono su un altro set: ‘Sfida senza regole’ ed undici anni dopo fu il regista Martin Scorsese ad unirli nuovamente insieme per un altro epico affresco della storia americana: ‘The Irishman’.
Con quest’ultima opera, nei panni dell’ambiguo capo del sindacato dei camionisti Jimmy Hoffa, ottiene la sua nona candidatura all’oscar, ma la statuetta gli viene soffiata da Brad Pitt.
Come detto in precedenza una sola statuetta su nove nominations ci sembra un bottino troppo magro per uno come lui. Le sue capacità recitative sono emerse nell’immediato ed una premiazione già alla prima occasione non sarebbe stata ingiusta. Il suo talento si è forgiato non solo sul grande schermo ma anche sui palcoscenici teatrali. Difatti, nel decennio del 1980, quando la sua carriera oscillava tra alti e bassi, ritornò al passato e successivamente negli anni ’90 portò sul grande schermo, scritto e diretto da lui, la tragedia di Shakspeare ‘Riccardo III’.
Dopo al primo film con De Niro, Al Pacino lavorò in produzioni cinematografiche come ‘Donnie Brasco’, ‘Simone’, ‘88 minuti’, ‘Insomnia’ con Robin Willliams, ‘Ogni maledetta domenica’, ‘C’era una volta ad Hollywood’ e tanti altri. Non può mancare in questa lunghissima lista anche ‘L’avvocato del diavolo’, in cui impersonò con grande maestria l’angelo del male titolare di un rinomato studio legale della città di New York.
E non si può nemmeno dimenticare la sua ultima fatica legata alle serie tv: il ruolo del nazista cacciatore di nazisti in ‘The Hunters’, una conferma, quindi, della fondamentale caratteristica del suo personaggio: il carattere misterioso alimentato, proprio nei ruoli indicati, con diverse sfaccettature, esaltate dal dono della naturalezza davanti alla macchina da presa. Una naturalezza impreziosita, ancor di più, dai suoi storici doppiatori: Ferruccio Amendola, prima, e Giancarlo Giannini, a seguire.
80 anni, dunque, e non sembra vero. Forse lo sarà per lui, ma non per i suoi fans e per tutti coloro che amano il cinema. In questo lungo viaggio, della sua lunga strada verso il successo, di sicuro abbiamo dimenticato qualche particolare della sua vita ed anche qualche film. E’ certo che una leggenda come lui non può essere raccontata in poche righe. Come è certo che la sua carriera è irripetibile ed unica come il suo talento.
Testo a cura di Vincenzo Pepe